Quante volte ancora saranno le donne a pagare il conto di scelte altrui? «Questo è stato un tradimento, non un ritiro responsabile», dice una donna afghana intervistata a Kabul da una tv occidentale. Quella donna non sa che a un tradimento sta per seguirne un altro. A parole, l’Europa e i suoi leader non fanno che dire che le donne vanno tratte in salvo dal regime repressivo dei Talebani. Il nostro stesso governo, oggi al G20 sulle donne, lo ha confermato. Ma per ora il piano, più che accogliere nell’Unione tutte le afghane, è quello di esternalizzare il più possibile chi cerca rifugio, per di più verso paesi tutt’altro che amici dell’emancipazione femminile.

L’Ue sta per indirizzare altri soldi dei contribuenti europei verso le tasche di Recep Tayyp Erdogan, lo stesso presidente turco che ha sfilato il suo paese dalla convenzione di Istanbul, oltre a sfilare la poltrona a Ursula von der Leyen. Si vuole «assicurare il necessario sostegno», per usare le parole di Luigi Di Maio, «ai partner della regione». Quali siano questi partner era già stato deciso di concerto da Angela Merkel ed Emmanuel Macron ancor prima che i ministri degli Esteri Ue si riunissero: Turchia, Pakistan e Iran.

Modello Erdogan

In Turchia solo tre donne su dieci lavorano, l’83 per cento di seggi in parlamento è occupato da maschi. Nel giro di un decennio i femminicidi sono quadruplicati. Ma invece di contrastare il fenomeno, il presidente Erdogan ha deciso di sganciare Ankara dalla convenzione internazionale contro la violenza sulle donne. Nel 2011 la Turchia fu la prima a sottoscriverla; dieci anni dopo, e assai meno laica di prima, la nazione sotto la guida di Erdogan asseconda le pulsioni integraliste: da luglio, l’uscita dalla convenzione di Istanbul è effettiva. Alle massicce proteste da parte delle donne, il presidente sta replicando con la repressione. Un esempio: martedì un giudice ha avallato la richiesta di carcere per le donne, di cui alcune minorenni, che l’8 marzo alla manifestazione per i diritti delle donne hanno urlato «Corri, Tayyp: le donne stanno arrivando». Insultare il presidente può costare fino a dieci anni di galera. Il divario di genere si riflette anche nella condizione riservata a chi cerca asilo. «Abbiamo già visto nel caso dei rifugiati siriani arrivati in Turchia che i servizi a loro rivolti sono gender-blind», dice chi è sul campo come Yelda Sahin Akilli della Foundation for women’s solidarity: «Per le donne che hanno subìto violenza di genere, stupri, per chi fra loro ha rischiato la vita, mancano servizi dedicati». L’Ue accordò nel 2016 a Erdogan sei miliardi perché trattenesse sul suo territorio i rifugiati siriani. Lo scorso aprile, mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel sedeva al fianco del presidente turco e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen veniva invece messa a margine su un sofà, Bruxelles nondimeno ha accordato ad Ankara un nuovo stanziamento, 3,5 miliardi. Ora sia Merkel che Macron invocano l’aiuto turco anche nell’accoglienza di afghane e afghani. Il commissario europeo Paolo Gentiloni conferma l’intenzione della Commissione di andare avanti con un “Modello Turchia bis” anche per l’esodo dall’Afghanistan, «è certo che la Commissione aiuterà economicamente paesi come quello» dice, anche se esprime i suoi personali dubbi sull’idea di replicare questo schema. In tutto questo Erdogan dice di «non poter gestire un ulteriore fardello migratorio», rivendicazione che ha una funzione ricattatoria e per tirare sul prezzo: l’esecutivo tedesco ne ha già sondato la disponibilità da settimane. Gli altri governi vanno al traino.

Pakistan e Iran

Ancor più surreale per le sorti delle afghane è che Berlino e Parigi includano Pakistan e Iran nella lista di paesi da aiutare perché le accolgano. Il ministro degli Esteri pachistano da giorni interloquisce con il suo omologo tedesco e con l’alto rappresentante Ue. Il capo di governo, Imran Khan, si è fatto notare quest’estate per aver detto, mentre il paese assisteva a un picco di violenze sessuali, che «la colpa è delle donne che si coprono poco». Due anni fa un amministratore locale del suo stesso partito distribuì burqa alle studentesse: «Così saranno più sicure». Parole che evocano quelle dei Talebani: «Meglio che ora rimaniate a casa, per sicurezza». Che le capitali europee ragionino su aiuti economici a Islamabad per tenere fuori dall’Ue il flusso migratorio colpisce ancor più alla luce delle complicità tra Pakistan e Talebani. Nel Global gender gap report del 2021, il Pakistan è 153esimo su 156, dove in fondo – 156esimo – c’è l’Afghanistan già prima della exit Usa.

L’Iran, che è 150esimo, è l’altro paese citato da Merkel e Macron per dialogare e da supportare per l’esodo. Qui 7 donne su 10 hanno subito violenza di genere, la loro rappresentanza politica è quasi nulla, meno di una su cinque lavora e se lo fa guadagna meno di un quinto di un uomo. «I matrimoni di bambine tra 10 e 14 anni sono migliaia all’anno, le violenze diffuse, la discriminazione è sia nelle regole che nella prassi». Le donne in Iran, dice l’Onu, «sono cittadine di serie b».

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