Domenica 20 novembre prende il via in Qatar la 22esima edizione della Coppa del mondo Fifa, che si concluderà il 18 dicembre. I mondiali più discussi di sempre rendono definitivamente il calcio uno strumento al servizio degli interessi delle potenze globali: di questo e non solo si parla nel nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, grazie agli approfondimenti di Alessio Postiglione, Andrea Goldstein, Clara E. Mattei e tanti altri, sempre accompagnati dalle mappe a cura di Daniele Dapiaggi e Bernardo Mannucci di Fase2studio Appears. Iscriviti alla newsletter per ricevere aggiornamenti sulle prossime uscite. 

Cosa c’è nel nuovo numero

Alessio Postiglione chiarisce perché il calcio è esso stesso un soggetto geopolitico: in un mondo in cui le potenze economiche dettano le proprie condizioni agli stati e alla politica, l’economia del calcio, con un giro d’affari di 28,4 miliardi di euro, surclassa quella di molti stati sovrani. Gli stati lo usano per far affermare il proprio status e per i loro obiettivi strategici, come accade tra Stati Uniti e Cina. La Fifa, a cui fanno capo 211 federazioni nazionali organizzate in sei confederazioni continentali, è un attore paragonabile all’Onu, e possiede anzi più membri delle Nazioni unite, che si ferma a 193. 

Specificato il peso geopolitico del calcio, Postiglione illustra i pilastri del potere qatariota. Il piccolo paese con soli 333mila abitanti e il 13 per cento delle riserve di gas globali ha creato fin dagli anni Novanta un autonomo percorso internazionale, differenziandosi dalle altre monarchie del Golfo sunnite sia per l’evoluzione politica – monarchia costituzionale e sotto l’ombrello Usa –, sia per le operazioni sportive, prima tra tutte l’acquisto del Paris Saint-Germain. Ma oltre a sancire il suo posizionamento internazionale, i mondiali rappresentano per Doha un’arma a doppio taglio: dopo aver schivato le accuse di corruzione e terrorismo, il paese è adesso al centro di polemiche per lo sfruttamento di manodopera immigrata per la costruzione degli stadi e per gli attacchi alle comunità Lgbtq+.

Luca Sebastiani prosegue sul tema dei diritti calpestati o ignorati dal Qatar facendo luce sull’alleanza trasversale di tifosi che ha deciso di boicottare il mondiale: le tifoserie europee hanno infatti in questi mesi intensificato le campagne di boicottaggio per protestare contro le gravi mancanze nella sicurezza che, secondo un’inchiesta del Guardian, hanno causato la morte di oltre 6mila operai durante la costruzione dei nuovi impianti sportivi, e contro le violazioni dei diritti civili, in un paese in cui l’omosessualità è proibita per legge. In prima linea ci sono le curve tedesche, ma anche in Italia si invita a tenere spenta la televisione.

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Alia Alex Čizmić spiega a seguire perché l’Africa sorvola sui diritti violati in Qatar: esigenze economiche e lacune governative non consentono agli stati africani di criticare l’operato di Doha. «In molti casi, stiamo parlando di paesi che hanno essi stessi questioni irrisolte relative ai diritti umani e in cui non è permesso parlarne liberamente», fa notare Osasu Obayiuwana, giornalista nigeriano esperto in governance calcistica interpellato da Čizmić. A questo si aggiungono le ingerenze della Fifa e del suo presidente Gianni Infantino, sempre più legato al continente africano e in cerca di voti per essere rieletto alle elezioni del prossimo marzo. 

Pippo Russo fa riferimento a una vera e propria «svolta post democratica» del calcio globale: la doppia assegnazione dei mondiali a Russia e Qatar avvenuta nel 2010 ha definitivamente sancito la tolleranza della Fifa verso i paesi non democratici. La vasta disponibilità di capitali di questi stati – disponibilità che in Europa si trova sempre più raramente – ha ridisegnato le gerarchie calcistiche nazionali e internazionali a partire dall’estate del 2003, quando Roman Abramovich ha aperto la strada agli oligarchi comprando il Chelsea e trasformando una società di medio livello nazionale in una potenza del calcio mondiale.

L’economista Andrea Goldstein analizza infine i pregi e i difetti dello sport più amato, partendo dalle origini della Coppa del mondo: fin dal primo disputato nel 1930, ogni mondiale è un’occasione per celebrare successi e ambizioni della nazione ospite, offre opportunità per distendere le relazioni internazionali, influenza il sentiment di una comunità; ma così come l’edizione in Qatar del 2022 solleva interrogativi sullo spazio concesso a un paese molto criticato sul piano dei diritti, anche dalle competizioni continentali e femminili emergono criticità e forti disuguaglianze.

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Collegandosi alla questione di genere, il politologo Francesco Strazzari torna nell’arena domestica, soffermandosi sulle occasioni mancate del Pd: il partito ha pubblicato nei giorni scorsi il Documento finale sui «valori e interessi per una nuova politica estera del Pd» che ambisce a portare avanti un «pensiero rinnovato», ma, al netto di altre significative omissioni, dalla pace ai movimenti, colpisce il silenzio sulla dimensione di genere, raccomandata invece in più sedi a livello europeo. 

La domanda non può che essere diretta, scrive Strazzari, e forse meno retorica di quanto potrebbe sembrare: può il principale partito democratico e progressista italiano permettersi di non includere nemmeno nel proprio orizzonte di dibattito programmatico un accenno a una politica estera femminista e partecipata dalle donne? 

Sulla politica estera italiana si concentra anche il politologo Mario Giro, esaminando le sfide che, a un mese dall’insediamento del governo Meloni, l’Italia deve affrontare con urgenza: dai conflitti all’interno dell’Ue alle crisi nei Balcani e in nord Africa. I maggiori garanti a livello geopolitico, per ora, rimangono gli Stati Uniti. 

Cesare Alemanni sposta poi lo sguardo verso i rapporti tra Cina e Germania: la visita del cancelliere Olaf Scholz a Pechino di inizio novembre, la prima di un leader G7 dall’inizio della pandemia, ha generato polemiche ma anche molti chiarimenti: per Berlino gli affari con il gigante asiatico non si toccano; se la voce “Cina” dovesse sparire di colpo dal bilancio tedesco, puntualizza Alemanni, verrebbero infatti meno due punti e mezzo di Pil. Ma a non potersi permettere un disaccoppiamento troppo brusco è soprattutto un settore, da oltre un secolo centrale per le direzioni della politica economica della Bundesrepublik: l’automobile.

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L’economista Clara E. Mattei precisa a seguire perché curare le crisi con l’austerità genera regimi autoritari, dalle tensioni degli anni Venti fino all’inflazione di oggi: la richiesta di sacrifici dolorosi ma necessari per mantenere l’equilibrio nasconde sempre in realtà il tentativo di preservare lo status quo che è più funzionale a chi è al potere. 

Matteo Pugliese fa infine una distinzione tra i volontari italiani arruolati con le milizie ucraine nel 2022 e i predecessori: mentre buona parte di chi si recava a combattere nel Donbass prima dell’invasione russa di quest’anno era spinta da un percorso di forte radicalizzazione ideologica e militanza politica, specialmente in movimenti neofascisti, la nuova generazione di combattenti sembra mossa da motivazioni personali e meno legata all’estremismo politico che ha contraddistinto la fase precedente. Questa tendenza non è limitata alla componente italiana, ma si riflette in tutto il bacino di volontari stranieri accorsi in difesa dell’Ucraina.

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