Dopo i droni sulle basi aeree, colpito il ponte-simbolo. Missione negli Usa per convincere Trump a lanciare nuove sanzioni. Per la prima volta Mosca apre a «nuove soluzioni». Ma continua la retorica bellica: «Nessun compromesso, solo vittoria»
Il fumo degli attacchi dei droni ucraini non si era ancora completamente dissipato dalla basi aeree russe, colpite domenica da un raid che ha sorpreso alleati e avversari, che l’intelligence di Kiev ha messo a segno un nuovo colpo. Martedì 3 giugno, intorno alle 4 di mattina, una potente esplosione ha scosso fin dalle fondamenta il ponte di Kerch, che collega la penisola di Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, alla terraferma, da tre anni obiettivo numero uno per Kiev. Dio ama la trinità – ha detto il capo del Sbu, il generale Vasyl Malyuk – Abbiamo già colpito il ponte due volte, nel 2022 e nel 2023. Oggi continuiamo questa tradizione».
Secondo Malyuk, il ponte sarebbe stato colpito da una carica di esplosivo con potenza pari a oltre una tonnellate di dinamite. Non è chiaro quale mezzo sia stato usato per l'attacco, ma in molti ipotizzano che si sia trattato della prima operazione compiuta da un drone sottomarino della storia. Il Cremlino per ora non ha commentato l’attacco, ma il ponte è stato chiuso in diversi momenti della giornata di martedì, mentre non è ancora chiara l’entità dei danni che ha subito.
Missione a Washington
Per gli ucraini si tratta di un nuovo e significativo successo nella battaglia che stanno combattendo per dimostrare, soprattutto alla Casa Bianca di Donald Trump, che il loro paese non è «senza carte da giocarsi», come aveva rinfacciato lo stesso Trump al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.
Ribadire questo punto è proprio uno degli obiettivi della missione intrapresa martedì a Washington dal braccio destro di Zelensky, il capo del gabinetto presidenziale, Andrii Yermak. «Incontreremo rappresentati di entrambi i partiti e la squadra del presidente Trump», ha detto Yermak. Le discussioni, ha aggiunto, riguarderanno il sostegno alla difesa ucraina, il rafforzamento delle sanzioni e l'accordo minerario firmato tra i due paesi.
Yermak discuterà anche della situazione sul terreno, con le rapide avanzate russe in Donbass, dove nell’ultima settimana i soldati di Mosca hanno conquistato più terreno che in tutto il mese di maggio. Di certo, però, preferirà concentrarsi nel riferire dell’ennesimo attacco aereo contro Sumy, la grande città ucraina nell’estremo nord-est del paese che l’avanzata russa sta sempre più trasformando in una città di prima linea. Martedì, quattro persone sono rimaste uccise e altre decine ferite in un attacco avvenuto in pieno giorno sul centro della città.
Il fatto che Yermak discuterà anche di “sostegno alla difesa ucraina” e di “sanzioni” ha suscitato in molti ucraini la speranza che la Casa Bianca sia finalmente pronta a mettere in atto le famose ripercussioni tanto minacciate da Trump se Putin non avesse accettato il cessate il fuoco.
Il presidente Usa non si è ancora espresso sull’incontro di Istanbul di lunedì, nel quale Mosca ha di nuovo respinto un cessate il fuoco, accordandosi invece su un nuovo scambio di prigionieri e di corpi di soldati caduti (oltre mille i primi, seimila per parte i secondi). L’ultima volta che ne aveva parlato, però, aveva detto che in un paio di settimane sarebbe stato chiaro se Putin lo stava prendendo in giro o era disposto a negoziare seriamente.
Quali spiragli
L'ex presidente e superfalco russo, Dimitri Medvedev, ha scritto sul suo canale Telegram che l’obiettivo dei russi a Istanbul non è un compromesso, bensì la «vittoria completa». Nonostante questa retorica bellicosa, diversi analisti hanno notato uno spiraglio si sarebbe aperto nel muro compatto che i russi oppongono a qualsiasi concessione. Nel documento presentato lunedì agli ucraini, Mosca elenca le sue condizioni per accettare la famosa tregua. La prima è quella nota e già dichiarata inaccettabile da Kiev e Washington: il ritiro completo delle truppe ucraine dalle quattro regioni annesse dalla Russia (20mila chilometri quadrati di territorio dove abitano oltre un milione di ucraini).
Per la prima volta, però, i russi offrono anche una nuova strada per arrivare alla tregua. Niente ritiro immediato, ma la promessa di nuove elezioni, lo stop alla mobilitazione ucraina e alla consegna di armi da parte degli alleati. Richieste altrettanto inaccettabili, ma che per la prima volta negli ultimi mesi, mostrano che Mosca è disposta a moderare, almeno parzialmente, le proprie richieste. Quando i giornalisti hanno chiesto al portavoce del Cremlino se si trattava di un compromesso rispetto alle iniziali richieste russe, Dimitri Peskov ha risposto enigmatico: «Si tratta di un argomento che rientra nel processo negoziale e che non può essere reso pubblico».
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