È bastato l’incontro con i vescovi francesi in Vaticano lo scorso 13 dicembre per fugare i dubbi che papa Francesco aveva espresso sul volo di ritorno da Atene a proposito dell’ampia indagine sulle violenze sessuali nella chiesa, nata nel 2018 su iniziativa unanime del clero francese, che l’ha affidata a Jean-Marc Sauvé, già vicepresidente del Consiglio di stato, posto alla presidenza della Commissione indipendente sugli abusi (Ciase): «Tutti quelli che avevano fatto di tutto e speravano in un rifiuto netto da parte di papa Francesco non sono stati accontentati», dice il presidente della Ciase.

Il riferimento è al cahier de doléance presentato da alcuni intellettuali dell’Académie catolique française, che in un documento di 15 pagine stilato in un mese hanno criticato la metodologia del rapporto.

Sauvé, che incontrerà con la commissione il pontefice, interpreta le parole di Francesco ai vescovi come l’acqua che spegne il fuoco delle polemiche: «Credo che il papa abbia valutato positivamente il lavoro dell’episcopato francese sul documento e li ha incoraggiati a proseguire in questa direzione».

Accademia in rivolta

Non è trascorso un tempo sufficiente a rianimare l’opinione pubblica sconvolta dalle cifre riportate dal rapporto Sauvé – la stima per difetto è di 330mila vittime in 70 anni, con un terzo di aggressioni commesse da laici – che otto intellettuali dell’Académie catolique française hanno indirizzato a papa Francesco un documento severo sulle metodologie d’indagine intraprese dalla Ciase.

«È vero, i cattolici conservatori si sono mostrati sin da subito scettici sui risultati e le nostre proposte: li vedono come un tentativo di destabilizzare la chiesa. A queste voci si è poi aggiunta l’Académie catolique, un’istituzione dal nome prestigioso, ma di recente costituzione e molto poco conosciuta, che ha rilanciato con toni aggressivi i nostri tentativi di denuncia. Per di più, lo ha fatto con un approccio sleale, indebolendo il nostro lavoro in segreto, senza avviare un dibattito né un contraddittorio. Ha screditato la stima del numero degli abusi, per giunta senza supportare in alcun modo le sue denunce», dice Sauvé.

I firmatari del contro-documento costituiscono il 4 per cento dei 200 membri dell’Académie: una voce minoritaria, che ha innescato un effetto domino di defezioni in un’istituzione che rischia di morire sul nascere.

I primi a dimettersi sono stati il presidente della conferenza episcopale francese, Éric de Moulins-Beaufort, e suor Véronique Margron, che guida la Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia: «Penso che si siano dimessi per protesta, perché l’Académie ha indirettamente attaccato i provvedimenti presi dalle due conferenze subito dopo la presentazione del rapporto», spiega Sauvé, che in qulla stessa istituzione ha invece preferito restare: «L’ho fatto perché cerco, senza illudermi troppo, di dialogare dentro l’Académie. Per ora decine di intellettuali la lasceranno: è un disastro per lei e per la stessa chiesa cattolica di Francia».

Le cifre e l’ermeneutica

Il 20 novembre 2018 a Parigi la conferenza dei vescovi, insieme ai religiosi e alle religiose di Francia, ha chiesto al cattolico Sauvé di sciogliere la matassa degli abusi degli ultimi 70 anni.

Sauvé ha costituito un’équipe autorevole, arrivando a risparmiare circa un milione di euro sul budget di 3,5 milioni messogli a disposizione dall’episcopato: «Dapprima abbiamo creato una linea per le segnalazioni aperta per 17 mesi, 7 giorni su 7, 12 ore al giorno, raccogliendo quasi 6.500 testimonianze relative a 2.738 vittime. Poi abbiamo inviato loro un questionario dettagliato, che è stato compilato da 1.628 persone, per lo più abusate quando erano minorenni, e a 243 di loro abbiamo dedicato colloqui prolungati. Sulla base dei questionari e delle interviste, l’Istituto nazionale di sanità (Inserm) ha condotto uno studio sugli effetti degli abusi sulle vittime. Abbiamo, poi, affiancato una ricerca negli archivi diocesani e pubblici. Sono stati consultati gli archivi di circa 50 diocesi e congregazioni religiose, con un’ottima collaborazione da parte della chiesa: questo ci ha permesso di contare 4.800 vittime. La Ciase ha poi indagato sugli autori delle violenze sessuali: abbiamo intervistato un campione di sacerdoti o ex sacerdoti che hanno accettato di rispondere alle domande e studiato cinquanta perizie psichiatriche di chierici condannati. Infine, abbiamo condotto un’indagine sulla popolazione generale coinvolgendo 28.010 adulti per scoprire se fossero stati abusati quando erano bambini, indipendentemente dall'ambiente in cui si sarebbe verificata la violenza. Proprio questa indagine ci ha portato a stimare a 216mila il numero di adulti che, durante la loro infanzia, sono stati vittime d  sacerdoti, religiosi e religiose: un numero terrificante, che ha fatto una profonda impressione anche sulla chiesa».

