Da un allenatore con grande esperienza a giocatori nati e quasi tutti cresciuti in Olanda, spesso nei grandi vivai di Ajax e Psv. Dopo le prime volte di Uzbekistan, Giordania e Capo Verde, ci sarà un’altra matricola, un paese non del tutto stato che peraltro non è invece ammesso alle Olimpiadi: mai un territorio così piccolo era arrivato così lontano. E all’esordio nella competizione batterà un altro record ancora
Curaçao si, Italia forse. Dunque, l’isoletta caraibica a una sessantina di chilometri dalla costa venezuelana ha conquistato nella notte il diritto di giocare il Mondiale di calcio che si disputerà nel 2026 fra Canada, Messico e Stati Uniti.
A noi toccherà invece la pericolosa strettoia dei play-off, già fatali con la Svezia la penultima volta e con la Macedonia del Nord l’ultima. E sì, come si diceva una volta, il pallone è rotondo. Fatto sta che la Norvegia ci ha strapazzato all’andata e al ritorno, mentre Curaçao si è piano piano arrampicata fino alla cima della qualificazione, conquistata con lo 0-0 in casa della Giamaica, mantenendo il punto di vantaggio nella classifica di uno dei tre gironi che mettevano in palio l’accesso diretto ai Mondiali. L’ennesima impresa di Dick Advocaat, l’allenatore giramondo che è alla sua ottava panchina di squadre nazionali.
Ora ci sono vari modi per vivere questo azzurro (il colore delle maglie dei caraibici è lo stesso dell’Italia) double face. C’è chi griderà allo scandalo per un Mondiale che riserva “solo” 15 squadre all’Europa e ritiene che quest’isoletta sia una sorta di Olanda bis, visti i luoghi di nascita di quasi tutti i giocatori. Con il sottinteso un po’ superleghistico che delle squadre ci debbano stare sempre vista la loro importanza nel movimento calcistico internazionale, mentre le altre siano solo una fastidiosa scocciatura.
Insomma, quelli che vorrebbero un Mondiale con l’Europa più Brasile e Argentina, magari una spruzzata di Asia e Africa, e niente più. Altri, invece, la pensano al contrario. Semplificando: un Mondiale è un Mondiale. E ci devono stare tutti i continenti e in modo davvero rappresentativo.
Anche le periferie calcistiche del mondo che poi evidentemente sono periferie meno di quanto pensiamo. E poi lo sport può essere anche un competentissimo professore di storia e geografia. Chi avrebbe conosciuto quest’angolo di mondo se non fosse stato per il Mondiale di calcio?
Il paradosso
Per il Mondiale, ma non per l’Olimpiade. Perché alle Olimpiadi Curaçao non c’è stata e non ci sarà. Con la fine delle Antille Olandesi nel 2010 il suo status è diventato quello di un paese non del tutto stato. In pratica a Willemstad, la capitale, si decide su quasi tutto, ma non sulla Difesa per esempio. Curacao è una “nazione costitutiva” del regno dei Paesi Bassi. E il Cio ha scelto regole molto restrittive sul riconoscimento di nuovi stati membri.
Quindi Olimpiadi no (nel senso che o può partecipare con l’Olanda o come “atleti indipendenti”), Mondiali di calcio sì perché Curaçao è riconosciuta invece dalla Fifa e anche da diverse altre federazioni internazionali.
A proposito, il calcio per la verità, almeno fino alla qualificazione vittoriosa, non era neanche lo sport di squadra più popolare, visto che nell’isola è il baseball che ha più tradizione. Ma insomma com’è che questo posto famoso come meta turistica esotica, fino a dieci anni fa numero 150 del ranking Fifa (ora è al numero 82), è riuscito a produrre una Nazionale di calcio capace di conquistare la terra promessa del Mondiale? Forse non c’è una sola ragione.
I punti di forza
Certo un allenatore di grande esperienza, che ha dimostrato a diverse latitudini, di sapere come si fa. Certo la trasformazione del Mondiale a 48 squadre dalle 32 dell’ultima edizione. Ma forse il segreto sta in una miscela. Da una parte giocatori nati e quasi tutti cresciuti in Olanda nel solco di un percorso, dai grandi vivai di Ajax, Psv e compagne alla Erredivisien o in qualche altro campionato europeo.
Dall’altra un riconoscere un nuovo orgoglio, il ritorno alle origini della propria famiglia, con la possibilità di finire in un Mondiale che con la maglia arancione dell’Olanda non si sarebbe mai riusciti a vivere. E allora ecco i vari Livano Comenencia (un passaggio alla Juve Next Gen in serie C) o Rangelo Janga, il cannoniere che gioca nell’Eindhoven o ancora Leandro e Juninho Bacuna, tutti e due in Turchia, al Bandirspor e al Gaziantep. Circostanze, orgoglio, identità.
Cosi ecco che dopo le prime volte di Uzbekistan, Giordania e Capo Verde, arriverà al Mondiale un’altra matricola. Quella che non ti aspetti. Perché per la verità tutti aspettavano un’altra squadra un po’ olandese, il Suriname, peraltro neanche troppo lontana da Curaçao, l’ex colonia delle origini di tanti top player arancioni, da Gullit a Rijkaard, da Davids a van Dijk.
Ma l’appuntamento di quest’altro pezzo di America (siamo vicini anche qui al Venezuela) con il Mondiale come minimo è rinviato, allo spareggio intercontinentale che si terrà in Messico proprio nei giorni dei play-off che decideranno la sorte dell’Italia. Ma c’è sempre tempo per integrare la lista delle new entry. Senza toccare almeno per questa tornata il primato stabilito da Curaçao nella notte giamaicana, quello dell’isola più piccola che ha conquistato il sogno più grande.
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