Il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied ha annunciato nuove elezioni per il 17 dicembre 2022 e ha indetto un referendum costituzionale per il 25 luglio del 2022.

Nel suo discorso alla nazione, Saied ha prorogato la sospensione dei poteri del parlamento fino al giorno delle prossime elezioni. Una misura già in vigore dal 25 luglio quando con un’azione unilaterale il presidente ha sia sospeso i lavori parlamentari e sia deposto vari ministri del governo precedente, tra cui il premier Hichem Michichi.

Per far fronte alle critiche lo scorso ottobre Saied ha nominato a capo Najla Bouden Romdhane a capo dell’esecutivo. Si tratta della prima donna che guida un governo di un paese arabo.

Le date

Dal prossimo primo gennaio inizieranno una serie di consultazioni popolari sugli emendamenti costituzionali ed elettorali che saranno poi sottoposti al referendum previsto il 25 luglio.

Una commissione creata ad hoc formalizzerà le consultazioni entro giugno. Non si sa ancora cosa prevederà la nuova riforma costituzionale ma, se approvata, andrà a sostituire quella del 2014 frutto della rivoluzione dei Gelsomini del 2011 che pose fine al regime ventennale dell’allora presidente autoritario Ben Ali.

Kai Saied, avvocato costituzionalista, è stato criticato da larga parte della popolazione dopo la presa di potere avvenuta la scorsa estate. Nelle piazze, i cittadini tunisini lo accusano di aver eseguito un colpo di stato anche grazie all’aiuto della Francia, paese ex colonizzatore.

Nel suo discorso, il presidente della Repubblica ha usato date non casuali. Ha infatti scelto di indire le prossime elezioni il 17 dicembre del 2022, data in cui ricade l’anniversario dell’immolazione di Mohamed Bouazizi giovane tunisino che si diede fuoco nella piazza principale di Sidi Bouzid (un paese nell’entroterra del paese) in segno di protesta contro il caro vita e la precaria situazione occupazionale dei giovani. Bouazizi è morto dopo poco giorni in seguito alla gravità delle ustioni riportate, ma il suo gesto ha scatenato grosse proteste nella città che si sono poi estese alla capitale Tunisi nel gennaio del 2011.

La Tunisia oggi

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Dal 2011 il paese sta affrontando un processo di transizione democratica che ha portato a grandi passi in avanti e a una nuova costituzione. Ma ci sono ancora degli evidenti deficit democratici: manca ancora una Corte costituzionale e l’apparato poliziesco è tornato a compiere numerose violazioni dei diritti umani nell’ultimo anno. Le ong denunciano circa 2mila arresti arbitrari compiuti per mano della polizia da gennaio a oggi per reprimere le proteste di piazza.

Secondo l’opposizione politica del paese la scelta di congelare il parlamento ha fermato il processo di transizione democratica. Saied ha anche detto che promulgherà un decreto per una legge di riconciliazione nazionale. L’obiettivo è quello di perseguire i crimini politici ed economici compiuti dai vecchi apparati dello stato.

I reati e i personaggi coinvolti sono già stati classificati dall’Istanza verità e dignità, una commissione che ha avuto il mandato parlamentare di indagare sui crimini commessi durante i regimi di Bourghiba e Ben Ali. I lavori si sono conclusi nel dicembre del 2018 e sono stati pubblicati nei mesi successivi: un dossier di quasi mille pagine che fa luce sul passato tunisino e sulle responsabilità dei grandi potentati che hanno governato il paese fino al 2011. 

Per Saied tutti coloro che hanno commesso dei crimini devono essere perseguitati dalla giustizia affinché venga ripristinato il danno cagionato sia alle regioni sia alle vittime della repressione. Per la prima volta, l’Istanza verità e dignità equipara la corruzione a una violazione dei diritti umani.

I prossimi mesi

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Si preannunciano mesi caldi in Tunisia, dove notoriamente le proteste di piazza crescono durante i mesi che coincidono con l’anniversario della rivoluzione del 2011. I giovani chiedono nuove riforme economiche e del mercato del lavoro, ma non è semplice. Il governo si è rivolto più volte al Fondo monetario internazionale per far fronte alla grave crisi economica acuita dalla pandemia. Ai tunisini di oggi restano solo due strade: protestare o lasciare il paese (proprio come gli oltre 12mila giovani che lo scorso anno sono sbarcati in Italia).

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