Sono lontani i tempi in cui Aldo, Giovanni e Giacomo ironizzavano sulla Nazionale scandinava, confondendola con la Nigeria. La qualificazione diretta ai Mondiali (ai danni dell’Italia) dimostra che decenni di lavoro federale su giovani, campi sintetici indoor, prevenzioni degli infortuni e trasferimenti hanno aumentato in modo consistente il valore del gruppo
Ammettiamolo, fino a pochi mesi fa, dicevi Norvegia del calcio e la mente andava subito all’orologio con radio incorporata dei Ringo Boys, con cui Giacomino, in una memorabile scena di Così è la vita, ascolta il quarto di finale del Mondiale 1998 insieme a Giovanni e Aldo, che confonde la Norvegia con la Nigeria e tifa soldatino Di Livio, «l’idolo del braccio sei». Classica scena di cultura pop di chi con un po’ di spocchia, ma a ragione, si sentiva superiore. Trent’anni dopo quell’orologio si è rotto e la radiolina ha cominciato a raccontare un calcio nuovo, dove a Oslo puoi perdere 3-0 e non strusciarla mai.
È quello che è successo a giugno all’Italia, è costato la qualificazione diretta ai Mondiali e anche il cambio in panchina, da Luciano Spalletti a Gennaro Gattuso. Ok, ma come è possibile che la Norvegia sia diventata nell’arco di una generazione calcistica una Nazionale da sette vittorie su sette nel girone e da +29 nella differenza reti?
L’avvento del sintetico indoor
Dopo che la Nazionale ha bucato l’accesso a Mondiali ed Europei per quindici anni (dal 2000 al 2016), la federazione (Nff) ha intrapreso una profonda riforma. In Norvegia si sono accorti che quel calcio di prestanza fisica e lanci lunghi non bastava più. Bisognava adeguarsi al nuovo trend del gioco europeo, fatto di tecnica in velocità. Difficile, però, se per sei mesi l’anno si gioca in mezzo alla neve. Si è quindi deciso di partire dalle strutture. Via i campi in erba e dentro i campi in sintetico e indoor: già nel 2015, circa il 60 per cento dei manti era artificiale. Una mossa che ha rivoluzionato la crescita dei giovani calciatori, che ora possono allenarsi su superfici di qualità costante.
Oltre a un rinnovamento dei terreni di gioco, la Nff ha lanciato il Barnefotballens verdigrunnlag, un progetto dal nome impronunciabile, ma che ha funzionato alla grande. Potremmo tradurlo liberamente come “I valori del calcio dei bambini”. Il nostro slogan “Ripartiamo dai ragazzi”, quelli che “non giocano più per strada”, ma in salsa norvegese. A quelle latitudini, in mezzo agli incroci di palloni non ne sono mai girati, troppo freddo, però i bambini non si avvicinavano più al calcio.
Il piano prevedeva la creazione nelle scuole di numerosi campetti da street football, sempre al chiuso, gratuiti e accessibili per chiunque. L’obiettivo era stimolare il gioco libero e creativo. Nessun giudizio, punteggio, risultato o classifica. Il perfetto mix tra il dovere dello studio e il piacere dello sport. Un modello di welfare incollato al calcio. Tutto molto Norvegia, dove la vita scorre più lenta anche se le giornate durano meno.
Il ruolo dei club
L’imprinting federale ha spinto anche i club a fare la loro parte, replicando di fatto lo stesso schema. Diverse squadre hanno investito sul vivaio, assunto professionisti provenienti da contesti diversi, modernizzato i metodi di allenamento e adottato un approccio olistico nella cura e nelle prevenzioni degli infortuni. Il livello si è così alzato in tutta la Eliteserien, la prima divisione, tanto che il quasi ventennale dominio del Rosenborg è stato interrotto da Brann, Valerenga, Stabæk e Molde.
Dal 2020 il campionato è controllato dal Bodø/Glimt, che ha vinto quattro degli ultimi cinque titoli. I nazionali che giocano nei top team europei (Haaland, Ødegaard, Ryerson, Nusa, Sørloth, Bobb, Strand Larsen) hanno cominciato tutti in settori giovanili diversi, rispettivamente Molde, Strømsgodset, Viking, Stabæk, Rosemborg, Valerenga e Sarpsborg. Segno che la base del movimento lavora bene. La naturale inclinazione dei giovani a fare esperienze all’estero ha fatto il resto, restituendo alla Norvegia dei teenager già pronti per sostenere match di livello internazionale.
La crescita dei trasferimenti
Nel 2019, la Norsk Toppfotball (la lega che riunisce prima e seconda serie) ha siglato il primo accordo a livello nazionale con TransferRoom, una piattaforma che collega 800 club e 550 agenti in oltre 100 leghe. Questa collaborazione ha favorito una crescita esponenziale del valore dei trasferimenti. In sette anni la media delle operazioni in uscita si è decuplicata, permettendo ai club di gestire meglio le trattative e ottenere più ricavi. Con più soldi in cassa le società non devono per forza vendere e possono trattenere calciatori di qualità. Non è un caso, infatti, che proprio l’anno scorso il Bodø abbia raggiunto la semifinale di Europa League con un gruppo che gioca insieme da anni.
Certo poi avere un alieno come Haaland aiuta. Ma la Nazionale non è solo lui. C’è il capitano dell’Arsenal Ødegaard, gli esterni offensivi del Lipsia e del Manchester City Nusa e Bobb, il 9 dell’Atletico Madrid Sørloth. Un super attaccante come Strand Larsen del Wolverhampton resta in panchina. Eppure, questa rosa almeno fino alla scorsa estate si è spesso inceppata, fallendo il pass a Euro 2020 e al Mondiale 2022, vanificati per troppi stop contro le Nazionali minori.
Per questo la squadra di Solbakken ha aggredito il girone di qualificazione, mangiandosi l’Italia a Oslo e seppellendo sotto una miriade di gol Israele, Estonia e Moldavia. Questa Norvegia non sarà ancora una generazione dorata, ma di sicuro se dovessero fare un remake di “Così è la vita” adesso Aldo non la confonderebbe con la Nigeria.
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