La fine della ventennale occupazione americana ha portato con un dilemma minore ma non insignificante, all’interno del grande dramma afghano. Cosa ne sarà di Internet? Chi lo gestirà ora? Sarà ancora possibile comunicare sui social media, informarsi online, usufruire dei servizi digitali della pubblica amministrazione o anche questa breve primavera è già terminata?

Di fronte al crollo dell’economia, la perdita di diritti da parte delle donne, la repressione dei costumi e della libertà di espressione, la domanda potrebbe apparire oziosa. Non lo è; se non altro perché la connettività è talmente incardinata nelle società moderne che la sua assenza o un utilizzo inappropriato ha un impatto significativo. Perfino in una società relativamente arretrata, dal punto di vista delle infrastrutture tecnologiche, come quella afghana.

Doppio binario

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All’inizio degli anni Duemila, all’epoca del loro primo governo, i Talebani avevano osteggiato in toto il progresso; negli ultimi anni hanno invece cercato di limitarlo o di sfruttarlo a loro vantaggio. Usando i social media per celebrare i loro successi e diffondere il terrore fra la popolazione. Costringendo le società di telecomunicazioni a spegnere i ripetitori o distruggendoli loro stessi, dove necessario, per isolare le zone in cui c’erano sacche di resistenza o in cui si tenevano manifestazioni e proteste.

Il cambio di paradigma che riflette la diversa importanza che la rete ha assunto in questi vent’anni. Nel 2001, nel paese quasi non esisteva Internet, oggi circa 13 milioni di abitanti (su un totale di 38 milioni) hanno accesso a qualche forma di connessione. Ci sono cinque grandi operatori di telecomunicazione, quattro privati e uno controllato dallo stato e 4,4 milioni di utenti sui social media, con le loro star online e i loro influencer. Intuito come girava il vento, questi ultimi oggi si sono in larga parte auto oscurati per evitare problemi e ritorsioni.

Ora che sono al potere, i Talebani devono decidere cosa fare di Internet. L’ipotesi più accredita è quella del doppio binario. Accesso e utilizzo illimitato per funzionari, amici e fiancheggiatori della fazione al potere, accesso ridotto e sorvegliato per i comuni cittadini. Con il duplice vantaggio di poter usare i canali Internet a scopo di propaganda _ un compito in cui a sorpresa i Talebani si sono dimostrati finora particolarmente abili _ e, al contempo, servirsene per monitorare e reprimere il dissenso.

Mancano i soldi

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Non è detto però che il piano possa riuscire, innanzitutto per motivi economici. L’Afghanistan è sull’orlo del collasso: i prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 50 per cento, fondi per nove miliardi di dollari sono stati congelati dalle banche estere da quando i fondamentalisti hanno preso il potere, la gente non riesce a ritirare i soldi per vivere. Di conseguenza, non ci sono nemmeno i soldi per pagare i fornitori di connettività, che vengono liquidati in dollari.

Società come Speedcast ed Eutelsat forniscono il supporto satellitare al 3G che è indispensabile per assicurare connettività a un paese in cui tre quarti degli abitanti vivono in zone rurali. Queste aziende potrebbero però decidere di staccare la spina per insolvenza.

Potrebbero fare lo stesso anche le società iraniane che forniscono servizi di fibra ottica nelle città. Alcuni operatori di telecomunicazioni, come la sudafricana Mtn, hanno annunciato di recente di voler abbandonare l’Afghanistan, anche non hanno finora dato seguito alla minaccia. Sguarnito il campo, potrebbero comunque farsi avanti società cinesi, russe o pakistane, ovvero di paesi più disponibili a fare affari con il nuovo governo.

Server stranieri

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L’isolamento del contesto internazionale significa però che i sistemi non vengono più aggiornati e diventano a poco a poco obsoleti e lontani dagli standard delle altre nazioni. A causa dell’esodo di molti afghani con competenze nel settore della tecnologia dell’informazione, potrebbe scarseggiare il personale capace di gestire e far funzionare gli impianti.

Tutto ciò potrebbe portare a una situazione simile a quella della Siria, dive, malgrado le sanzioni americane in atto da anni, l’accesso a Internet è ancora disponibile ma in maniera limitata. Ci sono però anche altri fattori che potrebbero limitare il livello di controllo dei Talebani sul web afghano. Il principale è che una buona parte dei domini Internet del paese è sotto il controllo di società occidentali.

Un recente rapporto della società di servizi Netcraft mostra come siano ospitati da server situati all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Germania. Questo vale per la maggioranza dei siti governativi e per buona parte di quelli civili, così come per i server che gestiscono le mail in entrata e in uscita.

Il che significa, fra l’altro, che i governi dei paesi dove i server sono collocati potrebbero leggere senza problemi la corrispondenza dell’amministrazione talebana. Anche i servizi Dns (semplificando, quelli che traducono l’originale indirizzo numerico di un sito in un formato alfabetico più semplice da digitare e ricordare) per l’Afghanistan non sono in mani locali, ma fanno capo a una società di San Francisco e a una di Praga. Il cambio di governo non sembra al momento turbare i gestori, ma in caso di nuove tensioni anche questo è un elemento di potenziale fragilità.

Social talebani

Per quanto riguarda l’utilizzo dei canali Internet come strumento di propaganda, molto dipenderà poi dal comportamento delle grandi piattaforme, come Facebook, Twitter, YouTube e Linkedin. Finora si sono mosse in maniera abbastanza ambigua. Hanno preso alcune misure per evitare che i social vengano usati dai Talebani per individuare e perseguitare chi in passato ha sostenuto il governo di occupazione.

Facebook, per esempio, ha oscurato gli elenchi di amici nei profili e Twitter ha velocizzato le procedure di rimozione dei tweet archiviati.

D’altra parte queste stesse piattaforme non hanno mai ventilato l’ipotesi di abbandonare il paese, preferendo affidarsi a politiche di moderazione non sempre efficaci. Facebook e YouTube sono i network che hanno adottato misure più stringenti, impedendo post da parte o a favore di esponenti Talebani, dato che al gruppo islamico si applicano le policy riguardanti “organizzazioni violente e pericolose”.

Twitter preferisce regolarsi post per post e consente che portavoce dei Talebani twittino ai loro follower. Il che, fanno notare alcuni commentatori, appare perlomeno curioso, dato che l’ex presidente Usa, Donald Trump, è stato bandito in modo permanente da Twitter per aver fomentato atteggiamenti violenti.

La stessa regola non si applica dunque ai nuovi governanti afghani, che quanto a incitamento alla violenza non sono secondi a nessuno.

A ben vedere, le incertezze dei social non fanno altro che replicare le ambiguità della politica estera occidentale che esecra la repressione della società civile da parte dei Talebani ma non può o non vuole tagliare i ponti con loro. Sarebbe ipocrita chiedere ai social di essere duri e puri quando nemmeno i governi sono capaci di esserlo.

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