Sul New York Times due docenti di Harvard (Schneier e Sanders) hanno appena bollato di “cacofonia” le chiacchiere d’allarme o di speranza innescate dal protagonismo dell’intelligenza artificiale.

In effetti, da quando ChatGpt ha cominciato a chiacchierare in stile antropomorfo, incombe la “grande sostituzione” ad opera dei robot, ma se i colletti bianchi e blu impallidiscono, altri sorridono convinti che la potenza di calcolo progetterà le molecole risolutrici di malattie, inquinamento e così via.

Al popolo, assordato dallo scampanio di social e altri media, restano l’angoscia e l’illusione, ma senza capire veramente per che cosa.

Le Big Tech

In mezzo al frastuono si coglie l’astuzia delle Big Tech (Google, Meta, Amazon, Microsoft ed Apple) che unendosi al coro dei profeti di sventura reclamano dalla politica regole di ferro per ricerca, social, commercio e, per completare, sull’intelligenza artificiale in via d’esperimento.

Ovviamente le Big Tech mirano a perpetuare la pacchia monopolista di cui godono e chiedono le regole che un tempo hanno scansato perché ora facciano da ostacolo ai potenziali concorrenti. Ecco perché sembrano sussurrare all’orecchio dei membri del Congresso e della Ue: «Sì, è vero, che l’odio in rete lo abbiamo coccolato perché il traffico ci rende, ma siamo pronti a darci un taglio e, badate, solo noi possiamo farlo perché chi pratica il delitto ha già la competenza dello sbirro».

Così i palazzi Usa e quelli della Ue, fissato qualche paletto perbenista, si scaricherebbero la coscienza a beneficio dei comizi e di Wall Street. E resterebbe intatto il dominio delle Big Tech a casa loro e nostra (perché esistono anche le Big Tech cinesi, ma per ora stanno a casa propria).

A pagare le spese dell’inciucio sarebbero le vittime concrete dell’odio a mezzo rete ovvero il mondo lgbt+, gli immigrati senza integrazione, i difformi culturali e qualsiasi vittima di anonime calunnie. Perché il tutto proviene da forze che nessun codice di moderazione potrà addomesticare nella catena di post anonimi propagati dagli spam bot e moltiplicati dagli automatismi degli algoritmi di raccomandazione.

Anche se qualcuno a questo punto si starà chiedendo perché le volenterose Big Tech non potrebbero procedere alla ripulitura della rete da anonimi e spam bot, i diavoli dell’inferno che esse stesse hanno costruito e che sveltamente potrebbero stroncare.

L’impero sotterraneo

La risposta risiede, ahimè, nella esistenza di un potere superiore che sguazza in quell’inferno: l’impero sotterraneo descritto da Henry Farrel (Johns Hopkins University) e Abraham Newman (Georgetown University) nel recentissimo Underground Empire dove equiparano le fibre ottiche della rete alle strade romane su cui «viaggiavano commercio e costrizione». Gli Usa, forti del possedere i primi fondamenti della rete l’hanno “weaponised” (trasformata in arma) per tenere sotto il tacco mezzo mondo.

Il governante Usa e lui soltanto riceve le analisi automatiche del polso delle folle (proprie e altrui) e dei fenomeni latenti in cui infilare lo zampino con eserciti di robot; carpisce indefessamente confidenze e segreti delle imprese soppesandoli in funzione della geopolitica e delle più immediate convenienze di supporter finanziari e collegi elettorali; impone disciplina (o con noi o contro di noi) a chi tenta di sgusciare dalle sanzioni con cui gli Usa includono od escludono interi paesi dai mercati finanziari e dagli scambi mercantili.

Il tutto sorto e perseguito in nome della sicurezza nazionale, una motivazione non da poco, ma espanso al punto da distruggere, passo dopo passo, la trasparenza della democrazia e la mondializzazione dell’economia cogliendo in contropiede perfino la destra convinta del liberismo come antidoto all’assolutismo tendenziale dello stato. Ecco perché in questa rete nessun governante americano cambierà mai qualcosa di sostanza e a chi non ci sta on resta, avendone i mezzi ed il coraggio, che farsene un’altra tutta propria. Ma, tranne qualche borbottio da parte della Francia, non pare che di buttarsi in questa impresa ci sia gran voglia (dei sovranisti alla amatriciana ancora meno) tant’è che spuntano due professori americani a dirci che il re è nudo raccontando le cose come stanno e soppesandone le conseguenze sia per le province sottomesse che per la stessa capitale dell’impero.

