«Un cambiamento sismico nella politica commerciale degli Stati Uniti ha scosso i mercati, alimentando il timore di un rallentamento economico globale», scrive S&P Global Ratings, rivedendo al ribasso le stime del Pil mondiale, calate al +2,7 per cento. Il motivo della flessione, naturalmente, è la politica dei dazi imposta da Donald Trump, «uno shock al sistema» che influenzerà l’economia reale, anche se «resta da capire in quale misura», scrivono gli analisti di S&P, che tuttavia non arrivano a prevedere una recessione negli Stati Uniti.

Lo scenario negativo disegnato dagli analisti è in linea con i dati pubblicati qualche giorno fa da Bureau of Economic Analysis sull’andamento dell’economia nel primo trimestre del 2025. Il centro studi del governo dice che il Pil degli Stati Uniti, proiettato su base annuale, è calato fino allo 0,3 per cento, il peggiore risultato dal 2022, e la stima ha fatto crollare i mercati, seguendo i movimenti sussultori delle borse che sono ormai una costante del governo di Trump.

Mercato del lavoro

L’amministrazione ha avuto una parziale consolazione con la pubblicazione dei dati mensili sul mercato del lavoro. In aprile sono stati creati 177mila posti di lavoro, dato leggermente inferiore a quello del mese di marzo ma che supera in modo significativo le attese degli economisti. Il tasso di disoccupazione rimane fermo al 4,2 per cento. I dati hanno dato un po’ di respiro ai mercati, che hanno aperto in territorio positivo, ma non placano il timore degli economisti per gli effetti della politica protezionista sull’economia reale.

Il numero di impiegati nella pubblica amministrazione è calato per il terzo mese consecutivo, ma in aprile la riduzione è stata solo di 9mila unità, un numero molto basso rispetto agli enormi tagli promessi da Elon Musk e dal dipartimento per l’efficienza del governo.

Il fatto è che molti dei dipendenti che hanno già ricevuto un avviso di termine dell’impiego sono al momento ancora in aspettativa temporanea, quindi sono conteggiati ancora nella forza lavoro. Probabilmente bisognerà aspettare fino all’autunno per vedere anche nelle statistiche l’effetto dei tagli già eseguiti.

Trump, come spesso capita, distrae tutti puntando il dito su altri argomenti per eludere le critiche. Ad esempio, ha rilanciato l’intenzione di togliere ad Harvard le esenzioni fiscali di cui gode – «È quello che si merita!», ha detto – e ha firmato un ordine esecutivo per togliere i fondi pubblici alle emittenti Pbs e Npr, che hanno usato «decine di milioni di dollari dei contribuenti per diffondere propaganda woke travestita da informazione», ha detto la Casa Bianca.

Oltre a distrarre dalle previsioni economiche fosche, questi due fronti di lotta servono anche ad archiviare il più in fretta possibile il pesante rimpasto nella sicurezza nazionale che si è consumato nei giorni scorsi con la rimozione di Mike Waltz dal vertice del Consiglio per la sicurezza nazionale.

Waltz non è stato rimosso per via dello scandalo della chat su Signal in cui ha incluso, per errore, il direttore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg. O almeno non è soltanto quello il motivo. Se fosse quella la ragione, perché aspettare oltre un mese prima di prendere iniziativa?

Il caso è scoppiato il 24 marzo scorso e le responsabilità di Waltz sono state immediatamente evidenti. In quella chat a discutere dell’imminente attacco agli Houthi senza il minimo riguardo per i protocolli di sicurezza c’erano tutti i vertici dell’amministrazione, dal vicepresidente JD Vance in giù, ma Waltz era il coordinatore dei lavori e il creatore materiale della chat in cui era stato infilato un giornalista.

Per oltre un mese Trump lo ha ostinatamente difeso, pur ammettendo che la comunicazione era stata gestita male e non avrebbero più usato Signal, salvo poi fare retromarcia e rimuoverlo dall’incarico. Inoltre, se fosse soltanto una vicenda di Signal, il presidente dovrebbe cacciare contestualmente anche il segretario del Pentagono, Peter Hegseth, che a sua volta ha diffuso informazioni sensibili in chat non protette e che includevano persone senza autorizzazione, inclusa la moglie.

Cos’è successo? L’indebolito Waltz è stato “loomered”, cioè è finito nel mirino di Laura Loomer, l’attivista-complottista della parte più oscura del mondo Maga che da mesi formula liste di funzionari infedeli assunti per errore, distrazione o su consiglio di voci infide nell’amministrazione, e spinge il presidente a sbarazzarsene.

Loomer ha una notevole potenza di fuoco nell’universo trumpiano e ha accesso allo Studio Ovale. Dopo un suo incontro con il presidente, ha già ottenuto la cacciata di una serie di uomini di Waltz, incluso il suo vice Alex Wong, e ora esulta per aver fatto capitolare il vertice: «Spero che ora le persone che dovevano essere licenziate ma sono state promosse da Waltz siano allontanate», ha scritto su X. Ha già individuato la prossima vittima: Peter Navarro, l’architetto della politica dei dazi.

Altro che promozione

Le pressioni continue su Waltz spiegano anche perché non è stato licenziato, ma formalmente promosso ad ambasciatore presso l’Onu, ruolo che peraltro deve essere confermato da un voto del Senato che si annuncia assai turbolento.

È evidente che si tratta di un promoveatur ut amoveatur – e probabilmente nemmeno di promoveatur – ma almeno Trump può formalmente negare che si tratta di una punizione. E subito ha mandato Vance in televisione a spiegare, con evidente sprezzo del ridicolo, che si tratta appunto di una promozione. Il ruolo di Waltz passa per il momento a Marco Rubio, segretario di Stato e collezionista di ruoli ad interim.

Non è facile distinguere le effettive ragioni delle scelte di Trump, e spesso l’esercizio si rivela inutile, perché gli umori, le pressioni, le strategie politiche e gli istinti tribali travestiti da piani ben congegnati si mischiano, confondendosi. Quello di Waltz, “promosso” all’Onu al centesimo giorno dell’amministrazione, è un caso di scuola.

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