Se una strada non è più percorribile, si fa di tutto per trovare un’alternativa. Se alcune rotte diventano più complicate, sono altre ad affermarsi per le persone che hanno deciso di migrare, anche a costo di percorrere 8mila chilometri, di indebitarsi o indebitare la famiglia.

È probabilmente la storia dei 44 cittadini pakistani che hanno perso la vita in viaggio verso le Isole Canarie, insieme ad altre sei persone. In tutto almeno cinquanta migranti sono morti nel naufragio di un cayuco (i pescherecci comunemente usati in Senegal e Mauritania) partito dalle coste mauritane lo scorso 2 gennaio e diretto verso le isole spagnole. «Sono passati tredici giorni di traversata agonizzante senza che siano arrivati i soccorsi», ha denunciato Helena Maleno, portavoce dell’ong spagnola Caminando Fronteras, che ha diffuso la notizia. 

Sull’imbarcazione ci sarebbero state 86 persone, fa sapere l’ong, di cui 66 cittadini pakistani. Trentasei i naufraghi tratti in salvo dalle autorità marocchine, tra cui un adolescente. «Abbiamo dato l’allarme sei giorni fa a tutti i paesi che condividono le acque di salvataggio, come prevede il nostro protocollo per le imbarcazioni disperse», ha spiegato l’ong al quotidiano spagnolo elDiario.es.

La «tragedia» è stata confermata dall’assessore alla Transizione ecologica dell’amministrazione regionale delle Canarie in quota Partito Popular, Mariano Hernández Zapata, che, intervistato nel programma Hoy por Hoy Las Palmas, ha definito quello delle Canarie «un gravissimo problema con l’immigrazione», perché «un giorno sì e l’altro pure ci sono nuovi morti». Per Hernández Zapata la politica deve prendere decisioni. 

Anche il presidente delle Canarie, Fernando Clavijo, ha sollecitato un intervento al governo nazionale e all’Unione europea: «Non si può essere solo testimoni», ha scritto su X, «lo stato e l’Europa devono agire. L’Atlantico non può continuare a essere il cimitero dell’Africa. Non si può voltare le spalle a questo dramma umanitario».

Non è la prima tragedia del 2025: il 1° gennaio, racconta elDiario.es, è arrivato sulle coste meridionali di Tenerife un cayuco con a bordo 60 persone, due di loro avevano perso la vita durante la traversata. Una di queste probabilmente minorenne.  

La rotta atlantica

Oltre alla rotta balcanica, a quella del Mediterraneo centrale – verso l’Italia – e la rotta spagnola attraverso le enclave in Marocco Ceuta e Melilla, esiste un altro percorso di accesso all’Unione europea, in assenza di altri modi per fare ingresso legalmente: la via Atlantica, o dell’Africa occidentale. 

Caminando Fronteras, che da anni monitora i naufragi lungo le direttrici migratorie verso la Spagna, ha definito questo tratto il «più mortale». Secondo il rapporto più recente “Monitoraggio del diritto alla vita”, del 2024, sulla rotta atlantica sono morte almeno 9.757 persone. «Il 2024 ha superato tutti i record di vittime al confine occidentale euro-africano», ha scritto l’ong: in tutto «10.457 persone morte o disperse, una media di 30 al giorno». Tra queste, 421 donne e 1.538 bambini e adolescenti. Il numero maggiore di vittime è stato registrato nei mesi di aprile e maggio. 

Le imbarcazioni partono principalmente da Marocco, Sahara occidentale, Senegal e Gambia, ma nel 2024 – si legge nel rapporto di Caminando Fronteras – a consolidarsi come il maggior corridoio migratorio è stata la Mauritania, una rotta però che ha registrato «la più alta percentuale di tragedie». Il paese costiero dell’Africa occidentale funziona da paese di transito, e quindi la maggior parte delle persone migranti che attraversano la rotta provengono da altri paesi, «in particolare dal Sahel», scrive la ong.

Provengono da 28 paesi le persone che sono morte in quel tratto di mare: dagli stati dell’Africa occidentale – come Mali, Senegal, Guinea Bissau e Conakry, Gambia, Mauritania, Ghana – agli stati orientali del continente – Somalia, Sudan, Etiopia, Egitto – a paesi dell’Asia, come il Pakistan e il Bangladesh.

Le partenze sono diminuite, ma la zona marittima del Senegal e del Gambia continuano a registrare «un numero allarmante di vittime», non solo per il numero di persone che la percorrono ma anche per «la carenza di mezzi di soccorso». 

La lunghezza della rotta dell’Africa occidentale, spiega un documento del Consiglio d’Europa, può variare da meno di 100 chilometri, nel punto più vicino della costa africana alle Canarie, a oltre 1.600 dal Gambia.

Sono numeri dietro ai quali però, scrive Caminando fronteras, «c’è la disumanizzazione e la criminalizzazione dei migranti attraverso politiche che privano queste persone dei loro diritti, trasformando le loro vite in vite senza valore».

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