Sarà per questo che ci annoiano le pagine, non solo italiane, di allarmi catastrofico e consolazione moralistiche che non si negano a nessuno. Gli esperti autentici abbondano, anche senza ricorrere, a differenza nostra, ai docenti americani. Ma paiono chiudere gli occhi per non turbare, in stile Ponte sul fiume Kwai, la posa delle fibre sperando magari che col mitico mercato le cose si aggiustino da sole. Per non dire della Commissione europea che, nonostante le bocciature della corte, aggeggia accordi che prolungano il sequestro dei dati degli utenti europei nei server americani.

L’approccio vaticano

Sul tema sembra pigliarla alla larga anche il Vaticano, che certo non è l’ultimo ad essere spiato, intitolando a “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore” la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali prevista nel 2024. In altri tempi ci aspetteremmo temi consueti al sacro soglio come famiglia, minori, sguardo ai soli e ai bisognosi. Ma con questo papa chissà che non ci scappi anche qualcosa sullo strapotere del moderno imperatore, perché vista da vicino l’innocente giustapposizione fra Ia e cuore coglie il punto nodale di qualsiasi discorso sull’intelligenza artificiale nonché sull’affidabilità di qualsiasi potere che su questi robot punti le sue carte.

Infatti tutte le Ia sono raccolte automatiche di schemi di relazione tra segni di comunicazione, che siano statistiche sul gioco tra protoni ed elettroni o il vestito verbale di alti problemi spirituali. In sostanza l’Ia risponde a parole con parole senza provare mai direttamente il contatto con la realtà di cui le parole disegnano la mappa. Parla di caldo e freddo, di crudeltà e amore in paragrafi e poesie, ma non ha mai sudato ho provato un brivido di freddo o un battito di cuore.

Ecco perché non penetra l’inespresso tra le righe e perché manca di “coscienza” (lo stato che tiene il sentore del reale insieme alle forme con cui la corteccia cerebrale lo incasella). Alla fin fine l’Ia è uno strumento che sta al decisore come la vanga al contadino ed è intelligenza strutturalmente ottusa mentre la “sapienza del cuore”, anche se non sappiamo bene cosa sia, la sa di certo assai più lunga.

Ma quanta “sapienza del cuore”, cioè lungimiranza, ci chiediamo possa mai garantire che sia l’imperatore, cioè la decisione democratica, a dirigere la vanga senza ridursi a riflettere l’operare di automatismi impostati in venti anni di quella ossessione securitaria che si impose sopra tutto (insieme al ricorso alla tortura) dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non sarebbe del resto la prima volta che il ricorso alla sorveglianza come sostituto del comprendere corrode gli stati dall’interno (lo stalinismo qualcosa ci ha insegnato) inducendo all’autoreferenza i burocrati del trono cui propina l’illusione del controllo.

Fossimo in altri papati non ci avremmo posto mente, ma con l’attuale, che mostra il coraggio di uscire dalla tana, ci viene automaticamente la voglia di alzare le pretese. Nella speranza che il Vaticano dia a sé stesso e agli altri il coraggio di analizzare la sostanza strutturale e non solo l’assortimento di peccati che la rete bene o male ci regala.

Senza trascurare la circostanza di trovarsi a dibattere di Ia e cuore, ma anche di chi dovrebbe tenere le redini di entrambi, avrà luogo nel pieno dei percorsi elettorali che decideranno congresso e presidenza Usa e delle elezioni al parlamento europeo. Con i due corpi elettorali prigionieri di fazioni (perché la società da ultimo somiglia ai social delle cerchie) e sigle di partiti scarnificati dall’interno che cercano idee come l’acqua nel deserto.

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