La destituzione della prima presidente peruviana coglie di sorpresa il mondo, per la rapidità notturna con la quale avviene, mollata dall’estrema destra fujimorista che la teneva in piedi dal 2022, dopo il fallito autogolpe di Pedro Castillo
Dina Boluarte, presidente del Perù, non cade per le proteste giovanili della GenZ, intense nelle ultime settimane, ma per la maturazione di una crisi politica nella quale non si può governare per sempre in stato d’emergenza partendo dall’essere una non-leader con appena il 2 per cento di approvazione nel paese più ingovernabile della regione, e forse del mondo, dove sono cambiati sette presidenti nell’ultimo decennio, e dove la presidenza stessa è divenuta anticamera del carcere.
Boluarte, chiamata a difendersi dal Congresso, in particolare per la rampante criminalità, ha rifiutato di farlo, definendo la procedura incostituzionale. Questo, nella notte, l’ha destituita e sostituita col presidente del Congresso, José Jerí, che dovrebbe condurre il paese a nuove elezioni nell’aprile 2026, ma sulla testa del quale pende un’accusa per stupro.
Fuerza Popular, il partito fujimorista ha così tolto l’appoggio a Boluarte – in origine vice-presidente di sinistra di Pedro Castillo – dopo averla spremuta come un limone ottenendo, tra l’altro, l’indulto per l’ex presidente Alberto Fujimori, infine morto nel 2024, e l’amnistia per i militari responsabili di violazioni dei diritti umani e la repressione violenta, con un centinaio di morti del forte movimento popolare (Perù Libre) che aveva portato all’elezione di Castillo e protestava per la destituzione di questo.
Presidenta per caso, autorappresentata come donna di pace, ha governato da uno scandalo all’altro, tra accuse di arricchimento illecito, nel lusso e nelle chirurgie estetiche, da subito disconosciuta dai movimenti indigeni e femministi, e isolando il paese, in conflitto con presidenti come il colombiano Gustavo Petro e il messicano Andrés Manuel López Obrador. Nessuno la rimpiangerà, ma la sua parabola ben rappresenta quella tragica del Perù contemporaneo.
Perù ingovernabile
La convinzione di molti è che il Perù sia ingovernabile, in una pervasiva corruzione della politica in un modello repubblicano finito. Eppure, pur nella grande povertà delle masse, soprattutto andine, e nella crescente criminalità di strada, il Perù vive una relativa stabilità macroeconomica, l’inflazione è bassa, la moneta, il Sol, è stabile, il debito pubblico resta basso e la magistratura, valga come paradosso, è il potere che ci permette di sapere il livello della corruzione della politica.
Ma dopo l’autocrazia di Alberto Fujimori, tutti i governi che si sono succeduti sono crollati, sia quelli appoggiati dalle destre e dagli Usa, sia quelli appoggiati dalla sinistra, come fu per Ollanta Humala, vicino inizialmente al venezuelano Hugo Chávez.
Alberto Fujimori, fino allora un carneade, fu votato dalla sinistra per evitare la sciagura dell’ultra-liberista Mario Vargas Llosa, e finì per trasformarsi in dittatore appoggiato dalla destra e condannato infine per la guerra sporca contro Sendero Luminoso e le violazioni di massa dei diritti umani.
Il primo successore eletto, Alejandro Toledo, economista progressista, fu condannato a 20 anni per corruzione per lo scandalo Odebrecht, la multinazionale brasiliana delle grandi infrastrutture. Alan García, dell’Apre, membro dell’Internazionale Socialista e amico di Bettino Craxi, dopo la presidenza degli anni Ottanta che aveva portato all’iperinflazione, tornò al potere nel 2011 ma, sull’uscio del carcere, preferì suicidarsi. Ollanta Humala, già vicino al Venezuela, fu condannato a 15 anni per le tangenti della stessa Odebrecht, intorno alla quale girano anche le tangenti del neoliberale Pedro Pablo Kuczyinski che gli successe. Anche Vizcarra, succeduto ad interim a Kuczyinski, ha sulla testa una richiesta di condanna a 15 anni per corruzione.
Infine la leader della destra, Keiko Fujimori, figlia di Alberto, per due volte a un passo dalla presidenza della Repubblica, è in libertà vigilata. Sulla sua testa pendono molteplici processi e una richiesta di condanna a 30 anni per un processo annullato questo gennaio 2025 solo per vizi formali.
A ciò si aggiunga Pedro Castillo, il maestro rurale, eletto nel 2021 dalla sinistra e che, nell’impossibilità di districare il quadro politico, si rese colpevole della scorciatoia dell’autogolpe e da allora è in prigione preventiva in attesa di un processo che forse non verrà mai.
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