Il report, diffuso dopo lunghe verifiche, certifica la reazione eccessiva delle forze dell’ordine davanti al tentativo di «un piccolo gruppo» di forzare il cordone di sicurezza, tra «uso eccessivo della forza» e «fermi senza base giuridica». L’uso di gas lacrimogeni senza preavviso, di idranti «a distanza ravvicinata» e le manganellate non «hanno rispettato i protocolli di necessità e proporzionalità». La questura dà una versione opposta
A Udine, il 14 ottobre, la manifestazione nazionale contro la partita Italia-Israele e la normalizzazione del genocidio a Gaza è diventata un laboratorio di versioni contrapposte. Il nuovo rapporto di Amnesty International Italia, diffuso dopo settimane di verifiche, parla di «gravi violazioni dei diritti umani» e ricostruisce il quadro con tempi certi e documenti visionati.
La Questura, nelle ore successive alla protesta, ha parlato invece di «due ore di guerriglia urbana». In mezzo ci sono le testimonianze, i fogli di via notificati nella notte e una distanza che continua ad allargarsi.
Cosa dice il rapporto
Secondo gli osservatori di Amnesty, alle 20:15 «un piccolo gruppo» avrebbe tentato di forzare il cordone in viale della Vittoria. L’ong sostiene che la risposta delle forze dell’ordine sia stata «immediata» e caratterizzata da «idranti a distanza ravvicinata» e da «circa 150 lacrimogeni», cifra attribuita alla stessa Questura.
Nel documento si legge che il lancio delle munizioni avrebbe raggiunto anche piazza I Maggio, dove erano presenti «minorenni, persone anziane e manifestanti pacifici». Amnesty afferma che «non risultano preavvisi» prima dell’uso dei gas lacrimogeni, elemento richiesto dagli standard internazionali.
Il rapporto cita anche «colpi di manganello su persone con le mani alzate» e un giornalista che avrebbe ricevuto «colpi alla schiena e alle braccia» mentre documentava la scena. Le testimonianze parlano di munizioni «sparate ad altezza d’uomo» e di idranti utilizzati in condizioni che «non rispettano i protocolli di necessità e proporzionalità». L’ong collega questi elementi alla violazione del principio di proporzionalità stabilito dalle norme Onu sull’uso della forza.
Versioni contrapposte
La Questura ha fornito una narrazione opposta. Il questore Pasquale Antonio De Lorenzo ha parlato di «attacchi con bottiglie, transenne e pezzi di grondaia», riferendo «11 agenti feriti». L’uso degli idranti e dei lacrimogeni viene descritto come «risposta necessaria per contenere la violenza». I dati ufficiali parlano di «15 persone condotte in Questura», due delle quali arrestate per resistenza e danneggiamento.
Le reazioni politiche hanno stretto la cornice interpretativa. Il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha definito la serata «inaccettabile» e ha espresso «solidarietà totale alle forze dell’ordine». Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato di «estremisti pro-Palestina» e di «violenza contro la polizia». La Lega regionale ha chiesto che «gli organizzatori paghino i danni».
Nella minoranza si è chiesto un chiarimento: il capogruppo Pd Diego Moretti ha chiesto «distinzione tra i responsabili degli scontri e la maggioranza pacifica», mentre Marco Grimaldi (Avs) ha presentato un’interrogazione sui provvedimenti emessi.
I fermi
Il nodo principale del rapporto Amnesty riguarda però i fermi. L’ong scrive che «almeno tredici persone» sono state bloccate «intorno alle 21.45» in via Giosuè Carducci, un chilometro dalla piazza, mentre rientravano verso auto e stazione. Le testimonianze raccolte parlano di «decine di agenti in antisommossa» che avrebbero chiuso la strada e fermato «chiunque transitasse». Amnesty riferisce di «perquisizioni effettuate con modalità brusche», persone «messe a terra» e trasferimenti «a sirene spiegate».
Nel rapporto si afferma che i fermati sarebbero rimasti «circa cinque ore» negli uffici della Questura, «senza informazioni sul motivo del fermo» e «privati del telefono» e della possibilità di contattare un avvocato. Dieci di loro hanno ricevuto un foglio di via obbligatorio di un anno. L’ong dice di aver visionato i documenti e riferisce che «nella quasi totalità dei casi» non risultano precedenti penali o di polizia. Manca, secondo Amnesty, «la valutazione individuale della pericolosità sociale», requisito centrale per l’emissione del provvedimento. Tra i profili citati compaiono un lavoratore costretto alle dimissioni e una persona che stava per firmare un contratto.
La Questura ha confermato il numero dei provvedimenti senza commentare la base giuridica dei singoli fogli di via. Per Amnesty, la vicenda è «un caso esemplare» dell’uso crescente delle misure amministrative preventive contro i manifestanti. Le associazioni legali che monitorano le piazze riportano un aumento «a due cifre» dei fogli di via dopo le mobilitazioni pro-Palestina, a fronte di procedimenti penali «quasi sempre archiviati o senza condanna».
Il quadro si intreccia anche con il dibattito parlamentare sulle nuove norme di ordine pubblico, che ampliano il ricorso ai provvedimenti preventivi. Amnesty chiede «un chiarimento istituzionale» su uso della forza, modalità dei fermi e base giuridica dei fogli di via. La distanza tra le versioni resta aperta. Ma a pesare di più è il futuro delle piazze italiane.
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