Scherzando, lo chiamano El clasico o un po’ meno ironicamente “derby di Moldavia”. È la partita di calcio tra l’Fc Zimbru, il team della capitale moldava Chișinău, e l’Fc Sheriff, la squadra gioiello sponsorizzata dagli oligarchi separatisti e filorussi della Transnistria. Molti tifosi moldavi li vorrebbero fuori dal campionato e non solo perché lo Sheriff è finanziato dai filorussi, ma anche perché con quei soldi domina senza rivali la serie A moldava.

Degli ultimi 25 campionati, lo Sheriff ne ha vinti venti. A Tiraspol, capitale della Transnistria, dispone di impianti sportivi imponenti e di risorse con cui reclutare i più promettenti giocatori dei paesi in via di sviluppo. Due anni fa, ai gironi di Champions League, è riuscito a battere in casa il Real Madrid. Nonostante il clima geopolitico sempre più teso a causa del conflitto in Ucraina, i dirigenti della lega calcio moldava fino ad ora hanno resistito alle richieste di espulsione della squadra separatista. I milioni di euro che lo Sheriff ottiene grazie alla sua partecipazione alle coppe europee sono troppo importanti per il calcio moldavo.

Tra Russia e Unione Europea

Nel piccolo stadio di Chisinau, i giocatori scendono in campo di fronte a poco meno di cinquemila spettatori. Qualche dozzina di volti si affaccia dalle finestre dei dilapidati palazzoni sovietici che incombono sul rettangolo verde. La curva è occupata da un centinaio di ultras dello Zimbru, mentre i manager della squadra hanno offerto biglietti gratis a tutte le scuole della città per riempire gli spalti e coltivare una nuova generazione di tifosi - la tattica sembra funzionare: i giocatori sono circondati di bambini festanti che gli chiedono selfie.

Per gli standard del campionato moldavo questa è una folla da grandi occasioni. Lo Zimbru è reduce da una serie di dieci vittorie in campionato e c’è la speranza che questa volta possa finalmente battere la sua nemesi, che fino ad oggi si è aggiudicata 21 degli ultimi 25 derby.

Tranne che per gli exploit internazionali dello Sheriff, raramente la Moldavia fa parlare di sé per il calcio. Ad attirare l’attenzione su quello che molti definiscono il paese più povero dell’Europa è di solito lo scontro tra le élite filorusse e quelle filoccidentali, uno scontro di influenze che dura dall’indipendenza, ottenuta nel 1991, e verso il quale molti moldavi hanno ormai sviluppato un atteggiamento cinico.

«L’opposizione filorussa prende i soldi da Mosca, il governo filoeuropeo da Bruxelles. Qual è la differenza?», dice Gheorghe Gonţa, da dieci anni conduttore del talk show politico Patria e potere sul canale privato N4, oggi uno dei pochi network televisivi vicini all’opposizione a non essere stati chiusi dal governo dopo l’invasione dell’Ucraina.

Un paese tranquillo

Pallone e politica a volte si incrociano. Dopo 42 minuti di difesa accanita sotto gli attacchi incessanti dello Sheriff, gli ultras dello Zimbru tirano fuori uno striscione: «La pace della Russia porta solo sangue e lacrime», recita. Proprio in quel momento, lo Sheriff segna il suo primo gol. La tensione in Moldavia è aumentata dall’inizio della guerra in Ucraina. Il governo filoeuropeo e la presidente, Maia Sandu, hanno lanciato ripetuti allarmi su possibili infiltrazioni russe e sul rischio di un colpo di stato. I filorussi e i separatisti hanno fatto altrettanto, rovesciando le accuse.

Di queste preoccupazioni per le strade se ne trovano poche tracce. Chișinău è una città tendenzialmente sicura e i crimini di odio etnico tra la maggioranza rumena e la minoranza che parla russo come prima lingua sono sostanzialmente sconosciuti. «Mi sento a del tutto a mio agio a vivere in Moldavia», dice Olesea Martiniuc, una consulente per la comunicazione che collabora con Un Women. «Non c’è uno scontro linguistico e culturale nel nostro paese. I politici a volte provano a crearlo, ma le persone non lo sentono. Il nostro problema sono i politici che rubano denaro».Come quella del suo paese, multietnico e multilingue, anche la storia familiare di Martiniuc è meticcia. Suo padre è russofono di origine ucraina ch e negli anni Ottanta ha lavorato per mesi come “liquidatore” della centrale nucleare di Chernobyl. Tra i suoi parenti ci sono anche ucraini ed ebrei. Lei ha un passaporto moldavo e uno rumeno, e come quasi metà dei suoi concittadini.