A chi critica l’assenza di un approccio ermeneutico, che tenga cioè conto del contesto temporale di riferimento, Sauvé ribatte citando il lavoro intrapreso con gli storici dell’École Pratique des Hautes Études: «In realtà, gli storici dell’École hanno esaminato in modo molto approfondito come la chiesa cattolica abbia inteso la criminalità infantile secondo i tempi e ha cercato di venire in aiuto dei sacerdoti in difficoltà tra gli anni Cinquanta e Sessanta», dice.

Dal rapporto è emerso che il primo ventennio analizzato è stato anche il periodo in cui ha avuto luogo la maggior parte delle violenze sessuali: «Non voglio essere presuntuoso, ma va ammesso che il rapporto rappresenta un’indagine storica senza precedenti per la chiesa. La cosa che ci ha colpito resta la profondità delle conseguenze a lungo termine delle aggressioni sessuali, perché abusi risalenti a più di 60 anni fa, non certo stigmatizzati all'epoca come lo sono oggi, continuano a pesare molto negativamente sulle vittime, le cui vite personali, sessuali ed emotive sono ancora gravemente colpite. Molti di loro, che oggi hanno 60 o 70 anni, provano ancora disagio, dolore e sentimenti di vergogna e senso di colpa, che non possono essere messi in dubbio se non li si è né incontrati né ascoltati».

Non uccidere

La Ciase ha messo le vittime al centro, riservando la parte finale del rapporto a 45 raccomandazioni per l’avvenire della chiesa di Francia.

Dice Sauvé: «Le raccomandazioni riguardano tanto il passato quanto il futuro stesso della chiesa. Abbiamo elaborato una serie di osservazioni sulla governance della chiesa, la riforma del diritto canonico, alcune formulazioni della teologia, dell'ecclesiologia e della morale sessuale nella chiesa, includendo la formazione dei sacerdoti e il discernimento vocazionale. Tranne che sul tema della confessione, la Commissione non è distante né dai dogmi, né dalla dottrina e neppure dagli insegnamenti impartiti dal cattolicesimo».

Mettendo a fuoco la sessualità, che nella chiesa resta un tema insoluto, la Ciase ha chiesto di inserire gli abusi nel quinto comandamento, “Non uccidere”, piuttosto che nel sesto, “Non commettere atti impuri”.

«Siamo convinti che alcuni cosiddetti “reati contro la castità” siano anche gravi attentati all’integrità piscofisica della persona: è il caso dell’aggressione sessuale e dello stupro, che sono opere di morte per le vittime. Non stiamo proponendo una rivoluzione, ma un chiarimento. Il nostro è piuttosto un richiamo al buon senso delle persone, perché non tutte le offese alla castità sono uguali e alcune sono anche più gravi di altre». 

Ha invece scatenato un’accesa polemica la raccomandazione 43, che propone di limitare il segreto confessionale quando le conseguenze delle azioni hanno un risvolto penale. 

«Questa è senza dubbio la raccomandazione più delicata. Abbiamo ritenuto necessario ricordare che, quando un confessore viene al corrente di un caso di abuso, secondo il codice penale francese ha il dovere di denunciare. È vero, esiste una netta contraddizione tra il diritto civile e il diritto della chiesa, ma questa contraddizione è davvero insormontabile? Non la penso così. Se la violenza sessuale costituisce una colpa grave per il suo autore, denunciare non è forse una violazione del segreto confessionale. Se poi questa viene confessata dallo stesso autore, non credo che il confessore possa concedergli l’assoluzione se egli stesso non si costituisce. Perché non può esserci assoluzione senza pentimento, ma si ammette la contrizione senza che il reo si costituisca davanti alla giustizia?», si domanda l’ex vicepresidente del Consiglio di stato.

È l’ultimo di tanti interrogativi che Sauvé porrà a Roma dove, malgrado gli intenti, si fatica a trovare una linea per guarire quella che appare come la più grave ferita della chiesa cattolica.

© Riproduzione riservata