Mentre la guerra in Ucraina sembra a un punto di svolta, la tensione nel Mediterraneo tra due alleati Nato – Grecia e Turchia – continua a salire. Lo scambio di accuse e di minacce tra i leader dei due paesi registra toni sempre più alti e la possibilità che un incidente faccia degenerare la situazione nel mare nostrum si fa sempre più probabile.

Al centro della contesa vi sono ancora una volta le isole del mar Egeo, appartenenti alla Grecia ma la cui sovranità è messa in discussione dalla Turchia, che ne contesta tra l’altro la militarizzazione in violazione dei trattati internazionali. La Grecia invece ha più volte denunciato lo sconfinamento nel suo spazio aereo da parte dei jet turchi, che sarebbero tra l’altro finiti nel mirino del sistema di difesa S-300 presente sull’isola di Creta durante una missione di riconoscimento in ambito Nato.

A mettere a rischio il delicato equilibrio nel Mediterraneo è stato anche un incidente che nei giorni scorsi ha visto coinvolta la guardia costiera greca, accusata da Ankara di aver aperto il fuoco contro una nave turca che si è rifiutata di fermarsi per un’ispezione nell’Egeo settentrionale.

La contesa nel Mediterraneo definisce ormai da anni il rapporto tra Grecia e Turchia, ma ciò che accade nel mare nostrum interessa anche gli altri paesi della Nato e produce degli effetti negativi sull’immagine stessa dell’Alleanza in un momento in cui mostrare solidità e compattezza è invece fondamentale.

Divisioni interne

Lo scontro per le isole dell’Egeo tra Ankara e Atene ha creato delle divisioni all’interno della Nato tra chi ha preso posizione in favore del governo greco e chi sostiene invece la Turchia. Per capire quali paesi appartengono a quale schieramento, è necessario guardare non tanto alle dichiarazioni ufficiali, quanto alle esportazioni belliche e agli investimenti nel settore militare.

La Francia, per esempio, ha preso le parti della Grecia nella contesa per il Mediterraneo, come dimostrano gli accordi di cooperazione militare e di compravendita siglati negli ultimi anni tra Atene e Parigi. Nello specifico, la Francia ha venduto alla Grecia 18 aerei da caccia Rafale per un valore di 2,5 miliardi di euro nel 2021, mentre quest’anno il governo greco si è impegnato ad acquistare tre fregate Belharra e altri sei Rafale tramite la sigla di nuovi contratti da 4,4 miliardi. Tra i due paesi vige tra l’altro un accordo per la fornitura immediata di assistenza militare in caso di attacco da parte di un paese terzo, anche nel caso in cui la minaccia provenga da un membro della Nato.

A schierarsi con Atene sono anche gli Stati Uniti, maggiore potenza dell’Alleanza atlantica. Washington sta investendo nella modernizzazione delle forze armate greche e ha rafforzato la cooperazione in materia di difesa, ottenendo l’accesso alle basi di Alessandropoli, di Georgula Barracks e al Litochoro Training Ground. Gli Usa inoltre hanno in progetto di realizzare una base navale ad Alessandropoli e una aerea a Stefanovikio per gli F16 e gli elicotteri Apache, oltre a voler ampliare quella di Suda, installata sull’isola di Creta e nella quale è presente il Centro di addestramento Nato. Gli Stati Uniti inoltre sono disposti a vendere alla Grecia quegli stessi F-35 a cui la Turchia non ha invece più accesso a causa dell’acquisto degli S-400 di fabbricazione russa e delle tensioni nel Mediterraneo.

Atene quindi può fare affidamento sulla Francia e su quello che è a tutti gli effetti il paese membro più forte della Nato, ma ciò non significa che Ankara non abbia alleati all’interno dell’Alleanza. Italia, Spagna e Germania continuano a stringere accordi con la Turchia per la vendita di materiale bellico e si sono anche opposte in sede europea all’imposizione di sanzioni e di embarghi contro il paese anatolico, come invece proposto da Francia e Grecia. La collaborazione con Madrid è servita ad Ankara per realizzare la prima nave d’assalto indigena, la Tcg Anadolu, mentre Berlino ha fornito supporto per la costruzione di navi militari e ha anche venduto ad Ankara sei sottomarini della ThyssenKrupp nonostante le rimostranze greche.

L’Italia invece è il paese che ha esportato più munizioni pesanti in Turchia tra il 2018 e il 2020 e l’azienda militare pubblica turca Tai continua a produrre su licenza italiana e ad esportare gli elicotteri da guerra T-129 Atak, il cui progetto si basa sugli Aw129 della Leonardo. Per questi tre paesi europei rompere i rapporti con la Turchia e prendere le parti della Grecia nel Mediterraneo sarebbe quindi controproducente dal punto di vista economico, soprattutto nel settore della difesa. Nel caso della Germania va anche considerato il peso della diaspora turca, particolarmente numerosa e in parte facilmente mobilitabile contro il governo tedesco in virtù della sua fedeltà al presidente Erdogan.

La gaffe Nato

Ma a dare un’idea di quanto tesa sia la situazione all’interno della Nato rispetto al dossier greco-turco sono anche alcune gaffe fatte di recente dal Nato’s Allied Land Command (Landcom), il comando centrale che si occupa del coordinamento delle forze terrestri e con sede a Izmir. Il 30 agosto il Landcom ha pubblicato sul suo account Twitter un messaggio di auguri alla Turchia per la Festa della vittoria, nella quale si celebra la vittoria delle truppe turche su quelle greche nell’Anatolia occidentale.

Il messaggio è stato poi cancellato dietro pressioni della Grecia, causando a quel punto l’indignazione dei ministri degli Esteri e della Difesa turchi. Quest’ultimo ha accusato il Landcom di aver rimosso il tweet per accontentare un altro paese Nato «viziato ed egoista», mancando così di rispetto alle forze armate turche. La gaffe social del Landcom è solo un esempio di quanto la contesa tra Grecia e Turchia stia creando divisioni all’interno della Nato, minandone tra l’altro l’immagine in un momento in cui l’unità dell’Alleanza è fondamentale non solo per contrastare la Russia, ma anche per recuperare credibilità dopo l’accusa di morte cerebrale.

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