Tel Aviv non ferma i raid: missili anche sulla centrale di Natanz, ucciso il nuovo capo di stato maggiore Ali Shadmani. L’obiettivo è chiaro: mettere definitivamente in ginocchio il regime. Intanto Khamenei avrebbe delegato una parte dei suoi poteri al Consiglio supremo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche
Che anche nel caso dell’Iran Israele voglia portare avanti una guerra totale è divenuto chiaro quando l’esercito di Tel Aviv ha giustificato l’attacco contro la sede della televisione Irib, l’emittente di Stato, spiegando che diffondeva “taamulà”, cioè “propaganda”, e quindi di fatto riconoscendo di aver preso di mira un obiettivo civile. Alcuni dipendenti, forse giornalisti, sarebbero rimasti uccisi.
Nelle stesse ore il ministro della Difesa Israel Katz, soprannominato “Bulldozer” e fedelissimo del premier Netanyahu, impazzava su X. «I residenti di Teheran la pagheranno cara», «La legge di Teheran come la legge di Beirut». Forse memore delle attenzioni su Israele dei tribunali internazionali, Katz ha precisato qualche ora più tardi che le sue parole alludevano soltanto agli imminenti «ordini di evacuazione».
Danni alla centrale
Secondo i media iraniani, ci sono stati bombardamenti israeliani nella zona di Isfahan, a sud di Teheran nel centro del paese, e non solo. A quanto afferma l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, le incursioni aeree israeliane sul sito nucleare iraniano di Natanz hanno prodotto «impatti diretti» sulle installazioni per l’arricchimento dell’uranio. «Sulla base delle analisi continue sulle immagini satellitari ad alta risoluzione raccolte dopo gli attacchi di venerdì, l’Aiea ha individuato ulteriori elementi che indicano impatti diretti sulle sale di arricchimento sotterranee di Natanz», si legge nel comunicato diffuso dall’Agenzia.
Ma a quanto pare Tel Aviv non si accontenta. A Teheran «ci sono più di 10 obiettivi nucleari» che Israele è «sul punto di distruggere», ha tuonato ancora Katz, sottolineando che l’aeronautica intende colpire «obiettivi molto significativi, obiettivi strategici, obiettivi del regime e infrastrutture».
Nel complesso gli ulteriori raid avrebbero fatto 24 nuove vittime. Un gruppo hacker forse legato a Israele ha scatenato un cyberattacco contro il sistema bancario nazionale mandandolo in tilt per diverse ore, così come pure la rete internet dell’intero paese è stata accecata.
E ancora: in un comunicato le forze armate di Tel Aviv hanno fatto sapere di aver eliminato, nella giornata di lunedì, Ali Shadmani, comandante dei Guardiani della rivoluzione, da poco nominato nuovo capo di stato maggiore dell’esercito iraniano. Alcune decine di missili sono stati lanciati verso Israele ma senza provocare morti, solo 5 feriti lievi: le ultime vittime risalgono agli attacchi fra domenica e lunedì. La protezione civile israeliana ha deciso di eliminare uno degli avvisi che preallertano i cittadini in caso di arrivo di missili iraniani, a meno che non si tratti di attacchi particolarmente massicci.
L’esercito ha anche fatto sapere che Teheran non è in grado di colpire Israele a pieno regime, grazie al fatto che lo stato ebraico avrebbe messo fuori gioco centinaia dei suoi lanciarazzi.
Risulta evidente ormai che Israele prevalga nello scontro militare. Ma gli analisti sono unanimi nel sostenere che il suo esercito non possa colpire le strutture sotterranee di Fordow, sito chiave del programma nucleare, senza il sostegno americano. Sia perché l’operazione richiede bombe anti-bunker da 30mila libbre, di cui non dispone, sia perché per sganciarle servirebbero bombardieri B-2 in dotazione agli Usa.
In questo senso lo Stato ebraico si trova di fronte a un’impasse, e forse anche per questo sembra virare, colpendo obiettivi convenzionali come la stazione tv e una stazione di polizia della capitale, nella direzione di un conflitto generalizzato che possa mettere in ginocchio e forse far cadere il regime. Segnali in questo senso già ci sono: infatti, secondo le informazioni ricevute da Iran International, la Guida Suprema Ali Khamenei avrebbe delegato una parte significativa dei suoi poteri al Consiglio supremo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, ossia i Pasdaran. Stando alla stessa fonte, Khamenei attualmente vivrebbe in bunker sotterraneo per proteggersi dagli attacchi israeliani.
«Israele può sorvolare le strutture nucleari di Fordow e renderle inutilizzabili, ma se si vuole davvero smantellarle, l’unica soluzione è un attacco militare statunitense o un accordo», ha affermato Brett McGurk, ex alto diplomatico per il Medio Oriente sotto le amministrazioni di Trump e Biden, parlando alla Cnn.
“Spazi protetti”
Sul piano interno l’incidente che ha spaventato più di tutti il pubblico israeliano rimane quello di Petah Tikvah, dove un missile iraniano ha ucciso quattro persone all’alba di lunedì. Non perché sia stato il più sanguinoso: a Bat Yam si sta ancora scavando sotto le macerie di un caseggiato per trovare l’ottava vittima di un’esplosione avvenuta domenica.
Il motivo è che le vittime di Petah Tikvah si trovavano nello “spazio protetto”, la stanza rinforzata dove gli israeliani si rifugiano quando la protezione civile invia gli avvisi di un attacco imminente sui telefonini. Colpito in pieno dal missile, il cemento armato delle pareti non ha tenuto, infrangendosi insieme alla convinzione diffusa che rischino la vita soltanto i civili che ignorano le direttive.
Gli oltre venti morti israeliani, le centinaia di feriti e la distruzione significativa sul fronte domestico non sembrano però influenzare le valutazioni del governo.
Un fatto che non stupisce se si pensa che le decine di ostaggi a Gaza – i cui familiari sono ridotti a fare “raduni su Zoom” al posto di quelli in piazza a causa degli attacchi iraniani – sono divenuti poco più di una nota a margine nel discorso pubblico israeliano.
Inebriati dalla possibilità di agire indisturbati nei cieli dell’Iran, in una realtà regionale dove nessuno si è neppure sognato di far notare come i jet israeliani violino anche lo spazio aereo iracheno, i quadri politici israeliani non sembrano interessati a mediazioni. Almeno finché le carte in tavola non risultino radicalmente cambiate.
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