La messinscena della notte su domenica, con i droni e i missili degli ayatollah largamente annunciati e in cammino per ore prima di essere invariabilmente distrutti, è servita a chiarire, ce ne fosse bisogno, che Iran ed Israele, per motivi diversi, non hanno nessuna intenzione di arrivare per ora a un conflitto aperto pur se continuano a usare il linguaggio della guerra e Gerusalemme ha annunciato una ritorsione, vedremo quanto estesa. È servita, la messinscena, anche a ridefinire in modo più evidente le alleanze, assai mutate rispetto al passato.

Israele ha avuto, nell’occasione cruciale, la prova definitiva che non è più isolata nel Medio Oriente e ha al suo fianco una fetta consistente dell’area sunnita. Non solo la Giordania ha attivamente partecipato alla costruzione delle scudo di difesa che ha impedito distruzioni più vistose, ma si vocifera addirittura di un ruolo fattivo dell’Arabia Saudita al fianco dello stato ebraico di cui in passato esigeva la cancellazione.

Il ruolo dei sauditi

Riyad capeggia un gruppo di paesi che comprende gli emirati del Golfo interessati a un rapporto di buon vicinato con Gerusalemme per almeno due ragioni. La prima riguarda l’alleanza strategica contro la componente sciita nel duello conclamato per la supremazia nel mondo islamico.

Anche i sunniti si sentono minacciati e vivono una sorta di sindrome da accerchiamento dopo che la dorsale sciita si è completata sulla mappa e si disegna su un asse che va dal Golfo al Mediterraneo attraverso la linea Teheren-Baghdad-Damasco-Beirut (Hezbollah) ed ha un’appendice a sud, nello Yemen, dopo la vittoria degli Houti nella guerra civile in quel lembo di penisola arabica.

La seconda riguarda gli interessi. I giovani petro-monarchi arrivati al potere, al contrario dei loro predecessori, non hanno poi così a cuore la questione palestinese, e se non hanno sposato in toto i valori dell’occidente soprattutto per quanto riguarda il rispetto di alcuni diritti umani fondamentali, guardano con favore alcuni aspetti del nostro modo di vivere, fanno shopping nelle capitali europee, hanno scelto il calcio e lo sport in generale come biglietto da visita per un dialogo che superi i sospetti di una loro vicinanza con alcuni gruppi terroristici. E vedono in Israele un partner economico ideale con cui fare affari.

Il 7 ottobre e la successiva offensiva su Gaza hanno frenato ma non stoppato il processo di mutuo riconoscimento in corso avviato dagli accordi di Abramo e che aspetta di essere perfezionato quando la regione sarà meno infiammata di oggi.

E bisogna aggiungere che Gerusalemme, alla cartina di tornasole dell’altra notte, ha ritrovato al suo fianco anche un gruppo significativo di partner abituali, critici con il governo Netanyahu ma non ostili, come gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito. Solo il futuro dirà se la ritrovata coesione resisterà nel caso che Netanyahu decida per una over-reazione contro Teheran.

Gli amici di Teheran

Sull’altro fronte, l’Iran ha avuto conferme circa la fedeltà di stati come l’Iraq e la Siria, di gruppi come gli Hezbollah libanesi e gli Houti yemeniti che si sono accodati nel lancio di ordigni verso lo stato ebraico.

A questi va aggiunto Hamas, movimento sunnita però schierato con l’asse sciita perché da questo ha avuto il sostegno militare per preparare ed eseguire la carneficina del 7 ottobre. Hezbollah e Hamas, data la contiguità territoriale con lo stato ebraico, sono la punta di lancia, strategicamente assai importante, per minacciare da vicino Israele.

Sul piano internazionale la solida alleanza con la Russia, riluttante nel condannare l’attacco aereo anche dopo esplicita richiesta, dimostra come in Medio Oriente si stiano riproponendo grosso modo gli stessi schieramenti del conflitto in Ucraina. Le due guerre così lontane, sono in realtà così vicine. In entrambi gli scacchieri si gioca il perfezionamento delle aree di influenza, si gioca la ridefinizione dell’ordine mondiale che seguirà al caos di questi anni turbolenti.

In Medio Oriente le grandi potenze hanno due campioni regionali ormai palesemente riconoscibili, Israele e l’Iran. Destinati prima a poi a entrare in una rotta di collisione molto più rovinosa della messinscena di questo 14 aprile.

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