La famigerata controffensiva ucraina su cui tante speranze erano state appuntate è in corso ormai da un mese e i progressi sul campo di battaglia sono stati deludenti. «La controffensiva è più lenta di quanto vorremmo», ha ammesso due settimane fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Nel frattempo, con in mezzo il ritiro e poi l’ammutinamento della famigerata Wagner, il fronte non è avanzato che di pochi chilometri.

Nonostante le pesanti perdite subite da entrambi i contendenti, tanto i russi quanti gli ucraini tengono ancora in riserva il grosso delle loro forze. L’esito finale di questo contrattacco che, nel bene o nel male, potrebbe decidere la guerra, è ancora da decidere.

Obiettivi e risultati

La controffensiva ucraina è iniziata tra il 4 e il 5 giugno, quando nelle regioni di Zaporizhzia e Donetsk gli ucraini hanno mandato all’attacco parte delle unità addestrate in occidente e dotate di veicoli forniti dalla Nato – come i famosi Leopard tedeschi e i Bradley americani. Un mese di combattimenti ha portato alla liberazione di circa 300 chilometri quadrati di territorio – è la stima del ministro della Difesa britannico Ben Wallace. Gli ucraini parlano di 130 chilometri quadrati liberati soltanto sul fronte meridionale, il teatro più importante delle operazioni.

Sono estensioni di terreno paragonabili a quelle conquistate dai russi nella loro offensiva invernale, oggi giudicata un sanguinoso fallimento, e molto più ridotte di quanto ottenuto dagli ucraini in autunno, quando hanno liberato circa 3mila chilometri quadrati in tre mesi di combattimenti. Per dichiarare vittoria e giustificare il sacrificio di soldati e mezzi, Kiev dovrà ottenere qualcosa di più di quanto fatto fino ad ora. Ma quanto e a che prezzo?

L’obiettivo non dichiarato ufficialmente della controffensiva è arrivare al Mar d’Azov e tagliare il famigerato corridoio di terrra che connette la Crimea alla Russia. Per farlo gli ucraini dovranno attraversare 90 chilometri di territorio pieni di trincee, bunker e fossati anticarro. Tra tutti i tipi di fortificazioni, i campi minati hanno acquisito una fama particolarmente sinistra. Alcuni sono stati disposti dai russi negli scorsi mesi. Altri vengono creati sul momento, con l’uso di appositi razzi e proiettili di artiglieria. Molti dei veicoli ucraini distrutti che si vedono nei filmati russi sono stati immobilizzati proprio da queste armi. «Le mine sono terrificanti, mi spaventono più di qualsiasi altra cosa», ha detto un soldato ucraino impegnato sul fronte orientale alla Bbc.

Esperti e analisti avvertivano da tempo sulle difficoltà a cui sarebbero andati incontro. Quello ucraino è il primo esercito moderno impegnato ad assaltare una linea fortificata senza godere della superiorità aerea. La difesa russa ha mostrato «un inaspettato grado di coerenza», ha scritto il seguito Institute for the study of war e la controffensiva si è trasformata in una guerra di posizione. Gli ucraini avanzano di 500 metri o al massimo un paio di chilometri al giorno, ha detto questa settimana Mark Milley, il generale più alto in grado degli Stati Uniti. L’opinione generale tra alleati ed analisti è che, di questo passo, gli ucraini esauriranno le loro riserve prima di raggiungere un qualsiasi obiettivo importante.

Cambio di passo

Non è detto che l’offensiva non possa svoltare e di sicuro gli ucraini sperano di cambiare la situazione. La stima principale è che l’offensiva ucraina durerà circa due mesi prima di culminare. Nel frattempo, lungo tutto il fronte i droni vanno a caccia di posti di comando e depositi di munizioni, l’artiglieria si scambia colpi e le pattuglie di commando si infiltrano nella terra di nessuno.

Lo scorso autunno, dopo settimane di apparente stallo passate a ridurre l’efficienza delle forze russe in una lenta guerra d’attrito, le difese di Kherson hanno ceduto di colpo, consentendo agli ucraini di occupare tutta la riva settentrionale del fiume Dnipro in pochi giorni. Oggi, i generali di Kiev sperano che si verifichi qualcosa di simile lungo il fronte meridionale.

Ma con una densità di difensori che è il doppio di quella incontrata a Kherson, 300 soldati per ogni chilometri quadrato secondo le stime del Pentagono, è molto più probabile che gli ucraini otterranno la loro breccia se e quando decideranno di lanciare le loro riserve in un grande assalto concentrato. 

È quello che stanno iniziando a chiedere con sempre maggiore insistenza alcuni alleati, ansiosi di vedere dei risultati ottenuti con le armi spedite in ucraina e pagate con i soldi dei loro contribuenti. Secondo le principali stime, gli ucraini hanno ancora in riserva tra due terzi e metà delle truppe messe da parte per la controffensiva, in tutto una dozzina di brigate, per un totale di 50-60mila soldati e migliaia di veicoli.

Gli alti comandi ucraini per ora non hanno intenzione di impiegare subito questa riserva faticosamente accumulata. «Questo non è uno show. Ogni metro che conquistiamo ci costa sangue», ha risposto il comandante in capo ucraino Valery Zhaluzhny a chi chiedeva impegnarsi più a fondo negli attacchi.

Il futuro

Per il momento, nonostante qualche segnale di impazienza, il supporto degli alleati alla controffensiva rimane forte. Dagli Stati Uniti sono già arrivati in Ucraina abbastanza blindati da sopperire a tutte le perdite subite fino a questo momento. Nuove munizioni sono in arrivo dalla Danimarca, mentre Germania e Paesi Bassi stanno spendendo in Ucraina nuovi carri armati Leopard.

Gli ucraini lamentano ancora l’insufficiente numero di proiettili di artiglieria e criticano la lentezza con cui gli alleati stanno rendendo la loro aviazione in grado di far volare aerei F-16 (il Pentagono non li considera una priorità in questo momento). Ma nonostante le mancanze, il sostegno degli alleati non è mai stato così elevato.

Ma senza una chiara vittoria da mostrare agli alleati nei prossimi mesi, non è detto che Kiev riceverà altrettanto sostegno per la sua prossima offensiva. Che arrivino al Mar D’Azov o meno, questa potrebbe essere l’ultima occasione per Kiev di dimostrare che con il giusto sostegno sono in grado di infliggere una significativa sconfitta all’esercito russo e di liberare i territori occupati, non importa quanto difesi.

Per russi, respingere l’attacco significherà rendere chiaro che difficilmente abbandoneranno i territori occupati e questo potrebbe spingere Kiev a modificare la sua politica ufficiale che prevede la liberazione di tutto il paese, Crimea compresa.

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