Le proteste contro il governo europeista che dallo scorso dicembre hanno allarmato l’Unione europea e riportato la Moldavia sulle prime pagine internazionali, non sono state violente. A scendere in piazza sono stati soprattutto anziani e pensionati, colpiti d alla crisi economica. In Moldavia l’ inflazione mensile è del 25 per cento e nel 2022 il Pil è calato del 6 per cento. Molti manifestanti sono abitanti delle aree povere e rurali del paese e sono stati pagati dal partito filorusso Șor, controllato dall’oligarca Ilon Shor, fuggito in Israele dopo essere stato accusato di aver partecipato a una gigantesca frode bancaria.

Il governo filoeuropeo ha comunque reagito con il pugno duro alle manifestazioni. Oltre ad aver chiuso sei canali vicini all’opposizione e chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare fuorilegge il partito Șor, ha fatto approvare una nuova legge sulla sicurezza che consente ai servizi di intelligence di intercettare senza permesso di un giudice. Nel frattempo ha messo mano all’importante riforma della giustizia in modo così deciso da suscitare le preoccupazioni del Consiglio d’Europa, che teme che le modifiche finiscano per mettere la magistratura sotto il controllo del governo.

La Moldavia guarda a ovest

Al fischio del primo tempo, lo Zimbru è sotto di un gol, ma la partita sembra ancora aperta. Nell’intervallo, entra in campo un gruppo di ragazzi della nazionale giovanile di lotta, lo sport per cui gli atleti moldavi erano famosi ai tempi dell’Unione sovietica. La memoria del comunismo è ancora viva in Transnistria, dove i monumentali e deserti viali della capitale Tiraspol sono punteggiati da monumenti a Lenin e falci e martello. Ma in questa enclave abitata da 300mila persone, quasi tutte russofone o ucraine, il comunismo è soprattutto un’occasione per spillare qualche euro ai turisti che partecipano ai viaggi organizzati o che visitano i locali in stile back to the Ussr. Più che a un’economia pianificata, la regione separatista ricorda un sogno anarcocapitalista, in cui una società privata, la Sheriff che sponsorizza il team di Tiraspol, controlla di fatto l’intera economia: dai supermercati ai distributori di benzina.

Nella regione è presente anche un contingente militare russo: circa 2mila soldati che dallo scoppio della guerra in Ucraina non possono più raggiungere la Russia né per terra né per aria. Quando li si incontra sul ponte di Bender, luogo dei principali scontri tra moldavi e separatisti durante la guerra del 1992, non danno l’impressione di una forza militare pronta all’invasione. Nonostante le preoccupazioni e una serie di sospetti attentati avvenuti la scorsa estate, la Transnistria per ora rimane tranquilla. La guerra in Ucraina ha portato alla chiusura delle sue frontiere orientali rendendo la regione separatista ancora più dipendente dalla buona volontà della vicina Moldavia e dell’Unione europea. «Ormai il 60 per cento delle esportazioni della Transnistria è diretto in Europa», dice Slawomir Pichor, capo della missione europea Eubam, che dal 2005 è presente in Moldavia per aiutare nella gestione delle frontiere e collaborare alla soluzione del conflitto con i separatisti. Nel frattempo, la crisi economica ha mandato a picco il gradimento del governo filoeuropeo di Maia Sandu e le prossime elezioni potrebbero vedera una vittoria dei socialisti e del partito Șor. Ma tra le élite politiche del paese la Russia non è più considerata un partner affidabile come un tempo. « L’Unione europea è la nostra unica strada per andare avanti», dice oggi Ion Chicu, ex primo ministro del governo filorusso del presidente Igor Dodon. Anche il potente sindaco di Chișinău, Ion Ceban, ha abbandonato i socialisti filorussi per fondare il suo partito moderatamente proeuropeo.

Gli interessi dei moldavi

Pochi minuti dopo il ritorno in campo, lo Sheriff mette a segno il suo secondo gol. Lo Zimbru passa all’attacco e nei minuti successivi riesce a creare qualche occasione. Ma l’allenatore dello Sheriff, l’italiano Roberto Bordin, fa chiudere i suoi a riccio e la loro difesa diventa impenetrabile . Al fischio finale, la partita finisce due a zero. I tifosi e ultras del Chisinau lasciano lo stadio delusi, ma tranquilli. Il calcio non è ancora uno sport che scalda il cuore dei moldavi, nel bene o nel male. La mattina della partita, in giro per i mercati di Chișinău, quello agricolo del centro città e il mercatino delle pulci che sorge spontaneo ogni sabato intorno alla stazione, era impossibile trovare una maglietta o un souvenir della squadra di calcio cittadina.Non si vedevano nemmeno le “Z” pro invasione o i ritratti di Putin. Alle bancarelle, i contadini venuti dalla campagna e i grossisti che fanno il giro dei campi al mattino non hanno voglia di parlare di politica. Quello che li preoccupa sono i prezzi che salgono e come sbarcare il lunario. Lo stesso vale per le élite del paese. «I politici usano l’Unione europea e la Russia almeno quanto Bruxelles e Mosca usano loro», dice il giornalista Gonţa. E con la guerra e le sanzioni, quest’ultima ha sempre meno da offrire.

 

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