Il vento è un fenomeno di casa in Scozia, che infatti annovera alcuni dei luoghi più ventosi al mondo, come le celebri Highlands. Oggi, però, la bufera sta soffiando forte all’interno dello Scottish national party, il partito nazionalista che spinge per l’indipendenza da Londra. A seguito delle dimissioni di Nicola Sturgeon, arrivate lo scorso febbraio dopo ben otto anni alla guida dell’Snp, si è accesa la competizione per prendere il suo posto. Una corsa che rischia di creare frizioni deleterie per la battaglia indipendentista.

In gara, infatti, sono rimasti in tre: la ministra delle Finanze Kate Forbes, il ministro della Salute Humza Yousaf e la parlamentare Ash Regan, già ministra della Sicurezza della comunità. Tre giovani volti tra i nazionalisti, rispettivamente di 32, 37 e 49 anni, che ora affrontano il voto delle decine di migliaia di iscritti all’Snp. Una consultazione che si è aperta lo scorso 13 marzo e finirà il 27, quando il vincitore sarà nominato nuovo leader, prendendo il testimone da Sturgeon.

La premier dimissionaria non ha voluto indicare una sua preferenza e la brevissima campagna elettorale è stata contraddistinta da attacchi anche pesanti tra i contendenti che hanno fatto emergere le divisioni all’interno del partito, sia su temi sociali e civili, sia sul tema dirimente in Scozia: l’indipendenza dal Regno Unito. 

I tre contendenti

Data favorita ai nastri di partenza per il suo carisma e la ventata di novità che potrebbe portare, Forbes ha attraversato un momento di difficoltà quando ha reso nota la sua posizione personale sulle nozze tra persone dello stesso sesso. Ha infatti dichiarato che, se fosse stata parlamentare, nel 2014 non avrebbe votato a favore della legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali, data la sua appartenenza alla chiesa evangelica libera di Scozia. Alcuni suoi sostenitori - anche negli stessi banchi del parlamento di Holyrood - ne hanno preso le distanze e la sua candidatura ha vacillato. 

Secondo un sondaggio di YouGov sull’eredità di Sturgeon, seppur di poco Forbes rimane in testa, ma altre rilevazioni concordano su come il favorito oggi sia Yousaf. Il 37enne (padre pachistano e madre kenyota) segretario alla Sanità del gabinetto di Sturgeon è forte del successo della sua gestione della pandemia in Scozia ed è considerato molto vicino alla premier dimissionaria. Ha inoltre incassato il favore di molte figure di rilievo del partito, tra cui il leader Snp a Westminster Stephen Flynn. 

La terza candidata, Regan, sembra essere l’outsider di turno e non sorprende che la sua voce sia tra le più critiche rispetto la recente gestione del partito. Ha infatti preso le distanze e votato contro il Gender Recognition Act, la legge voluta fortemente da Sturgeon che avrebbe facilitato il riconoscimento del cambiamento di genere dai 16 anni in su. Un progetto che ha diviso sia la Scozia che lo Scottish national party, per poi essere bloccato dal governo di Rishi Sunak. Oggi tra i tre contendenti alla leadership dell’Snp, sia Regan che Forbes si sono dichiarate contrarie, mentre Yousaf si è impegnato a proseguire il percorso legislativo sfidando la decisione di Londra. 

Tra tv e radio, i dibattiti tra i tre sono stati infuocati, conditi da accuse vicendevoli. Forbes ha più volte attaccato Yousaf, rinfacciandogli il lavoro svolto come responsabile della Giustizia prima e della Salute dopo, sventolando - per esempio - le liste di attesa lunghissime nel settore sanitario. Il 37enne ha sottolineato come la sua rivale abbia solo dato materiale ai laburisti e ai conservatori, i quali non vedrebbero l’ora di vedere Forbes al potere in modo da trarne vantaggi in termini di consenso.

In una competizione elettorale, seppur interna, la dialettica e i tentativi di sfruttare le debolezze degli avversari sono all’ordine del giorno. Quanto andato in scena nelle ultime settimane sembra però aver superato i normali toni di confronto, minando sia la credibilità del partito e delle azioni di governo sia - soprattutto - l’unità dell’Snp. Chi vincerà dovrà riuscire a ricomporre un clima disteso dopo una contesa che la stessa Sturgeon ha definito «litigiosa» ma necessaria per le sorti della forza politica.

