Sulla stampa e nella società civile occidentali divampano le critiche al Qatar, paese organizzatore del prossimo mondiale, ma nel mondo del calcio ci sono anche attori che sorvolano sul mancato rispetto dei diritti umani basilari a Doha. Il 3 novembre il presidente della Fifa Gianni Infantino, che nel 2021 ha spostato la propria residenza in Qatar, ha inviato una lettera alle trentadue federazioni che parteciperanno al mondiale chiedendo loro di mettere da parte la politica e concentrarsi sul calcio. Dieci federazioni hanno risposto pretendendo un ulteriore sforzo in difesa dei diritti umani da parte del massimo organismo calcistico mondiale e del paese organizzatore. In particolare, spingono per la creazione di un centro permanente che si occupi di diritto del lavoro e un fondo di compensazione per i lavoratori migranti e le loro famiglie.

Di queste federazioni nessuna è africana. «In molti casi, stiamo parlando di paesi che hanno essi stessi questioni irrisolte relative ai diritti umani e in cui non è permesso parlarne liberamente», fa notare Osasu Obayiuwana, giornalista nigeriano esperto in governance calcistica. Soffermandosi sulle nazioni qualificate, ad esempio, è possibile osservare come nessuna di esse possa vantare una levatura morale tale da poter pontificare sulla situazione di un altro paese.

Dal 2017 il Camerun è protagonista di un sanguinoso conflitto interno con le regioni anglofone dell’ovest. Nel corso del 2022 Ghana e Senegal hanno vissuto giorni di proteste a più riprese che, a Dakar, sono state spesso represse violentemente. Il Marocco porta avanti una decennale oppressione nei confronti del Sahara occidentale, che il Qatar appoggia con discrezione. La Tunisia è recentemente caduta in un vortice regressivo in termini di libertà individuali. I due paesi nordafricani, inoltre, mantengono solide relazioni economiche col paese del Golfo: il Qatar è rispettivamente il quinto e secondo investitore in Marocco e Tunisia in molti settori cruciali come il turismo, e sono migliaia i cittadini di entrambi i paesi che vivono a Doha e dintorni. Nel 2016 i marocchini erano circa 7mila, mentre i tunisini addirittura 21mila.

Per questa serie di ragioni, secondo varie voci provenienti dai paesi sopracitati, gli scandali che circondano il paese organizzatore del mondiale non sono nemmeno tema di dibattito pubblico. In molte società africane protestare contro l’organizzazione di una Coppa del mondo potrebbe essere visto come un privilegio. A farne le spese sono i lavoratori che cercano fortuna in Qatar e le famiglie di coloro che nel paese asiatico hanno perso la vita nei cantieri di costruzione degli stadi che non possono contare sui propri governi per chiedere giustizia o un trattamento migliore.

«Africani di diversi paesi hanno iniziato a cercare lavoro in Qatar già molti anni fa, ancor prima che al Qatar venisse assegnato il mondiale. È un problema di vecchia data e non mi aspetto che le federazioni facciano qualcosa», continua Obayiuwana. «Di certo nessuno nel mondo del calcio si esporrà prima di chi lo governa. Forse lo farebbe se il proprio governo ne parlasse apertamente».

Le ingerenze della Fifa

Alla dimensione politico-economica si aggiunge poi quella sportiva. L’Africa è da tempo diventata il continente preferito di Infantino. A cavallo tra il 2020 e il 2021 la sfida a quattro tra Ahmed Yahya (Mauritania), Augustine Senghor (Senegal), Jacques Anouma (Costa d’Avorio) e Patrice Motsepe (Sudafrica) per la presidenza della Confederazione africana di calcio (Caf) rappresentava una pluralità di opzioni mai vista prima. Ma è durata solo qualche mese. L’indipendenza del processo elettorale è infatti venuta meno a partire dal 6 febbraio 2021 con l’inizio del tour africano di Infantino.

