È ancora una volta la Casa Bianca a coprire le spalle a Benjamin Netanyahu, mentre l’indignazione internazionale per il piano di controllo totale di Gaza aumenta. Donald Trump ha dichiarato ad Axios che non crede che Hamas accetterebbe il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco «nelle circostanze attuali».

E ha aggiunto di condividere il ragionamento del primo ministro israeliano, secondo il quale «serve quindi più pressione militare su Hamas».

«Inaccettabile»

Nel frattempo la «pressione» significa una situazione umanitaria a Gaza «ingiustificabile e inaccettabile», come è arrivata a dire la stessa Giorgia Meloni al telefono con Abu Mazen, al quale ha espresso preoccupazioni per la posizione di Israele e l’inevitabile escalation militare. Parole a cui è seguita la conferma di una nuova operazione di evacuazione sanitaria che porterà in Italia circa 30 bambini da Gaza con le loro famiglie.

Poco prima si era fatto sentire anche il ministro della Difesa Guido Crosetto che ha preso le distanze dalla scelta di Netanyahu accusando il suo governo di avere perso «ragione e umanità». Per porre fine a tutto questo, il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto l’intervento di una missione Onu mentre nelle stesse ore una delegazione dell’organizzazione islamista Hamas arrivava al Cairo per nuovi colloqui.

In Spagna, l’inviato speciale Usa Steve Witkoff ha incontrato il premier del Qatar, Abdulrahman al-Thani, segnale di ulteriori manovre diplomatiche per spegnere un conflitto che non accenna a rallentare. Nel frattempo, sul piano diplomatico, l’Australia ha annunciato che riconoscerà lo Stato di Palestina a settembre, cambiando quindi rotta rispetto alla posizione iniziale.Anche la Nuova Zelanda si è espressa a favore, sottolineando che «è una questione di quando, non di se», avvicinandosi così al gruppo di Paesi occidentali, tra cui Regno Unito, Canada, Francia, Malta che hanno recentemente annunciato la stessa posizione.

Tensioni interne

Sul fronte interno israeliano, la situazione politica invece appare sempre più deteriorata. La principale consulente legale delle Forze di Difesa israeliane, la generale Yifat Tomer Yerushalmi, ha messo sotto accusa l’eventuale conquista totale di Gaza City, mettendo in guardia il governo su un’operazione che imporrebbe a Israele una responsabilità diretta sulla gestione civile della Striscia, con conseguenze legali importanti.

Nonostante questo, il premier Netanyahu continua a non fornire dettagli precisi sui tempi e le modalità del piano di occupazione di Gaza City. Si è limitato a dire che sarà «veloce», senza dare indicazioni nemmeno sugli eventuali attori internazionali coinvolti.

Nel paese cresce il dissenso, sempre più manifestato dalle migliaia di persone che protestano in strada ma anche nelle parole del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, abituato alle dichiarazioni sopra le righe, che pur confermando di non volere abbandonare il governo, ha ribadito che il premier Netanyahu deve cambiare rotta, perché «il piano fallirà».

A simboleggiare la frattura sempre più profonda nel Paese e il clima di tensione, è comparsa una scritta in ebraico sul Muro del Pianto con la frase «A Gaza c’è un Olocausto». La stessa iscrizione è stata trovata sulla facciata della Grande Sinagoga di Gerusalemme ma dopo poco l’autore è stato identificato, arrestato e trasferito in un ospedale psichiatrico.

Dal fronte internazionale, la commissaria europea per la Gestione delle Crisi, Hadja Lahbib, ha espresso il suo orrore per l’uccisione a Gaza del reporter di Al Jazeera, Anas Al Sharif insieme ai suoi colleghi, evidenziando il grave attacco alla libertà di stampa e l’importanza di proteggere giornalisti e civili: sono oltre duecento gli operatori dell’informazione morti dall’inizio del conflitto.

Alla voce di Lahbib si è unita quella di più di cento ex eurodeputati di diverse aree politiche, inclusi esponenti italiani, che hanno scritto alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e all’Alta rappresentante per la Politica Estera Kaja Kallas, chiedendo la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele, accusando Bruxelles di insufficiente fermezza nel reagire alle operazioni israeliane a Gaza e denunciando il blocco degli aiuti umanitari come un crimine di guerra.

In risposta alla situazione umanitaria, anche il fondo sovrano norvegese ha annunciato disinvestimenti da diverse società israeliane ritenute coinvolte in violazioni dei diritti umani nella Cisgiordania e a Gaza, sottolineando un «rischio inaccettabile» legato alle loro attività commerciali nella regione.

Nonostante la crescente pressione internazionale e i segnali di dissenso interno, la guerra a Gaza continua senza sosta, lasciando dietro di sé un pesante bilancio di sofferenze, divisioni e incertezze sul futuro. I dati lo mostrano ogni giorno, secondo gli ultimi report dell’Unicef a luglio i bambini malnutriti nella Striscia di Gaza sono diventati 12 mila, il numero mensile più alto mai rilevato.

Una persona su tre passa giorni senza cibo e l’indicatore di malnutrizione ha superato la soglia della carestia. In questi quasi 700 giorni di guerra i bambini uccisi nella Striscia sono stati più di 18mila: «l’equivalente di un’intera classe scolastica ogni giorno».

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