Non accadeva dal dicembre 2017 che un ministro degli Esteri sudcoreano si recasse in visita a Tokyo. In mezzo, oltre quattro anni di incomprensioni e dissensi. Nonostante Corea del Sud e Giappone siano entrambi paesi economicamente sviluppati, democrazie affermate e stretti alleati degli Stati Uniti in Asia, Seul e Tokyo diffidano profondamente l’uno dell’altro. A dividere i due paesi ci sono molte ragioni ma in anni recenti nulla come la memoria storica ha contribuito a rendere antagonisti Corea del Sud e Giappone. Tra il 1910 e il 1945 la penisola coreana è stata infatti una colonia di Tokyo, nella quale l’Impero giapponese ha perpetrato crimini tremendi contro la popolazione locale.

Nella coscienza collettiva sudcoreana la dominazione coloniale giapponese è ancora una ferita aperta nonché un tema vivamente discusso. Proprio sull’onda di questa consapevolezza, l’ex governo sudcoreano guidato dal presidente democratico Moon Jae-in è stato particolarmente critico (se non proprio ostile) nei confronti del Giappone.

Dominazione coloniale

Gli ultimi quattro anni sono stati segnati da un collasso dei rapporti bilaterali, con conseguenze preoccupanti per il resto del mondo. Verso la fine del 2018 la Corte suprema di Seul ha riconosciuto il diritto al risarcimento di quei cittadini coreani che durante la guerra erano stati costretti ai lavori forzati nelle industrie belliche del Giappone.

Gli asset sudcoreani delle due società giapponesi incriminate, Nippon Steel e Mitsubishi Heavy Industries, sono stati prontamente congelati e negli ultimi tre anni la loro liquidazione è stata al centro di un’intensa diatriba legale.

Dal canto suo però il Giappone ha montato una resistenza accanita, visto che a suo modo di vedere tutte le controversie legate alla dominazione coloniale erano state risolte col pagamento delle riparazioni che avevano accompagnato la normalizzazione dei rapporti tra Corea del Sud e Giappone, avvenuta nel 1965.

La guerra tecno-commerciale

L’opposizione del Giappone alle manovre giudiziarie sudcoreane si è espressa in un formato che in quegli anni era diventato ben noto: la guerra tecno-commerciale. Nel 2019 Tokyo ha imposto una notevole stretta regolatoria all’export verso Seul di alcuni materiali fondamentali per l’industria dei semiconduttori.

La Corea del Sud, oltre che una delle nazioni più tecnologicamente avanzate, è anche una delle grandi economie esportatrici dell’Asia e i semiconduttori rappresentano la quota più importante del suo export.

Sottoponendo i tre materiali (dei quali il Giappone ha il quas monopolio produttivo) a un regime di approvazione più stringente da parte delle autorità, Tokyo ha essenzialmente puntato un coltello alla gola di un settore chiave non solo della Corea del Sud, ma anche dell’economia globale.

Diplomazia al lavoro

Quando Park Jin, il ministro degli Esteri del nuovo governo conservatore della Corea del Sud, è arrivato a Tokyo la scorsa settimana con l’incarico di risollevare i rapporti bilaterali, una delle prime cose che ha riportato ai giornalisti è stato che «il cambiamento delle supply chain globali e la sicurezza economica sono sempre più importanti e le restrizioni commerciali del Giappone dovrebbero essere sollevate».

Con questo pensiero in mente, Park ha incontrato il suo omologo giapponese col quale ha concordato di voler cercare una «rapida soluzione» alla disputa sulle riparazioni per il lavoro forzato durante la guerra. L’enfasi sulla rapidità è senza dubbio pertinente, dato che tra agosto e settembre la Corte suprema sudcoreana emetterà il proprio verdetto riguardo la liquidazione degli asset di Mitsubishi e Nippon Steel.

Le prospettive di una soluzione concordata sembrano esigue però. Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol rischierebbe di compromettere la propria già bassa popolarità se le parti dovessero raggiungere un’intesa che la società civile dovesse ritenere inadeguata a quanto sofferto dalle vittime.

Nelle ultime settimane si sono già levate voci in questo senso. Dall’altro lato la scomparsa dell’ex premier Abe Shinzo potrebbe togliere i freni alla destra nazionalista giapponese, storicamente ostile nei confronti dei coreani, che privata del proprio leader potrebbe rappresentare un grosso ostacolo interno per l’attuale premier, il più pragmatico Kishida Fumio.

Un accordo difficile

Trovare un compromesso sarà difficile e non sembra che i colloqui della settimana scorsa abbiano ottenuto risultati apprezzabili. Se la Corte suprema sudcoreana si dovesse esprimere in favore della liquidazione, come molti presumono, il Giappone non potrebbe che rispondere con misure ancora più dure di quelle proposte nel 2019.

Tokyo rimane un attore chiave per la creazione di quelle supply chain tecnologiche di cui l’amministrazione di Joe Biden parla ormai da due anni: senza i materiali e le attrezzature giapponesi per la fabbricazione di semiconduttori, i tentativi indopacifici di friendshoring sarebbero certamente più ardui. Con conseguenze gravi non solo per la Corea, ma per l’intera economia globale.

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