La crisi del partito

Un futuro che potrebbe non essere così roseo perché la tempesta continua a soffiare sull’Snp. Il presidente Michael Russell ha ammesso una situazione al limite del disastroso e negli ultimi giorni si sono susseguiti passi indietro tra i vertici del partito. Subito dopo Sturgeon, a preannunciare le sue dimissioni, è stato il suo vice John Swinney, figura di peso all’interno dei nazionalisti. 

Ma non è finita lì. Nei giorni scorsi, infatti, è scoppiato un mini scandalo riguardo il numero di iscritti al partito, cioè le persone deputate a eleggere il nuovo leader. Il Sunday Mail ha pubblicato la notizia di un calo di 30mila tessere dal dicembre 2021, inizialmente smentita da importanti membri dello Scottish national party e ammessa solo in un secondo momento. Dinamica che ha fatto perdere il posto prima a Murray Foote, responsabile del rapporto con i media, e poi a Peter Murrell, chief executive del partito e marito di Sturgeon. Il primo aveva negato l’indiscrezione del Sunday Mail, mentre il secondo si è assunto la responsabilità dell’indecisione sul numero degli iscritti. Risultato: entrambi dimessi, anche perché effettivamente il partito nel giro di due anni ha visto calare i propri membri da 104mila a poco più di 72mila.

Un crollo vertiginoso spiegabile - almeno in parte - sia per il divisivo Gender Recognition Act, sia per lo stallo in cui è finita la lotta per l’indipendenza. Sturgeon, dopo la richiesta di un nuovo referendum bocciata dalla Corte suprema inglese e negata dal governo di Londra, aveva deciso di trasformare le elezioni in vista nel 2024 come una sorta di «referendum de facto». Le reazioni a questo approccio non sono state unanimi, con gli elettori e con i membri del partito che si sono spaccati sulla questione. Inoltre, la situazione post pandemia e la guerra in Ucraina hanno riportato attenzione sui temi economici e sociali, terreno fertile per i laburisti e i conservatori che hanno attaccato l’Snp, colpevole secondo loro di concentrarsi solo su un tema anacronistico come l’indipendenza.

La strada verso l’indipendenza

Tuttavia, la questione dei legami con Londra resta centrale nella corsa alla leadership dei nazionalisti. Kate Forbes ha criticato l’idea del referendum de facto, auspicando invece un totale «reset» della strategia verso l’obiettivo tanto agognato. La ministra delle Finanze ha anche promesso di combattere affinché, entro tre mesi dalle elezioni per Westminster del 2024, si svolga un nuovo referendum. Un risultato che a oggi sembra comunque difficile.

Lo stesso Yousaf, in realtà, ha allontanato l’ipotesi supportata da Sturgeon e ha sottolineato come non ci sia «una bacchetta magica» che possa portare all’indipendenza, il cui percorso deve passare esclusivamente tramite «la crescita del supporto popolare». In effetti, negli ultimi anni, tra la popolazione il numero dei favorevoli al Sì è stato altalenante. Oggi, secondo le ultime rilevazioni di YouGov, si attestano al 46 per cento, con i nazionalisti che hanno pagato le incertezze degli ultimi mesi. 

Ad essere d’accordo con Sturgeon è Regan, che tra i tre contendenti è forse la persona più intransigente sulla questione. Se salisse al potere, la 49enne ha promesso di riunire il più possibile i partiti e i movimenti indipendentisti per rilanciare la campagna referendaria, tra cui anche Alex Salmond, il vecchio leader dello Scottish national party, che nel 2021 ha creato un nuovo partito più radicale (Alba). Salmond, che non ha nascosto il suo apprezzamento per i piani di Regan, a dire il vero spera di sfruttare la crisi del principale partito nazionalista in Scozia per racimolare qualche voto.

Comunque vada, sembra sempre più scontato che l’Snp dal 28 marzo sarà un partito molto diverso da quello di solo un mese e mezzo fa. Dipende dove tirerà il vento.

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