Donald Trump aveva detto di aspettarsi «entro 24 ore» la risposta del movimento islamista palestinese Hamas a una proposta di cessate il fuoco a Gaza avanzata dal suo inviato speciale Steve Witkoff. Un eventuale accordo potrebbe temporaneamente sospendere la carneficina di Gaza e, nella migliore delle ipotesi, fare da apristrada a una ricomposizione semipermanente del conflitto iniziato quasi due anni fa.

Ora una prima risposta sembrerebbe esserci: a quanto affermano i media del Qatar, Hamas avrebbe accettato la proposta «con emendamenti minori». Nel suo ultimo post a proposito di Gaza su Truth lo scorso mercoledì Trump aveva scritto «Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare il cessate il fuoco di 60 giorni, durante i quali lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra».

Ringraziando Qatar ed Egitto per gli sforzi di mediazione, aveva aggiunto: «Spero, per il bene del Medio Oriente, che Hamas accetti questo accordo, perché [le condizioni] non miglioreranno, ma diventeranno solo peggiori». Il gruppo islamista ha fatto sapere di aver coinvoltoanche altre fazioni palestinesi nelle proprie valutazioni. Secondo i dettagli trapelati sull’accordo, dieci ostaggi vivi e 18 cadaveri di israeliani verrebbero restituiti in cinque tranche nel corso di una tregua di 60 giorni.

Sessanta giorni

Non si tratterebbe dunque ancora di un’archiviazione della vicenda degli ostaggi, visto che i rapiti vivi dovrebbero essere ancora una ventina e quelli deceduti circa 30. Durante i due mesi di tregua, infatti, dovrebbero continuare gli sforzi negoziali per trovare un accordo sul resto degli ostaggi e per un cessate il fuoco, almeno sulla carta, di natura permanente.

«Non ho mai pensato che Netanyahu volesse continuare la guerra il più a lungo possibile, ma è vero che nel corso delle trattative in passato ha anche tenuto conto delle esigenze della coalizione», dice Nadav Eyal, noto commentatore israeliano. «Dopo la vittoria contro l’Iran ha molto più potere politico per agire».

Il principale nodo da sciogliere è che Hamas vorrebbe più garanzie da Washington quanto alla possibilità che Israele possa rompere il cessate il fuoco e rilanciare l’offensiva unilateralmente, proprio come ha fatto lo scorso 18 marzo, dopo due mesi di interruzione delle ostilità. Se da una parte Israele vuole chiudere il conflitto potendo dichiarare in maniera credibile di aver eliminato definitivamente la minaccia di Hamas, dall’altra Hamas si è dimostrata pronta a tutto pur di mantenere i propri punti fermi: garanzie sulla propria sopravvivenza politica e ritiro di Israele ai confini precedenti la guerra del 7 ottobre.

Altri massacri

Per raggiungere un accordo quadro ora viene ipotizzato un disarmo formale di Hamas e l’esilio simbolico di alcuni suoi membri prominenti dalla Striscia di Gaza. Ma mentre si inseguono queste voci continuano i massacri nella Striscia: venerdì sarebbero 15 i morti provocati da raid aerei, secondo l’agenzia Associated Press, e 20 le persone uccise nell’ambito di sparatorie nei pressi dei centri di distribuzione della controversa Gaza Humanitarian Foundation.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha fatto sapere di aver registrato, fino al 27 giugno, 613 uccisioni nei punti di distribuzione della fondazione israelo-americana e nei pressi di altri convogli umanitari. Il portavoce militare israeliano in arabo Avichay Adraee, nel frattempo, continua a dispensare perentori ordini di evacuazione tramite i suoi canali social media.

In quasi due anni di guerra Israele non è riuscita ad estirpare del tutto la resistenza armata palestinese nel territorio, e si è trovata ad invadere a più riprese gli stessi agglomerati urbani. «A Khan Younis, dove la settimana scorsa sono stati uccisi 7 soldati, l’Idf è già intervenuta diverse volte dall’inizio della guerra; ogni volta abbiamo sentito dichiarazioni secondo cui la disfatta di Hamas sarebbe stata imminente», ha scritto il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth. «Nelle zone in cui l’Idf non opera Hamas continua a ricostruire le proprie infrastrutture militari e a reclutare giovani e adolescenti».

Come avvenne in occasione della tregua di gennaio, con l’inizio dell’operazione “Muro di ferro” in Cisgiordania, i falchi del governo israeliano sono pronti a rivendicare “compensazioni” in caso di accordo a Gaza. Quindici ministri del Likud di Netanyahu hanno inviato una lettera al premier incoraggiandolo a procedere con l’annessione di parti della Cisgiordania. «Dopo gli storici successi ottenuti da Israele contro l’asse del male iraniano e i suoi simpatizzanti, è necessario eliminare la minaccia esistenziale proveniente dall’interno, per impedire un altro massacro nel cuore del paese», hanno scritto. «L’appoggio di Trump ha reso questo momento propizio».

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