Oggi, durante l'incontro di rito di fine anno in cui il presidente russo resta per ore e ore in “linea diretta” con i suoi cittadini, rimarrà seduto a pochi centimetri da Putin per tutto il giorno, spesso nella stessa inquadratura, a moderare l'evento. C'era in Alaska, ad Anchorage, quando Putin ha incontrato per la prima volta dall'inizio del conflitto in Ucraina l'omologo statunitense Trump. (Anzi, prima ancora, era sull'aereo presidenziale che volava verso lo storico meeting).

Lui c'è sempre: da sette anni ormai l'ombra di Putin si chiama Pavel Zarubin. Sua è la voce, suo il volto che raccontano il presidente ogni giorno a milioni di russi. Ha poco più di quarant'anni, ma ne aveva ancora meno quando emerge alla conduzione di “Mosca. Cremlino. Putin”.

È il 2018, gli indici di gradimento del presidente sono in calo: colpa delle riforme pensionistiche e pensionati che non arrivano a fine mese e protestano in ogni angolo della Federazione. Il programma lo manda in onda l'emittente statale russa Vgtrk, dove Zarubin era arrivato da stagista giornalista, grazie a un premio vinto, nel 2003. Il conduttore presto dimentica sia Mosca che Cremlino. Resta soltanto Putin.

Nel 2020 scoppia la pandemia: il timore del contagio da covid costringe Putin a mostrarsi attorno a tavoli lunghi come autostrade con gli interlocutori relegati all'altro capo. C'è solo un corrispondente che si sottopone a quarantena e autorizzato ad avvicinarsi all'uscio dell'ufficio presidenziale: è Zarubin.

Agiografo ufficiale

Più che corrispondente del Cremlino, sembra un membro di famiglia. Dal 2018 ad oggi gli ascolti del suo programma sono saliti, come i consensi di Putin in patria e anche l'indice di gradimento del presidente verso quel ragazzotto bruno a cui sorride spesso. Il presidente non è l'unico: lo ha elogiato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Con Zarubin scherza il ministro degli Esteri Sergey Lavrov. Se il Cremlino risponde alle domande di qualcuno, sono le sue. Se il Cremlino ha qualcosa da dire, gli chiede di porle. Ad ogni conferenza, summit, evento. Zarubin, negli anni, è andato oltre l'adulazione: è diventato venerante, con una devozione al capo da stampo nordcoreano. (In Nord Corea, quando Putin ha incontrato Kim a Pyongyang, ovviamente, lui c'era).

Non fa report, servizi giornalisti, approfondimenti, ma agiografie aggiornate di Putin. È troppo leccapiedi perfino per i leccapiedi professionisti delle emittenti statali: dietro le quinte, hanno raccontato ai media indipendenti, lo deridono anche loro. Eppure non è nato né ossequioso, né riverente: devono essere qualità che deve aver acquisito sulla scena moscovita, che non appartengono alle sue origini.

«Mai col potere», e poi...

Oggi lo vedi seduto a pochi centimetri da Putin, architrave della sua narrativa propagandistica, e pensi che che quel ragazzo che arriva dalla remota Bashkortostan, regione russa al confine kazako, lontanissima dalla ricca capitale, ne ha fatta di strada per evitare un futuro nelle aziende metallurgiche della sua regione – dove si è spaccata la schiena tutta la sua famiglia. Anzi, di strade Zarubin ne ha percorsa più d'una prima di diventare il giornalista di cui tutti conoscono il volto oggi nella Federazione.

Dopo aver studiato negli Urali, da giovane, anzi giovanissimo, sceglie di provare a fare il giornalista. È un idealista: crede nell'informazione libera, indipendente, critica i colleghi piegati, quelli di parte, quelli timorosi o rassegnati. Ma era un'altra era geologica, perché era un altro Putin, un Cremlino diverso. Zarubin diventa volto di tv piccole, ma senza ricatti di potere. E poi di canali sempre più conosciuti che, come gli altri, vengono ingoiati dal Cremlino o da capitali allineati ad esso.

Quando la battaglia per l'indipendenza, anche laggiù, nelle province russe, si fa feroce, molti giornalisti mollano: sventolano bandiera bianca, si dichiarano sconfitti. Lui è disperato, fino alle lacrime. Qualcuno ancora se lo ricorda – qualcuno che all'epoca gli dice: un giorno, caro ragazzo, lo farai anche tu, anche tu scenderai a compromessi. «No, mai» fu la sua risposta.

Questo aneddoto è quasi l'unico che gira sul riservatissimo Zarubin, di cui oggi si sa poco o nulla. Il suo volto è rimasto quasi identico a quello di quando, da poco più che maggiorenne, con cravatta grigia come la giacca, diffondeva notizie dalle redazioni di Ekaterinburg. Oggi c'è chi vede in quel suo personalissimo servilismo furbizia calcolata, in quella prossimità al capo una via dritta verso l'accesso alla piramide del potere.

Il ragazzo che diceva «mai col potere» e poi ne è diventato la voce sta per scippare ai dinosauri storici delle tv russe il ruolo di propagandista capo e potrebbe andare ancora più lontano di dove è oggi, se le cose continueranno ad andare cosi. Zarubin – uno Zarubin – lo è diventato davvero.

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