Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto ufficialmente agli Stati Uniti di imporre una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina, così da impedire alle truppe russe impegnate nell’invasione di utilizzare la loro superiorità aerea contro gli ucraini.

Sono centinaia gli ucraini che dall’inizio dell’invasione fanno appello per l’istituzione di una no-fly zone sui social. Le loro richieste hanno persuaso decine di giornalisti, commentatori e anche alcuni politici, in Europa e negli Stati Uniti.

Ufficialmente, però, la richiesta è stata respinta, mentre gli esperti avvertono che anche soltanto prendere in considerazione questa opzione rischia di condurci verso un’ulteriore escalation.

Cos’è una no-fly zone?

In sostanza è la dichiarazione da parte di un paese o di un’organizzazione internazionale del divieto di sorvolare uno spazio aereo. Il punto più problematico è che una volta dichiarata, la no-fly zone deve essere fatta rispettare tramite missioni di combattimento. Dichiarare una no-fly zone, quindi, significa trovarsi coinvolti in un conflitto aperto con la nazione a cui si vuole impedire di utilizzare la propria aviazione militare.

In anni recenti, le no-fly zone sono state utilizzate in tre distinte occasioni. La prima è più lunga no-fly zone è quella dichiarata dagli Stati Uniti nelle zone settentrionali e meridionali dell’Iraq. L’operazione è iniziata alla fine della prima guerra del Golfo ed è durata quasi un decennio. In questo periodo, gli aerei americani hanno compiuto migliaia di missioni di bombardamento delle installazioni antiaeree in Iraq e hanno ingaggiato numerosi duelli con i jet iracheni. 

La seconda è la no-fly zone imposta sulla Bosnia durante il conflitto nell’ex Yugoslavia. Anche in questa circostanza, gli aerei Nato hanno attaccato installazioni militari a terra per assicurarsi di poter pattugliare lo spazio aereo e intercettare eventuali jet nemici senza rischio.

La terza è quella dichiarata in Libia nel 2011 e che si è rapidamente trasformata in una campagna aerea di supporto ai ribelli libici contribuendo in modo significativo al rovesciamento del regime di Muhammar Gheddafi.

La reazione russa

Applicare una no-fly zone sull’Ucraina signifca inevitabilmente entrare in conflitto con la Russia. Aerei da combattimento Nato dovrebbero essere costantemente pronti a intercettare le forze russe che dovessero violare il blocco. Per farlo, sarà necessario eliminare la considerevole capacità antiaerea della Russia e questo significherà colpire basi e veicoli terresti.

Il presidente russo Vladimir Putin ha già minacciato pesanti ritorsioni in caso di intervento esterno nel conflitto. «A chiunque pensi di intervenire con queste operazioni: se lo farete, andrete incontro a conseguenze più gravi di quelle che avete mai fronteggiato nella vostra storia», ha detto poco giorni fa.

Per il momento, la no-fly zone appare impossibile. Il presidente americano Joe Biden ha escluso qualsiasi coinvolgimento diretto di soldati americani in Ucraina, e questo esclude anche l’intervento dell’aviazione per imporre una no-fly zone.

Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha ripetuto ieri, dopo le nuove richieste arrivate anche da alcuni deputati americani: «Non abbiamo intenzione di entrare in Ucraina, né via terra, né nel suo spazio aereo». Il ministro della Difesa britannico Ben Wallace ha detto: «Imporre una no-fly zone equivarrebbe a dichiarare guerra alla Russia».

Poche settimane fa, anche l’invio di armi in Ucraina sembrava impensabile, eppure oggi 18 paesi dell’Unione Europea su 27 hanno annunciato l’invio di materiale letale. Ma se, come sembra, l’intervento russo dovesse aumentare in intensità e se le vittime civili dovessero aumentare di pari passo, le voci che chiedono una no-fly zone potrebbero moltiplicarsi e le conseguenze potrebbero diventare rapidamente imprevedibili.

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