È passato più di mezzo secolo da quando i siriani hanno votato democraticamente per l’ultima volta. Sono tornati a farlo il 5 ottobre per le elezioni di un parlamento che dovrà dare al paese una nuova Costituzione e una nuova legge elettorale. In molti hanno celebrato l’evento come il simbolo della fine del regime degli Assad e l’inizio di una nuova era democratica.

Eppure, tanti sono stati esclusi dal voto, soprattutto la minoranza curda che si è anche scontrata con l’esercito del governo centrale. Per evitare l’escalation il leader della regione curda del Rojava, Mazloum Abdi, si è recato a Damasco per incontrare il presidente Ahmede al-Sharaa.

Drusi e curdi esclusi

La Siria conta circa 25 milioni di abitanti. Nonostante ciò, solo 6mila delegati hanno potuto scegliere i deputati tra circa 1.500 candidati. Un sistema di collegi che ha favorito gli uomini vicini al potere e non ha dato voce alla vera rappresentanza popolare.

Tre collegi regionali sono stati del tutto esclusi dal voto, lasciando 20 seggi vacanti a tempo indefinito per «motivi di sicurezza». Una è la provincia di Suwayda, a maggioranza drusa, gruppo etnico vittima da mesi di violenze e soprusi. Soprattutto a luglio alcuni cittadini drusi-siriani si sono scontrati con l’esercito per le strade della città. Amnesty international ha chiesto alle forze di sicurezza, all’esercito e ai gruppi loro affiliati di dare conto dell’esecuzione extragiudiziale di decine di uomini e donne. Il 31 luglio il ministro della Giustizia ha istituito una commissione per indagare su quanto accaduto e chiamare a risponderne i responsabili.

Le altre due province escluse sono quelle di Raqqa e Hasakah, nel nord-est del paese e controllate dalle Forze democratiche siriane (Sdf), la minoranza curda. In molti chiamano la regione Rojava, famosa per aver combattuto in prima linea contro l’avanzata dell’Isis.

Mentre il paese votava, lo scontro si è acceso ad Aleppo nella notte del 5 e del 6 ottobre, nei quartieri a maggioranza curda di Sheikh Maqsood e Ashrafiyeh. Gli abitanti sono stati accerchiati dai miliziani del governo di transizione di Damasco che impedivano loro di tornare a casa. Ci sono state esplosioni, spari e diversi feriti. Nouri Sheriko, alto rappresentante generale del consiglio per i quartieri a maggioranza curda, ha affermato che «le persone sono sempre più preoccupate che scoppi un nuovo conflitto».

L’accordo di integrazione

Il rapporto tra curdi e governo siriano è sempre stato complesso. Da quando Ahmed al-Sharaa ha preso il potere nel dicembre 2024, l’obiettivo sulla carta è stata l’unificazione del paese. Per questo il 10 marzo ha firmato con il capo delle Sdf, Mazloum Abdi, uno storico accordo per integrare le istituzioni civili e militari del Rojava sotto l’autorità centrale dello stato. In aprile era stato firmato anche un aggiornamento, con la supervisione degli Stati Uniti, nel quale si garantiva la sicurezza proprio dei due quartieri di Aleppo attaccati.

L'inviato speciale statunitense per la Siria, Thomas Barrack, e il comandante del comando centrale militare americano (Centcom), l'ammiraglio Brad Cooper, hanno incontrato nelle ultime ore Abdi cercando di evitare un’escalation. Washington ha chiesto alle Sdf di velocizzare l’annessione nella fila dell’esercito siriano, mentre anche ad est di Aleppo, nella località di Deir Hafer, sono ripresi gli scambi di artiglieria tra le due fazioni.
Le Sdf si sono espresse in un comunicato ufficiale affermando che «quello che sta accadendo ad Aleppo è il risultato diretto delle provocazioni del governo». Nel testo le truppe curde negano di aver attaccato per prime l’esercito governativo: «Con una pericolosa escalation, le fazioni del governo stanno cercando di avanzare con carri armati e veicoli militari, prendendo di mira quartieri residenziali». Il comunicato si conclude con la richiesta di intervento da parte delle organizzazioni internazionali e umanitarie. 

Come sono andate le elezioni

Le elezioni, oltre agli scontri che le hanno fatto da contorno, si sono svolte in forma indiretta perché, a detta del governo, il paese non dispone di un censimento affidabile. In tutto il territorio l’esercito ha controllato i seggi per garantire la sicurezza e lo spoglio dei voti è stato supervisionato da candidati, giornalisti e osservatori dell’ordine degli avvocati siriani.

L’Assemblea del popolo che è stata eletta è composta da 210 membri e avrà un mandato di due anni e mezzo. Il presidente al-Sharaa però ha nominato direttamente 70 deputati, di modo da avere il controllo assoluto del potere legislativo. I restanti 140 sono stati selezionati da sottocommissioni supervisionate da comitati di 11 persone a loro volta nominati dal governo.

Le elezioni si sono svolte anche in un paradossale silenzio e disinteresse. Sono stati concessi pochissimi manifesti elettorali, quasi del tutto nulli i dibattiti e, come ha riportato Associated Press, vari abitanti di Damasco non sapevano nemmeno che si votasse.

Per una transizione “democratica”

La transizione che al-Sharaa aveva promesso sembra avere davvero poco di democratico. Certamente è stato un evento storico per un paese sotto regime da più di 50 anni, uscito da una guerra civile di 14 anni e appena sopravvissuto a un golpe che ha rovesciato la dittatura di Bashar al-Assad in quasi un mese. Non bisogna però dimenticare da dove provenga il nuovo leader di Damasco.

L’uomo che il 25 settembre a New York è stato accolto dall’Assemblea generale dell’Onu come Ahmed al-Sharaa, leader democratico della Siria, fino a un anno fa era noto con il nome di Abu Mohammad al-Julani. Al-Julani per gli Stati Uniti era un terrorista, nato e cresciuto nel jihadismo di al-Qaeda e al-Nusra, per poi prendere il controllo di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts), le forze ribelli con cui ha rovesciato il governo.

Al-Sharaa il 23 settembre si era rivolto direttamente alle forze curdo-siriane chiedendo un rapido accordo per assorbire i loro uomini nell’esercito regolare. «Servono soluzioni pacifiche che possano essere applicate quanto prima», ha detto parlando a margine dell'Assemblea Onu. «Dalla firma del 10 marzo però - ha continuato Sharaa - sono emersi (tra i curdi) pareri discordanti, con alcuni che parlano di decentralismo, un termine che in realtà indica divisione territoriale (della Siria). E questa divisione esporrà la Siria a tanti pericoli e, forse, a una guerra aperta», ha concluso.

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