L’inviato americano Witkoff ha incontrato per la quarta volta Putin. Trump potrebbe vedere Zelensky a Roma, a margine dei funerali del papa. La pressione affinché Kiev accetti la cessione almeno della Crimea si fa sempre più forte. Un dilemma che apre anche un fronte interno
«How are you Mr President?», ha detto un sorridente Steve Witkoff incontrando a Mosca Vladimir Putin. Quello di venerdì 25 aprile, durato circa tre ore, è stato il quarto incontro da febbraio tra l’inviato speciale di Donald Trump e il presidente russo. E sembra che di settimana in settimana il clima sia sempre più cordiale, tanto che questa volta Witkoff è stato accolto a braccia aperte da Putin e si è anche concesso una passeggiata per le strade moscovite.
Un colloquio «costruttivo» che «ha permesso di avvicinare ulteriormente le posizioni della Russia e degli Usa non solo sull’Ucraina», ha fatto sapere il Cremlino. Secondo Trump, l’accordo per la pace in Ucraina è vicino.
Lo dice da tempo, forse per nascondere la sua promessa non realizzata di concludere il conflitto in poche ore. Un obiettivo fallito nonostante le enormi pressioni su Kiev, su cui il presidente Usa continua ad addossare le colpe. «Credo che ciò che ha causato lo scoppio della guerra sia stato quando hanno iniziato a parlare di adesione alla Nato», ha affermato Trump in un’intervista al Time.
Musica per le orecchie di Mosca, secondo cui Trump è «l’unico leader mondiale che ammette la necessità di affrontare le cause profonde della crisi ucraina». Dichiarazioni rilasciate dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov, a conferma di come ormai il registro della Casa Bianca sia allineato a quello del Cremlino. E poco importa se nel frattempo i missili russi continuano a uccidere civili nelle città ucraine.
Per raggiungere l’intesa con la Russia, dice ancora Trump, non ci sono scadenze temporali. Tuttavia con i suoi secondi primi 100 giorni alla Casa Bianca alle porte, Trump vuole racimolare qualche risultato al più presto. Per questo cerca di costringere Kiev ad accettare un accordo dalle condizioni durissime. E potrebbe provare a mettere pressione a Volodymyr Zelensky anche a Roma. Il presidente Usa, infatti, non ha escluso un incontro a margine dei funerali di Papa Francesco, sempre se Zelensky volerà in Italia, visto che ha in programma diversi incontri militari in Ucraina e ha detto di non essere sicuro di riuscire a partecipare. In ogni caso, dei solchi sono stati già tracciati. «La Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo capisce», ha tuonato il tycoon sempre sul Time. Un punto su cui il presidente ucraino non cede: «La Crimea appartiene all’Ucraina».
Europa e Stati Uniti divisi
Riconoscere la penisola del Mar Nero come russa rientra nel piano di pace di Washington. Gli Stati Uniti sarebbero pronti anche ad accettare il controllo di Mosca sulle altre regioni ucraine occupate dal 2022, oltre che a revocare le sanzioni contro la Russia. Come riportato da Reuters, sono questi gli elementi principali della proposta di pace Usa presentata dallo stesso Witkoff nella riunione a Parigi dello scorso 17 aprile con i rappresentanti europei. Un documento che prevederebbe dei vaghi risarcimenti finanziari e delle non meglio specificate «robuste garanzie di sicurezza» per l’Ucraina, fornite non dagli Stati Uniti ma dai paesi europei e da altri alleati.
La proposta non è stata accettata dagli europei e soprattutto dagli ucraini, che nel vertice di Londra di mercoledì hanno studiato una controproposta. Prima di discutere le questioni territoriali, serve un cessate il fuoco. Un principio ribadito anche da Zelensky nelle ultime ore. Non ci dovranno poi essere limitazioni per l’esercito ucraino o condizioni allo stanziamento di forze alleate sul territorio di Kiev. Mentre deve essere incluso un meccanismo per cui l’Ucraina venga accolta sotto l’ombrello dell’articolo 5 della Nato, in modo che anche Washington sia garante della pace. Infine, le compensazioni per Kiev dovranno essere ricavate dai capitali russi congelati.
Il fronte interno per Zelensky
La differenza di vedute tra Europa e Stati Uniti sul futuro di Kiev, quindi, non potrebbe essere più evidente. E ora anche all’interno dell’Ucraina emergono fratture sulla strada da intraprendere. Il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, figura popolare emersa in questi anni, parlando alla Bbc ha aperto alla possibilità di sacrifici: «Cedere territori è uno degli scenari possibili. Non è giusto, ma in cambio della pace forse può essere una soluzione temporanea». Parole controproducenti per la causa ucraina, secondo Serhiy Leshchenko, consigliere di Zelensky.
Minimizzate dopo qualche ora dallo stesso Klitschko, le dichiarazioni del sindaco di Kiev dimostrano comunque come per il presidente Zelensky, dopo più di tre anni di guerra, si avvicina il momento di scelte ardue. Tra il continuare stoicamente la lotta per l’integrità territoriale o firmare intese destinate ad amputare l’Ucraina, pur con la speranza di riconquistare le regioni perdute tramite la diplomazia. Magari nel frattempo ostacolando il controllo russo nei territori persi con sabotaggi, resistenza militare o atti terroristici. Più o meno come quello in cui venerdì 25 un generale russo, Yaroslav Moskalik, è stato ucciso a Mosca da una bomba posizionata in un auto. Un ordigno azionato a distanza dai servizi ucraini, secondo il Cremlino.
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