Nel 2022 Taiwan ha conquistato l’attenzione dei media mondiali, in questi mesi l’opinione pubblica internazionale ha imparato a conoscere le dinamiche delle Cross Strait relation, il ruolo cruciale dell’industria dei semiconduttori e la complessa cornice del quadro normativo che definisce le relazioni tra la Repubblica popolare cinese, gli Stati Uniti e il governo taiwanese. Persino le elezioni amministrative nell’isola sono state seguite con grande attenzione ovunque. Fino a pochi anni fa era un argomento che l’opinione pubblica internazionale considerava secondario. Oggi, invece, i destini del mondo sembrano passare anche per le consultazioni elettorali municipali a Taiwan.

Nell’estate del 2022 la visita della Speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan ha scatenato una veemente reazione della Repubblica popolare cinese con una serie di esercitazioni a fuoco vivo e incursioni, aeree e marittime, intorno a Taiwan. Secondo fonti taiwanesi, il 7 agosto 2022 14 navi da guerra e 66 aerei da combattimento erano impegnati in manovre militari lungo la linea mediana tra Cina e Taiwan, mentre il giorno successivo 13 navi cinesi e 39 aerei erano nella stessa area e un numero consistente di velivoli ha attraversato la stessa linea mediana. Un “confine” che era considerato un limite invalicabile fino a pochissimi anni fa da tutti gli attori coinvolti, si è trattato di un evidente segnale di una “nuova normalità” nelle relazioni nello Stretto. E nei giorni scorsi i caccia cinesi hanno valicato la Linea mediana con frequenza anche maggiore rispetto all’estate scorsa.

I rapporti egemonici sono profondamente cambiati rispetto allo scorso decennio, da quando la Repubblica popolare cinese ha lanciato una sfida revisionista all’ordine globale a guida statunitense. La complessa struttura che ha, sino ad ora, garantito le relazioni tra Pechino, Washington e Taipei è basata su una serie di compromessi semantici volutamente lasciati aperti, come la One China Policy. Una condizione che rende l’equilibro nelle relazioni dello Stretto ancora più precario, l’ascesa di Pechino e il disequilibrio dei rapporti di potenza ha un effetto dirompente all’interno di una serie di accordi incentrati su interpretazioni discordanti e talvolta antitetiche.

L’intensa risposta militare cinese a fronte di un atto diplomatico, come la visita della Speaker Pelosi, ha allarmato la comunità internazionale e l’opinione pubblica ha evocato una quarta crisi nello Stretto. La pressione delle Repubblica popolare cinese su Taiwan è gradualmente diminuita nella seconda metà di agosto, e i paragoni storici con le altre crisi sino-taiwanesi sono stati smentiti, ma la retorica di Pechino ha alimentato un forte sentimento nazionalista in Cina.

La provincia ribelle

I social media e la blogosfera cinese invocavano azioni belliche e una soluzione definitiva contro la “provincia ribelle”, una dinamica che nello Zhongnanhai – il palazzo del potere a Pechino – non è stata vista di buon occhio. Nel mese di settembre centinaia di siti e blog nazionalistici sono stati chiusi dalla censura e i commenti nei social sono stati accuratamente moderati dal governo. Per la leadership del Partito comunista cinese le derive populistiche sono estremamente pericolose, come già successo con i gruppi maoisti negli scorsi anni la possibilità di tendenze radicali all’interno dell’opinione pubblica cinese rappresentano una minaccia credibile. Ossia venire scavalcati, a destra o a sinistra, da movimenti d’opinione all’interno del paese è uno scenario da evitare a qualsiasi costo.

La retorica è un elemento essenziale di ogni congresso del Partito comunista cinese, Taiwan incombe su tutti i leader cinesi sin dal 1949 e il XX congresso nazionale del Pcc ha accentrato tutto il potere politico su Xi Jinping, che si è assicurato un terzo storico mandato da Segretario generale. Xi nel suo discorso si è espresso in maniera decisa: «Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese (…). Continueremo ad adoperarci per una riunificazione pacifica con la massima sincerità e il massimo impegno, ma non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie». Parole chiare in cui un possibile uso della forza viene esplicitamente menzionato; tuttavia, manca un qualsiasi riferimento temporale per la soluzione della questione taiwanese.