Nei successivi dieci giorni il presidente della Fifa ha girato l’Africa in lungo e in largo su un jet privato concesso dalla Qatar Airways, compagnia di bandiera qatariota e tra i maggiori partner della Fifa insieme alla connazionale QatarEnergy. Ufficialmente in missione per dare una mano al calcio africano, Infantino si è riunito con i presidenti federali e i capi di stato più influenti per elaborare un piano comune e arrivare alle elezioni del 12 marzo con un solo candidato appoggiato dall’intero continente.

Il prescelto è stato Motsepe, proprietario dell’African rainbows mineral e terzo uomo più ricco del Sudafrica con un patrimonio netto stimato di 3 miliardi di dollari. In altre parole, si è trattato di un piano volto a esercitare un controllo diretto sul nuovo presidente in vista delle elezioni della Fifa che si terranno nel 2023 e a cui Infantino si candiderà per il terzo mandato consecutivo.

Va da sé che le rinunce di Yahya, Anouma e Senghor non hanno tardato ad arrivare, con quest’ultimo che ha dichiarato esplicitamente di «aver accettato la proposta consensuale sottoposta da Fifa, Marocco ed Egitto (due tra le federazioni di maggior peso, ndr) in nome dell’interesse superiore dell’unità del calcio africano».

La ragione che spinge Infantino a interessarsi tanto agli affari interni alla Caf è palese. È una confederazione composta da 54 federazioni che corrispondono a circa il 26 per cento delle 211 federazioni affiliate alla Fifa, e contare sul sostegno del suo presidente garantirebbe a Infantino una solida base per poter essere rieletto. Detto, fatto. Lo scorso agosto Motsepe ha comunicato che la Caf appoggerà il «fratello europeo» Infantino all’unanimità alle elezioni del prossimo marzo.

L’ingerenza della Fifa però non si è limitata alla scelta del candidato ideale per la presidenza. Scottato dal mandato fallimentare di Ahmad Ahmad – dirigente malgascio che aveva supportato nel 2017 per spodestare Issa Hayatou, più vicino a Joseph Blatter – Infantino ha deciso di cautelarsi piazzando il fedelissimo Veron Mosengo-Omba sulla poltrona della segreteria generale. Suo amico sin dai tempi dell’università, lo svizzero-congolese figurava in precedenza nell’organigramma della Fifa, per cui gestiva i rapporti con le federazioni affiliate.

Alla Caf, oltre a far sì che il supporto per Infantino non si sfaldi, Mosengo-Omba si occuperà degli affari economici che la Fifa intrattiene nel continente africano. Su tutti la creazione di una Superlega africana sulla falsariga di quella rigettata in Europa. La nuova competizione, che sarà inaugurata ad agosto 2023, è stata fortemente sponsorizzata da Infantino, che l’ha anche presentata insieme a Motsepe all’ultimo congresso della Caf.

I tentacoli del Qatar

La dimensione sportiva, infine, si snoda a sua volta nei vari rapporti individuali che le singole federazioni conservano col Qatar e che chiudono le porte a qualunque critica sull’operato di Doha. Qatar Airways è lo sponsor principale del Club Africain, uno dei due club più tifati e influenti in Tunisia.

Da mesi il Ghana sta facendo pressioni sul Qatar affinché gli venga donato uno degli stadi smontabili che il paese organizzatore potrebbe donare dopo il mondiale. Fino al 2020 Saly Portudal, cittadina senegalese in cui ha sede il Diambars FC, è stata la base africana dell’Aspire, l’accademia di calcio qatariota che ha formato l’attuale nazionale del Qatar grazie anche a un controverso reclutamento massiccio di ragazzi, spesso minorenni, in diversi paesi africani.

Come scrive Christophe Gleizes nel suo libro Magique system, il presidente del Diambars FC Saer Seck, che ricopre anche il ruolo di vicepresidente della federcalcio senegalese, affittava personalmente terreni e infrastrutture all’accademia asiatica. «Ogni paese africano, così come qualunque altro paese nel mondo, guarda alla situazione in Qatar attraverso le lenti dei propri interessi politici ed economici», conclude Obayiuwana. Questo consente ai lunghi tentacoli del Qatar di coprire gran parte dell’Africa senza bisogno di ripulire la propria immagine.

Per evitare le critiche è sufficiente far leva sulle esigenze economiche e sulle lacune governative dei paesi che compongono il continente.

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