È un’epidemia di colpi di stato militari in Africa occidentale. Due notti fa c’è stato un putsch in Burkina Faso che si aggiunge ai quattro colpi precedenti.

In meno di due anni in Mali ce ne sono stati due: quello del 18 agosto 2020 e quello del 24 maggio del 2021 che hanno definitivamente consolidato la presa dei militari sulle istituzioni.

Il Ciad ha vissuto un paradossale auto-golpe il 20 aprile 2021, dopo la morte improvvisa del presidente Idriss Deby. Per mantenere il controllo del paese l’esercito ha sciolto l’assemblea nazionale e soppresso la Costituzione, creando un consiglio militare di transizione con a capo il filgio di Deby, Mahmat.

In Repubblica di Guinea i militari si sono sollevati il 5 settembre 2021 arrestando il presidente Alpha Condé dopo che il paese era stato attraversato da forti proteste a causa della forzatura costituzionale da parte di quest’ultimo sulla questione del terzo mandato, divenuta in Africa un tabù, almeno per i governanti civili.

L’altro ieri a impossessarsi del potere a Ouagadougou è stato un folto gruppo delle ex guardie presidenziali, del cui malcontento contro il presidente Roc Christian Kaboré si vociferava da settimane. Con lui sono stati arrestati i membri del governo e il presidente dell’assemblea nazionale.

Alcuni specialisti pensano che l’epidemia proseguirà, mettendo ad esempio a repentaglio la stabilità di paesi come la Costa d’Avorio, il Camerun, il Niger o il Benin, dalle cui caserme sale un mormorio di insoddisfazione.

All’origine del fenomeno

Quali sono le ragioni di tali scossoni? Innanzitutto va detto che i paesi dell’Africa occidentale sono da anni in balia degli attacchi jihadisti che vanno sempre più intensificandosi.

In modi diversi sia il Mali che il Burkina Faso o il Ciad sono coinvolti nella lotta antiterrorista con risultati assai deludenti che hanno umiliato le forze armate nazionali, con l’aggiunta di pesanti perdite umane.

Allo stesso tempo – e per la medesima ragione – i militari africani si sono trovati in prima linea, assaporando il gusto di contare nei confronti di una classe politica imbelle e incerta.

In paesi dalle istituzioni fragili e predatrici, gli eserciti rappresentano delle realtà sociali più coese e più unite della media nazionale. Così come avvenne negli anni Settanta e Ottanta, gli alti comandi delle forze armate africane pensano di essere in grado di gestire i propri paesi meglio di una classe politica che reputano corrotta e impotente.

La novità risiede nel fatto che nei decenni passati i putsch erano coordinati con le ex potenze coloniali, soprattutto con la Francia. Oggi invece tutto avviene in maniera autonoma e quasi sempre in opposizione alla politica di Parigi, com’è il caso del Mali.

La stessa opinione pubblica africana esprime apertamente la propria opposizione al presunto neo-colonialismo d’oltralpe, per cui si assiste al paradosso di popolazioni che manifestano contro reparti militari venuti a proteggerli dai jihadisti.

È facile immaginare come questi ultimi approfittino della situazione ammantandosi di un finto patriottismo che amano descrive come anti imperialista. La Francia sta scontando le ingerenze compiute nei decenni passati, che hanno accumulato diffidenza e astio per giungere all’incomunicabilità.

Il Mali è l’esempio più chiaro di tale dinamica che ha allontanato Bamako da Parigi proprio quando ci sarebbe più bisogno di collaborazione.

Assieme ad altri paesi europei, l’Italia è stata invitata da Parigi a contribuire ad alcune operazioni militari nell’area (come quella delle truppe speciali Takouba) ma senza che si sia elaborata una nuova strategia a lungo termine.

In questo modo Roma rischia di ereditare il medesimo clima di sospetto, quando invece potrebbe giocare un ruolo pragmaticamente positivo, vista la buona reputazione che ha tra gli africani.

La decisione del presidente Emmanuel Macron di europeizzare la presenza francese in Africa necessita di un nuovo pensiero: qualcosa deve essere fatto urgentemente per arrestare la pandemia di golpe.

Anche se le élite militari africane possono esprimere personale politico di un buon livello (grazie alla loro formazione spesso svolta in occidente), l’Europa non può accettare l’abitudine di passaggi di potere ottenuti con la violenza o con la forza delle armi.

La preservazione delle istituzioni democratiche può e deve essere garantita in modo da salvarne la reputazione, a patto di offrire ai cittadini una vera possibilità di scelta, il che implica la ricostruzione di una relazione euroafricana libera da agende segrete e interessi nascosti. 

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