Al primo posto nella classifica delle cose che stupiscono c’è lo stupore. Trovano in casa di un ex europarlamentare, del Pd prima e di Articolo 1 poi, montagne di banconote e i suoi compagni di partito si dichiarano increduli, oltre che naturalmente “incazzati” con lui, il traditore.

Lo stupore implica logicamente la pregressa convinzione che quelli che facevano e fanno politica per mestiere, ci mantengono la famiglia, ci crescono i figli e ci basano carriera e ambizioni, fossero tutti puri e specchiati.

Al secondo posto nella classifica delle cose che stupiscono c’è la capriola logica che consegue dallo stupore primo in classifica. Si invoca la centralità della “questione morale”, si evoca il fantasma di Enrico Berlinguer che pose il problema tre anni prima di morire, si proclama d’ora in poi la massima inflessibilità. Quindi i politici di professione vengono presi all’improvviso dal sospetto che pochi o molti tra loro, comunque troppi siano inclini alla corruzione o all’immoralità penalmente irrilevante.

E gridano forte il loro sospetto senza rendersi conto di sventolare gli stessi argomenti con cui Beppe Grillo portò il suo Movimento 5 stelle a prendere un terzo dei voti il 4 marzo 2018 e che loro, gli stupìti, bollavano allora come armi sporche dell’antipolitica.

L’invettiva di Occhetto

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Prima che qualcuno si arrampicasse sugli specchi teorizzando che si tratta di essere inflessibili con le mele marce, ci ha pensato l’ex segretario del Pci Achille Occhetto a chiarire il concetto: «La teoria delle mele marce va superata. Si considera, purtroppo, naturale che chi ha fatto politica, chi ha avuto delle funzioni nelle istituzioni, invece, di andare in pensione e coltivare giardinaggio o cucina debba fare il lobbista. Per quanto riguarda il lobbismo dei politici, sono scandalizzato. Indipendentemente dai risvolti giudiziari, ritengo inconcepibile che una persona che abbia ottenuto notorietà e influenza, grazie al sostegno di cittadini che l’hanno votata per difendere degli interessi, possa usare le sue funzioni per vendere gas e armi».

Occhetto allude con tutta evidenza al suo storico arcinemico Massimo D’Alema, che nel 1994 gli fece le scarpe provocando nell’uomo della Bolognina un’incazzatura che dura da 28 anni. Al netto del rancore che lo pervade, dice una cosa ragionevole. La sinistra è alle prese con un fatto di sistema. Il che non significa che sono tutti ladri, ma che negli anni si è affermata una regola non scritta: la questione morale non va posta mai se vuoi avere un futuro nella politica.

Se qualcuno viene preso con la mani nel sacco dai magistrati si invoca il garantismo. Ma se qualcuno fa cose discutibili o di dubbio stile, seppure non penalmente rilevanti, è vietata, per buona regola di educazione, la critica. Meglio far finta di non vedere, di non sentire, di non sapere. Perché è tutto normale, chi critica è un rompicoglioni.

C’è un momento in cui tutto questo inizia? Secondo Occhetto lo stesso Berlinguer pagò un prezzo personale e politico per aver posto la questione morale: «Non si può dimenticare l’isolamento di Enrico nell’ultima fase della vita da parte di molti del gruppo dirigente». Lo consideravano superato dalla modernità, gli agguerriti miglioristi di Giorgio Napolitano ritenevano che il leader socialista Bettino Craxi avesse capito tutto di come si stava al mondo mentre Berlinguer viveva nel passato.

Ma è proprio dopo l’inchiesta Mani pulite (1992-1994), nonostante le migliaia di arresti e l’azzeramento di tutti i partiti della Prima repubblica, che a sinistra si fa strada l’idea che comunque la sobrietà e l’austerità di Berlinguer erano di ostacolo alla felicità dei politici di professione. C’è un momento che simboleggia il passaggio ed è l’agosto del 1997.

Il governo Prodi, il primo con gli ex comunisti al potere, sta bastonando i contribuenti italiani per centrare l’obiettivo di entrare nell’euro. Si tira la cinghia per conquistarsi il paradiso. Il segretario dei Ds Massimo D’Alema, azionista di maggioranza del governo, si compra la barca, un Baltic 51 da 15 metri il cui nome Ikarus diventerà una leggenda politico-mondana. La barca costa decenni di salario di un lavoratore medio italiano.

