La seconda giornata del mondiale in Qatar si è aperta con la partita Inghilterra-Iran. Fin dai primi minuti si è visto che non è una semplice partita di pallone, molte questioni politiche sono entrate nel campo di gioco insieme ai calciatori.

Prima del fischio di inizio gli iraniani si sono rifiutati di cantare l’inno nazionale in segno di protesta contro la repressione del regime di Teheran, che da due mesi sta cercando di sedare con la violenza le manifestazioni scaturite dopo l’uccisione di Mahsa Amini, morta in custodia della polizia religiosa che l’aveva fermata e arrestata per strada perché non indossava correttamente il velo, come invece previsto obbligatoriamente dalla legge nazionale. Anche dagli spalti sono stati visti segnali di protesta, c’è chi ha mostrato dei cartelloni in cui si chiede libertà e giustizia e chi condanna il regime. Dalla curva dei tifosi iraniani, invece, si sono sentiti i fischi nel momento in cui è partito l’inno nazionale.

Nei giorni scorsi durante la conferenza stampa con i giornalisti il capitano della nazionale Ehsan Hajsafi, ha esordito con l’espressione «nel nome del dio dell’arcobaleno», la stessa usata in un video da Kian Pirfalak, una delle giovani vittime della repressione che in totale ha portato 400 morti e circa 15mila arresti in diverse città del paese. «Noi siamo qui, ma questo non vuol dire che non dobbiamo essere la loro voce. Io spero che le condizioni cambino secondo le aspettative del popolo», ha detto Hajsafi.

Non è la prima volta però che i calciatori iraniani prendono posizioni politiche chiare contro il proprio governo. Lo avevano fatto anche in occasione delle proteste del 2019, anche quelle represse con la violenza dalla polizia iraniana.

God save the king

Non solo Iran, dal 1972 per la prima volta in un mondiale di calcio la nazionale inglese ha cantato l’inno nuovo modificato dopo la morte della regione Elisabetta II. Nel nuovo testo non c’è più la storica espressione «God save the Queen», ma «God save the King», in onore di re Carlo III incoronato da pochi mesi dopo la morte della regina. L’ultima volta è accaduto nel 1950 durante uno Spagna-Inghilterra nel mondiale disputato in Brasile.

Tuttavia questo mondiale non è esente da polemiche e critiche nei confronti delle autorità qatariote. L’ultimo fatto di cronaca che ha scatenato sdegno è la decisione di sette nazionali di non indossare nella fascia da capitano la scritta «One Love», simbolo dei diritti civili e della comunità Lgbtqi. La richiesta viene direttamente dalla Fifa che ha diramato un comunicato ribadendo le linee guida del proprio regolamento.

La richiesta «è in linea con l'articolo 13.8.1 del regolamento equipaggiamento Fifa. Per le competizioni finali Fifa, il capitano di ciascuna squadra deve indossare la fascia da capitano fornita dalla Fifa. Il regolamento - si specifica – è stato approvato da tutti i partecipanti al gioco. Le regole esistono per preservare l’integrità in campo di tutti i partecipanti e sono ugualmente applicabili a tutte le squadre in competizione».

Se qualcuno trasgredisce il regolamento rischia una multa o un’ammonizione appena inizia la partita.

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