Nei cinque anni di mandato, dal 2019 al 2024, l’approccio e la narrazione sull’immigrazione della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sono cambiati drasticamente e la questione migratoria è passata al centro della sua politica. Von der Leyen non parla di accoglienza, ma sposa un approccio conservatore e securitario, avvicinandosi così sempre di più alle idee del presidente del partito popolare europeo, Manfred Weber. È diventata la sua strategia politica per puntare, di nuovo, alla guida dell’organo esecutivo dell’Unione europea, come candidata del Partito popolare europeo.

Il 23 settembre 2020, alla conferenza stampa di presentazione del Patto europeo per la migrazione e l’asilo, von der Leyen descriveva la migrazione come «un fatto per l’Europa; nei secoli, ha definito società, arricchito le nostre culture e ridisegnato molte delle nostre vite. E sarà sempre così». Nemmeno quattro anni dopo, poco prima dell’approvazione definitiva del nuovo Patto, la presidente della Commissione, in qualità di spitzenkandidatin del Ppe, al congresso di Bucharest 2024 ha assicurato agli europei che siamo «noi» a decidere «chi viene in Europa e in quali circostanze», non sono le organizzazioni criminali. Come? Con il rafforzamento delle frontiere esterne dell’Ue.

Solo nell’ultimo anno la commissione ha accelerato la firma di diversi accordi di esternalizzazione delle frontiere con paesi terzi, con l’obiettivo dichiarato di fermare i flussi migratori. A qualunque costo, come insegna il caso libico, con cui l’Italia ha firmato il primo memorandum d’intesa nel 2017. Milioni di euro finiti nelle tasche delle milizie libiche, con cui sono stati finanziati i lager, quei luoghi di gravi violazioni dei diritti umani. Sulla stessa linea molti degli accordi firmati dall’esecutivo dell’Unione, che nei corridoi di Bruxelles vengono chiamati “cash for migrants” (contanti per i migranti).

Lasciato il principio della «solidarietà tra gli Stati membri», evocato da von der Leyen nel 2020, si lavora per «rafforzare le capacità e le infrastrutture di controllo delle frontiere». Anche cercando l’approvazione della presidente dei Conservatori europei, nonché premier italiana, Giorgia Meloni.

Dietro la nomenclatura fatta di intese, accordi di partenariato strategico e memorandum si nasconde la volontà di impedire le partenze verso la fortezza Europa, chiudendo gli occhi sui diritti umani e garanzie del diritto internazionale, e cercando un consenso sempre più a destra.

Il risultato è che sono stati siglati accordi con quasi tutto il Nord Africa, ma non solo. Per la prima volta l’Ue si è estesa anche in Medio Oriente, con la definizione di un accordo con le autorità libanesi. Ma procediamo con ordine.

Tunisia

ANSA

Quello firmato nel luglio del 2023 a Tunisi da von Der Leyen, accompagnata in visita da diversi primi ministri europei tra cui anche l’italiana Giorgia Meloni, e le autorità tunisine è stato l’accordo più “chiacchierato” dell’ultimo anno e mezzo.

Un Memorandum of Understanding (Mou) che prevede una prima tranche di finanziamenti per 150 milioni di euro (che servono a stabilizzare le casse del paese) e altre successive per un totale di 900 milioni.

Il secondo pacchetto di fondi è vincolato alla stipula di un nuovo prestito tra la Tunisia e il Fondo monetario internazionale dal valore di 1.9 miliardi di dollari. Ma al momento da Palazzo Cartagine non ci sono le intenzioni di portare a termine l’accordo, dato che comporta l’introduzione di misure austere altamente impopolari. E il presidente tunisino Kais Saied, già accusato di aver virato il paese verso un regime dittatoriale, non ha intenzione di introdurre misure economiche restrittive, che vanno a colpire le fasce più povere della popolazione, per evitare manifestazioni di massa.

Anche per questo motivo dalla Commissione europea i primi 150 milioni di euro sono stati inviati soltanto nel marzo del 2024 a quasi nove mesi dalla firma del Mou. Dopo il primo finanziamento diversi giornalisti hanno chiesto ai portavoce della Commissione quali fossero stati i progressi fatti da Tunisi per ricevere i soldi.

Alle domande hanno risposto citando generali «miglioramenti negli indicatori macroeconomici», senza essere in grado di portare dati e numeri alla mano. A testimonianza che neanche Bruxelles ha contezza di come vengano utilizzati i soldi dei cittadini europei. E poco importa se il presidente Saied si è reso protagonista di discorsi xenofobi e razzisti contro la comunità subshariana presente nel paese, e che questi hanno alimentato pogrom e deportazioni contro centinaia di migranti lungo il confine con Libia e Algeria.

L’obiettivo principale della commissione europea è vedere scendere le statistiche sulle partenze dalla Tunisia, e i numeri per questo 2024 sono in netto calo. Solo in Italia al momento sono arrivati circa il 60 per cento in meno di migranti dalla Tunisia. In cambio di un alto prezzo in termini di diritti umani e forti limitazioni della libertà di movimento.

Egitto

ANSA

«Voglio esprimere grande soddisfazione anche per il ruolo che l’Italia ha svolto in questo nuovo modello operativo tra l’Europa e la sponda meridionale del Mediterraneo. Un modello a cui abbiamo dato inizio con il memorandum d’intesa in Tunisia, che sta funzionando». Con queste parole pronunciate al Cairo lo scorso 17 marzo la premier Giorgia Meloni celebrava l’accordo di partenariato strategico firmato tra la presidente della Commissione europea e le autorità egiziane, guidate dal generale Abdel Fattah al Sisi.

