La capitale afghana, Kabul, città di 4,4 milioni di abitanti a cui si aggiungono migliaia di profughi interni, da Ferragosto è nelle mani dei Talebani, che appena entrati nella città e nella “zona verde” senza trovare resistenza hanno annunciato la rinascita dell’Emirato islamico. I Talebani sono entrati nel palazzo presidenziale abbandonato in tutta fretta dall’ex presidente Ashraf Ghani che si è rifugiato nel vicino Turkmenistan.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha deciso di parlare agli americani per spiegare quello che tutti hanno già capito da tempo: l’Afghanistan, per Washington, è un capitolo chiuso. Dopo 20 anni di presenza, 2mila miliardi di dollari di spese, 2.448 militari americani morti (53 i militari italiani caduti), si torna a casa perché non c’è alternativa praticabile all’attuale exit strategy.

Quanto a Kabul, la rapidità della presa militare della città ha provocato la fuga disordinata e caotica verso l’aeroporto di molti afghani che temono la vendetta dei Talebani che li ritengono dei “collaborazionisti” degli occidentali. Temendo vendette personali migliaia di afghani hanno preso d’assalto nel caos le piste dell’aeroporto di Kabul nel vano tentativo di unirsi ai diplomatici e civili occidentali in fuga con i voli organizzati dalle rispettive ambasciate.

«La situazione a Kabul e al suo aeroporto è preoccupante, la popolazione vive nella paura più totale ora». Così l’ambasciatore afghano all’Onu, Ghulam Isaczai, durante la riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.

«Ci dicono che i Talebani hanno iniziato a fare perquisizioni casa per casa cercando persone sulle loro liste nere, registrando nomi, dobbiamo fare qualcosa perché i residenti di Kabul vivono nella paura totale», ha ammonito il diplomatico.

In questo quadro di terrore alcuni disperati sulle piste dell’aeroporto di Kabul si sono aggrappati alle parti vicine alle ruote dei maxi aerei militari americani al decollo e sono poi precipitati al suolo dopo poco minuti di volo. Sono cinque le vittime provocate dal caos allo scalo afghano, ha riferito la Reuters.

Intanto è atterrato all’aeroporto di Fiumicino il primo volo dell’aeronautica militare italiana con a bordo circa 70 persone di rientro dall’Afghanistan tra diplomatici e interpreti afghani che hanno ottenuto il pass speciale per entrare in Italia.

La capitale afghana è ormai saldamente nelle mani del nuovo regime e del nuovo uomo forte di Kabul, Abdulah Ghani Baradar.

Chi è Baradar

Abdul Ghani Baradar è una vecchia conoscenza degli analisti occidentali.

Co-fondatore del movimento degli studenti coranici, è nato nel 1968 nella provincia di Uruzgan e ha vissuto a Kandahar, sede della maggiore base militare americana, e successivamente ha combattuto contro l’invasione dei sovietici. Dopo che i russi lasciarono l’area nel 1992 e il paese cadde in una sanguinosa guerra civile, Baradar istituì una madrassa, una scuola coranica fondamentalista, a Kandahar sul modello di quelle istituite a Peshawar in Pakistan con il suo ex leader e presunto cognato, Mohammad Omar, scomparso nel 2013.

Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, movimento formato da giovani studenti islamici dediti alla interpretazione fondamentalista e letterale del Corano e alla creazione di un emirato in campo politico, sovrapponendo le due sfere a favore di un primato della religione sulla vita sociale e civile come nell’Iran degli ayatollah.

Baradar è considerato il responsabile della vittoria militare del 1996 così come di quella odierna che ha stupito tutti gli analisti per la sua rapidità e sincronizzazione nelle varie province.

Nel 2001, dopo l’intervento Usa e in seguito, si dice, al rifiuto dei Talebani di consegnare bin Laden agli americani e la caduta del regime talebano, Baradar avrebbe cercato pragmaticamente di fare un accordo con il quale riconoscevano l’amministrazione di Kabul, ma senza successo. Nel 2010, quando è stato arrestato a Karachi, in Pakistan, Baradar era allora il capo militare dei Talebani.

Durante il suo esilio, durato vent’anni, ha saputo mantenere la leadership del movimento molto diviso al suo interno. Nel 2018, è stato liberato su espressa richiesta di Washington e ha firmato gli accordi di Doha.

Ascoltato e rispettato dalle diverse fazioni talebane, è stato successivamente nominato capo del loro ufficio politico, stabilito in Qatar, da dove Baradar ha portato avanti i negoziati voluti dall’ex presidente repubblicano Donald Trump e poi confermati dal suo successore democratico, Joe Biden, intese che hanno portato al ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan. Ora è il padrone del paese.

I signori della guerra

Il problema di fondo per i Talebani rimane il fatto che non hanno eliminato completamente i loro nemici e le sacche di resistenza a un potere centrale. Ad esempio è tornato in auge Gulbuddin Hekmatyar, gran “signore della guerra” già ai tempi dell’invasione sovietica. L’ultimo soldato dell’Armata rossa lasciò l’Afghanistan il 2 febbraio 1989, mentre il governo afghano armato e sostenuto dai russi resistette ben quattro anni, dal 1988 al 1992, un periodo molto più lungo di quanto è avvenuto con il forse troppo frettoloso ritiro americano. Oggi buona parte dei “signori della guerra” sono fuggiti nei paesi vicini, ma hanno le rispettive milizie delle etnie di appartenenza ancora dalla loro parte, perché nel sistema feudale afghano la fedeltà va al signore locale o al suo erede, non all’istituzione. È molto probabile che questi eserciti personali verranno finanziati, riforniti di armi e spinti ad agire dai paesi limitrofi al momento opportuno. In sintesi, non c’è stabilità in vista in Afghanistan che resterà un paese instabile e sottoposto a tensioni centrifughe.

Nuove guerre per procura

I Talebani governeranno per un breve periodo, in maniera più cauta e meno fondamentalista dal passato, per non suscitare proteste violente nella delicata fase dell’insediamento. Ma prima o poi ci sarà, come insegna la storia dell’Afghanistan, una nuova ribellione degli esclusi dal potere etnico e tribale che chiederanno di tornare a contare sui destini del paese.

Quello che possiamo prevedere è che dovremo attenderci una mega ondata di rifugiati diretti in Europa attraverso la via Balcanica dopo essere passati dall’Iran e dalla Turchia. Più complesso fare previsioni sulla stabilità politica e militare dell’Afghanistan.

Cosa faranno i “signori della guerra” messi temporaneamente fuori dai giochi? I principali di loro sono sfuggiti alla cattura: Ismail Khan, signore di Herat, è riparato in Iran, Dostum e Noor sono in Uzbeikistan e il figlio di Shah Massoud è nella roccaforte del Panjshir, territorio non ancora nelle mani dei Talebani. Anche i tagiki si sono asserragliati nel Panjshir, Ahmad Massoud, figlio del leggendario Ahmad Shah, Amrollah Saleh, ex vice di Ghani, e Bismillah Khan, ministro della Difesa, si stanno opponendo. I talebani sarebbero andati da Tolo News, il principale canale news, dicendo loro di autocensurarsi per poter andare avanti. La resistenza ai Talebani è sostanzialmente in mano loro, se e quando i governi limitrofi o delle potenze protettrici li sosterranno in futuro in funzione anti pakistana e forse anti cinese in una delle tante guerre per procura che si sono combattute in passato in questa terra, “tomba degli imperi”.

 

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