La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha fatto altro che rivelare il segreto di Pulcinella del conflitto in Ucraina quando è caduta nello scherzo telefonico di due comici russi. Meloni ha detto di vedere «stanchezza» per la guerra e di vederla «in tutte le parti» coinvolte. Inconsapevolmente registrata, ha detto quello che diplomatici e funzionari occidentali dicono da mesi e quello che si inizia a sussurrare persino a Kiev. Ossia che l'appetito per continuare una guerra che si annuncia lunga e costosa si sta riducendo.

Tutti affaticati

Questo affaticamente inizia a sentirsi soprattutto ora che la famigerata controffensiva ucraina è stata definitivamente archiviata. L’attacco iniziato a giugno era l’ultima occasione per arrivare a una conclusione a breve termine del conflitto, ma dopo cinque mesi di combattimenti, gli ucraini non si sono allontanati dal punto di partenza. La guerra è entrata in una fase di «stallo» paragonabile «alla Prima guerra mondiale», ha ammesso il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, in un’intervista pubblicata questa settimana dal settimanale Economist.

Senza prospettive di spettacolari vittorie militari nell’immediato, gli alleati stanno iniziando a contemplare la prospettiva di dover sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina ancora per anni. Se a un certo punto gli elettori gli chiederanno il conto di queste spese sarà difficile fornire loro una risposta convincente se agli investimenti corrisponderà soltanto una sanguinoso stallo come quello in corso ormai da un anno.

I politici occidentali sentono che il tempo a loro disposizione sta scadendo. Negli Stati Uniti, la percentuale dei favorevoli all’invio di armi in Ucraina è scesa al 41 per cento, contro il 35 per cento dei contrari, mentre il partito repubblicano è sempre più sotto controllo della sua minoranza radicalmente avversa a qualsiasi aiuto. L’amministrazione Biden è più che mai decisa a sostenere ancora l’Ucraina, costi quel che costi, ma i leader europei guardano con timore alle elezioni del prossimo anno. Già oggi, l’Unione europea ha promesso all’Ucraina aiuti di un valore doppio di quelli Usa. Una vittoria di Donald Trump, significherà probabilmente che dovranno farsi carico di una fetta ancora più grossa del sostegno a Kiev.

Quando Meloni dice ai due comici che secondo lei siamo vicini al momento in cui «tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita», non fa altro che esprimere un’opinione condivisa in gran parte delle capitali europee.

Il clima a Kiev

La stanchezza si sente anche in Ucraina. Proprio ieri, il Kyiv Independent, popolare giornale ucraino in lingua inglese, ha pubblicato un lungo articolo in cui documenta il calo nelle donazioni volontarie alle forze armate ucraine, un canale fondamentale per il finanziamento dello sforzo bellico. Nella capitale nessuno osa ancora parlare apertamente di trattative. Maggioranza e opposizione sono compatte nel sostenere che il conflitto deve andare avanti fino a che l’ultimo chilometro di territorio ucraino non sarà liberato. Ma sotto la superficie, cominciano ad apparire le prime crepe. Nell’articolo di copertina pubblicato questa settimana sulla rivista Time, il giornalista Simon Shuster ha tratteggiato un cupo ritratto dell’entourage del presidente Zelensky. Alle riunioni nella Bankova, il nome dell’edificio che ospita la presidenza ucraina, non si usano più i toni spavaldi e ironici di quanto le forze armate di Kiev, contro ogni previsione, ricacciavano indietro i russi. Gli incontri sono divenuti brevi e tesi. Shuster descrive uno Zelensky determinato, ma anche isolato nella sua convinzione che una vittoria totale sia ancora possibile.

I sondaggi indicano che la stragrande maggioranza degli ucraini è ancora determinata a combattere. Secondo un’indagine dell’Istituto di sociologia di Kiev realizzata all’inizio di ottobre, l’80 per cento degli intervistati non è disposto a cedere territori in cambio della pace. Ma la percentuale dei favorevoli è cresciuta dal 9 per cento di gennaio al 14. E questo mentre nessuna delle principali forze politiche parla apertamente di negoziati. A farlo, sono soltanto voci isolate, come l’ex consigliere di Zelensky, Oleksandr Arestovych, un populista alla Trump in salsa ucraina, che ha paragonato Zelensky a Hitler chiuso nel bunker della cancelleria a Berlino.

Stanchezza e quindi?

La stanchezza per la guerra si sente sulle due sponde dell’Atlantico e sulle rive del Dnipro, ma quali saranno le sue conseguenze non è affatto scontato. Ieri, su La Stampa, la direttrice dello Iai, Nathalie Tocci, dai primi giorni del conflitto una delle più tenaci sostenitrici della causa ucraina, faceva notare che dal giorno della telefonata di Meloni ad oggi, Europa e Stati Uniti non hanno fatto altro che annunciare nuovi aiuti e nuove armi all’Ucraina. In altre parole, non ci sono segnali che gli alleati troncheranno da un giorno all’altro la linea vitale di aiuti che mantiene in piedi l’Ucraina. Ma allo stesso tempo sembra difficile che in queste condizioni il sostegno possa aumentare dell’ordine di grandezza necessario a spezzare l’attuale stallo militare. Le parole che Meloni ha detto ad alta voce e che le cancellerie internazionali ripetono a microfoni spenti indicano che il picco è stato raggiunto. Ora inizia la discesa, o al massimo, un altopiano. Come ha fatto notare lo storico e analista Sergey Radchenko, quello che manca sia da parte di Kiev che dei suoi alleati, è un obiettivo realistico e raggiungibile con le risorse a disposizione. Se non la riconquista di tutta l’Ucraina, allora cosa? Meloni dice di avere un’idea, ma che non è ancora il momento di divulgarla. Nel frattempo, la guerra continua.

 

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