La sera dell’8 agosto il leader della sinistra attracca al porto di Palau, in Costa Smeralda, e inizia le sue vacanze estive. Le cronache dell’epoca informano che attorno alle prestigiose spiagge sarde D’Alema non è solo: c’è ovviamente Silvio Berlusconi, ci sono gli esponenti neofascisti Pinuccio Tatarella e Ignazio La Russa, ma c’è anche il re di Spagna Juan Carlos (ospite del panfilo dell’Aga Khan), e ci sono le attrici Joan Collins e Gina Lollobrigida.

Vero che gli uomini sono tutti uguali di fronte alle ferie estive, ma D’Alema spiega che lui non è ricco, è solo appassionato di vela e quella barca l’ha presa in leasing, in società con due amici. Uno è l’imprenditore Vincenzo Morichini, l’altro è l’imprenditore Roberto De Santis.

Gli amici di D’Alema

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Morichini sale agli onori delle cronache nel 2011, quando viene coinvolto in un’inchiesta per corruzione, per la quale patteggerà una condanna a un anno e mezzo e la restituzione della tangente da 20mila euro incassata. Ma Morichini è anche procacciatore di finanziamenti per la Fondazione Italianieuropei di D’Alema, e tra la accuse c’è quella di aver negoziato una provvigione pari al 5,5 per cento per un appalto con la Finmeccanica.

L’indagato spiega che ritiene che nel mirino dei magistrati ci sia D’Alema e chiarisce in un’intervista che l’operazione non è mai andata in porto e che comunque quel 5,5 per cento sarebbe andata alla sua società di consulenza, non alla fondazione. Rispetto alla quale chiarisce: «Io non sono Greganti. Questa è una barzelletta, anzi è una tragedia. Perché io ci credo veramente, anzi ormai credo più nelle fondazioni che nei partiti».

Quanto a De Santis, è stato arrestato tre mesi fa insieme al sindaco di Otranto Pierpaolo Cariddi e all’ex sindaco Luciano Cariddi (due fratelli che si sono dati il cambio) con l’accusa di associazione a delinquere per questioni urbanistiche. Nel 2011, mentre Morichini aveva il problema di cui sopra, lui è stato coinvolto in un’inchiesta su Giampi Tarantini, l’imprenditore pugliese noto alle cronache come procacciatore di ragazze per i Bunga Bunga di Arcore.

Come Morichini, dice che D’Alema non c’entra niente con i suoi affari: «Massimo per me è un fratello maggiore, ci conosciamo da 35 anni, ma con lui non ho mai discusso delle mie attività». Poi viene processato per un finanziamento illecito alla fondazione Fare metropoli di Filippo Penati, braccio destro di Pier Luigi Bersani al vertice del Pd, nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Sesto”. Saranno tutti assolti, non c’era niente di illegale.

Nel frattempo anche D’Alema ha cambiato mestiere ed è passato a fare ciò che Occhetto e lo stesso Sergio Cofferati (intervistato ieri per Domani da Daniela Preziosi) condannano nel caso di ex leader politici: il lobbista. La sua attuale professione l’ha così descritta in un’intervista: «Da quando ho lasciato ogni responsabilità politica, svolgo un’attività di consulenza regolare: ho una mia società e inoltre lavoro con Ernst&Young, di cui sono presidente dell’advisory board. Il mio lavoro è quello di consulenza strategica, relazioni, ma non sono uno che va a fare mediazione di vendita. Con la mia professione cerco di sostenere anche le imprese italiane all’estero. Spero non sia un reato».

Quando non è reato

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Ma infatti non è un reato, come non è reato il lavoro di Matteo Renzi per l’Arabia Saudita. Come non era un reato l’idea di Antonio Panzeri di costituire a Bruxelles un’organizzazione non governativa finalizzata alla lotta contro l’impunità. Come non è un reato che D’Alema sia il consulente di un imprenditore del Qatar interessato all’acquisto della raffineria Lukoil di Priolo in Sicilia.

Ma al vice segretario del Pd Giuseppe Provenzano non basta, perché vede il problema politico: «Vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più». Non sarà la magistratura a risolvere questo problema.

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