Una nuova ricerca condotta da Kick It Out Israel, organizzazione sostenuta dal centro Givat Haviva e impegnata nella promozione di una società condivisa tra ebrei e arabi, ha rivelato un aumento significativo dei cori razzisti negli stadi israeliani durante la stagione calcistica 2024-25. Il rapporto registra 367 episodi di cori o comportamenti discriminatori durante le partite della Israeli Premier League, con un incremento del 67 per cento rispetto all’anno precedente.

È il numero più alto da quando esistono monitoraggi sistematici di questo tipo. I dati raccontano di uno slittamento costante del linguaggio delle curve verso l’intolleranza, e di un progressivo indebolimento della capacità delle autorità sportive di farvi fronte.

Il caso Maccabi Tel Aviv

Al centro del fenomeno c’è il Maccabi Tel Aviv, la squadra più titolata e seguita del paese, che emerge anche come quella con la maggiore concentrazione di episodi. Dei 367 casi registrati, 118 sono stati collegati direttamente ai settori occupati dai suoi tifosi. Tra i cori più frequenti figura lo slogan «Let the Idf win, fuck the arabs», cantato da frange ultras durante momenti di tensione politica o militare.

Secondo i ricercatori di Kick It Out Israel, la curva del Maccabi è diventata negli ultimi anni un catalizzatore di nazionalismo aggressivo e di retorica anti araba, spesso amplificata sui social network e poi riportata in forma rituale allo stadio. Il fenomeno non si limita però a Tel Aviv - Beitar Jerusalem e Maccabi Netanya figurano anch’essi tra i club con numeri elevati - ma l’influenza simbolica del Maccabi, per storia e dimensioni del seguito, lo rende un caso particolarmente significativo.

La posizione della Lega israeliana

La Israel football association ha dichiarato che il razzismo «è un problema presente in quasi tutte le leghe mondiali» e ha ribadito il proprio impegno su tre fronti: educazione, campagne di sensibilizzazione e sanzioni disciplinari. Tuttavia, gli autori del documento parlano di un «vuoto di applicazione effettiva», sottolineando come il numero di procedimenti disciplinari non sia cresciuto in proporzione agli episodi.

Molte segnalazioni, spiegano, si chiudono con ammonimenti o sospensioni brevi, mentre le multe economiche sono rare e di entità limitata. La conseguenza è un sistema percepito come tollerante verso le espressioni più estreme del tifo.

Niente trasferta europea per i tifosi

È dentro questo scenario che va letta la decisione, annunciata poche settimane dopo la pubblicazione del rapporto, di vietare la trasferta dei tifosi del Maccabi Tel Aviv in Inghilterra per la partita di Europa League contro l’Aston Villa, in programma il 6 novembre. La polizia delle West Midlands ha classificato l’incontro come «evento ad alto rischio», citando come motivazioni il clima politico internazionale e i disordini che hanno visto coinvolti i tifosi del Maccabi ad Amsterdam nella scorsa stagione.

La misura di prevenzione inglese è stata seguita da un’ondata di polemiche. Alcuni rappresentanti del governo britannico l’hanno definita «profondamente sbagliata» e contraria ai principi di accesso equo e sicurezza per tutti i tifosi. Ma il club israeliano ha preferito chiudere la questione con una decisione autonoma: ha annunciato che non avrebbe comunque accettato alcuna quota di biglietti per i propri sostenitori, nemmeno nell’eventualità di un dietrofront delle autorità locali.

In una nota ufficiale, il Maccabi ha motivato la scelta con «il clima tossico che si è creato intorno alla partita» e con «seri dubbi sulla sicurezza dei nostri tifosi in trasferta».

Le reazioni

Il governo israeliano ha espresso disappunto per l’esclusione, mentre l’ambasciata britannica a Tel Aviv ha ribadito che il provvedimento nasceva da valutazioni di ordine pubblico e non da considerazioni politiche. Da parte sua, l’Uefa ha evitato di commentare, limitandosi a ricordare che la sicurezza delle partite internazionali ricade sulle autorità locali e sui club organizzatori.

La sovrapposizione dei due fatti - il boom dei cori razzisti e la rinuncia forzata o volontaria alla trasferta - restituisce un’immagine più ampia e inquieta di come il calcio israeliano stia vivendo la sua fase più controversa. Da un lato, l’incapacità di arginare un razzismo endemico che si manifesta dentro e fuori gli stadi; dall’altro, la crescente difficoltà di separare l’identità sportiva da quella politica, soprattutto in un momento in cui il conflitto e la polarizzazione plasmano ogni spazio pubblico. Le curve, come spesso accade, diventano specchi della società: ciò che accade sugli spalti non è che un riflesso di ciò che fermenta nelle strade, nei social network e nelle piazze.

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