Interconnessione necessaria

In passato la leadership del Pcc aveva espressamente fissato delle date, mentre Xi ha accuratamente evitato di delineare possibili cornici o scadenze temporali. Un segnale che diversi analisti hanno interpretato come un ulteriore segnale della volontà da parte di Pechino di non destabilizzare in maniera eccessiva le relazioni nello Stretto nel medio termine. A differenza di altri scenari, il riferimento immediato è quello dell’Ucraina, una possibile invasione di Taiwan costituirebbe un “punto di non ritorno” per la Cina. Ossia la morfologia dell’isola – con due soli approdi naturali, un territorio prevalentemente montuoso, fiumi non navigabili – congiuntamente all’evoluzione dell’identità taiwanese – con la relativa percezione degli abitanti di Taiwan come entità indipendente e la volontà di difendere la sovranità in caso di attacco militare – sono elementi essenziali per definire le profonde, e irreversibili, implicazioni di un attacco militare.

Il valore simbolico di Taiwan per Pechino è oramai evidente, la retorica del Partito comunista cinese insiste da decenni sulla necessità di una unificazione. Un attore che ambisce a diventare l’egemone globale non può permettere l’esistenza di una disputa territoriale aperta. Nel caso di Taiwan per Pechino si tratta dell’ultimo tassello per completare il processo di costruzione dell’identità nazionale cinese iniziato nei primi decenni del Novecento. Il secolo delle umiliazioni coloniali può essere superato, nell’interpretazione del Partito comunista cinese, solo con l’unificazione di Taiwan, ma la realtà degli equilibri strategici descrive una Marina cinese ancora impreparata per un’azione di forza sull’isola principale. Un divario che potrebbe venire colmato nei prossimi tre anni, secondi gli analisti, ma per la Rpc le conseguenze di un’invasione di Taiwan sarebbero catastrofiche.

L’interconnessione globale è una condizione necessaria per la sopravvivenza dell’economia cinese; il progetto di un mercato interno capace di assorbire l’offerta delle merci prodotte nella Rpc si è rilevata fallimentare, anche a causa delle conseguenze della politica “zero Covid” voluta da Xi.

La sostanziale unità del fronte occidentale nel sostegno dell’Ucraina di fronte all’aggressione russa ha stupito Pechino, secondo la maggior parte degli analisti, e ha soprattutto convinto il Pcc dell’impossibilità di un’azione di forza nei confronti di Taiwan. Mentre sia i policy paper della Casa Bianca sia le dichiarazioni di supporto alla questione taiwanese, ampiamente condivise dall’intero spettro della politica statunitense, hanno evidenziato la difesa di Taiwan come la prerogativa della politica estera di Washington.

Nuova normalità

Pechino continuerà a ridefinire i confini di una nuova normalità nelle relazioni dello Stretto, dalle incursioni aeree fino a una attività sempre più intensa delle navi commerciali e militari nelle vicinanze delle acque taiwanesi. Mentre Washington vigilerà sulle operazioni dell’Esercito popolare di liberazione, e sulle milizie civili attive nel Mar cinese meridionale, ma anche sulle possibili derive indipendentistiche nella politica taiwanese.

I confini della convivenza sino-taiwanese si modificheranno nel prossimo futuro ma l’unica linea rossa rispetto a un possibile conflitto è rappresentata da bruschi cambiamenti politici interni. Eventuali crisi sociali nella Rpc potrebbero venir risolte attraverso la proiezione verso un evento esterno capace di catalizzare e unire la popolazione cinese. Mentre all’interno della competizione elettorale taiwanese singoli attori potrebbero usare l’elemento indipendentista come strumento per conquistare consensi.

Le conseguenze di una crisi bellica nello Stretto per tutti gli attori coinvolti sembrano tuttavia enormi. Una circostanza che rende l’invasione di Taiwan un evento altamente improbabile nel breve e medio termine.
 

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