Sul piatto un accordo dal valore di sette miliardi e mezzo diviso in sei capitoli di spesa, di cui cinque miliardi in prestiti da quattro anni. La restante fetta dei fondi andrà a finanziare progetti bilaterali sia in campo migratorio ma anche energetico.

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Egitto ci sono nove milioni di migranti tra cui quattro milioni di sudanesi e 1,5 milioni di siriani. Persone che potrebbero partire dalle coste egiziane, a cui si sommano anche i cittadini egiziani che vivono in contesti di povertà assoluta o marginale.

Dalla fine della pandemia l’Egitto è in grave crisi economica e finanziaria, con un tasso di disoccupazione giovanile che fatica a scendere e un’inflazione sempre più alta. Lungo i suoi confini ci sono conflitti che rischiano di minarne la stabilità a partire dal contesto di Gaza fino alla guerra civile in Sudan. Per evitare il collasso del paese diversi stati arabi del Golfo Persico si sono mobilitati fornendo finanziamenti, immettendo denaro liquido nella Banca centrale egiziana e comprando aziende di stato attive in settori strategici del paese.

Ora a dare una mano ci ha pensato anche Bruxelles, con il sostegno dell’Italia, mentre a Roma è in corso il processo a carico dei servizi di sicurezza egiziani accusati della tortura e omicidio di Giulio Regeni.

Libano

Lo scorso 2 maggio von Der Leyen è poi volata in Libano insieme al presidente cipriota Nikos Christodoulides. Rispetto agli accordi firmati con Egitto e Tunisia, quello con il Libano è passato in secondo piano. Ma la ratio è la stessa.

Un miliardo di euro affinché Beirut impedisca la partenza dei migranti siriani verso Cipro. Dalla piccola isola, infatti, le autorità hanno annunciato che da inizio anno sono arrivati sulle loro coste oltre duemila siriani, contro i settantotto dello scorso anno. Una situazione che ha messo in allarme il governo cipriota, che – dopo pressioni sulla commissione – è riuscito a ottenere la firma dell’accordo tra Bruxelles e Beirut per un miliardo di euro.

Tre quarti dei soldi serviranno per assistere le autorità libanese nell’accoglienza dei rifugiati siriani. La restante parte è destinata al finanziamento dei servizi basilari del paese. Uno degli obiettivi principali dell’accordo è l’aumento dei rimpatri dei siriani, ora che il paese è più stabile rispetto all’apice della crisi di anni fa. Per questo motivo le autorità europee aumenteranno la loro cooperazione con Unhcr.

Mauritania

EPA

Il partenariato strategico sulla migrazione si è poi esteso poco più a sud, in Mauritania, paese da cui transitano decine di migliaia di persone dagli stati dell’Africa subsahariana con l’obiettivo di raggiungere la Spagna.

Il numero di migranti che attraversano il paese è aumentato esponenzialmente: secondo i dati dell’Unhcr, nel 2023, oltre 56mila persone sono entrate in territorio spagnolo illegalmente, la quasi totalità via mare. L’agenzia francese Afp ha calcolato un aumento del 76 per cento rispetto all’anno precedente, su una rotta che è tra le più pericolose al mondo.

Per questo il 7 marzo scorso è stato lanciato l’accordo da Nouakchott, la capitale mauritana, dalla commissaria agli Affari interni Ylva Johansson e dal ministro dell’Interno del paese, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine. In un viaggio precedente la stessa von der Leyen aveva aperto il cammino per l’intesa, in compagnia del premier spagnolo Pedro Sánchez. Un accordo del valore di 210 milioni di euro che verte su investimenti, infrastrutture e posti di lavoro.

Il fulcro però rimane la cooperazione in materia migratoria, con l’obiettivo di combattere la tratta di esseri umani, attraverso l’introduzione di indagini congiunte e una maggiore cooperazione operativa e di sicurezza tra Bruxelles e Nouakchott. A questo proposito, la Mauritania ha già svolto un ottimo lavoro nel contrastare il modello di business dei trafficanti», ha dichiarato Johansson. Il piano mira poi a promuovere la migrazione regolare, ma solo per studenti, ricercatori e imprenditori.

Ad aiutare la Mauritania a rafforzare la gestione delle frontiere e aumentare le operazioni di ricerca e salvataggio ci penserà Frontex, la contestata agenzia europea di frontiera che fornirà formazione e mezzi alle autorità del paese.

Marocco

Il ruolo del Marocco è poi essenziale per le istituzioni europee che tendono sempre più verso il modello securitario. Il paese funge da “tappo” chi vuole raggiungere l’Europa: le autorità marocchine hanno dichiarato di aver impedito a oltre 75mila persone di entrare nell’Unione nel 2023.

Il Marocco e l’Ue nel 2023 hanno concordato un patto per la migrazione, ma ancora non ha visto la luce. Servirà qualche anno per creare le condizioni nei bilanci e nelle infrastrutture, ha sottolineato Deutsche Welle. Il media tedesco ha però messo in luce la vera chiave dell’accordo: cioè la legittimazione delle rivendicazioni marocchine sul Sahara occidentale, che secondo il diritto internazionale rimane occupato illegalmente da Rabat.

Un territorio in cui la popolazione saharawi lotta da 50 anni per la propria indipendenza. La migrazione rimane quindi per il paese uno strumento per fare pressione sulle istituzioni europee.

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