Adam Mosseri dal 2018 è il capo di Instagram e nella sua carriera a Facebook (il social network dell’azienda che ora si chiama Meta) ha sempre seguito la più diffusa delle tecniche fra i grandi manager della tecnologia.

Si è mosso nel cerchio più ristretto intorno al capo, in questo caso Mark Zuckerberg, ha imparato a essere influente senza però fare troppo rumore, concedendo pochissime interviste e solo su argomenti molto circoscritti. Poi qualcosa è cambiato.

Ed è forse anche per questo che la prossima settimana, per la prima volta, testimonierà davanti al Congresso degli Stati Uniti, cercando di ricostruire la reputazione sua e di Instagram.

Riavvolgendo il nastro si deve tornare alla scorsa primavera, quando si è diffusa l’indiscrezione che Instagram stesse lavorando a una versione per bambini dell’app, dedicata a chi ha meno di 13 anni. La notizia ha fatto imbestialire i procuratori generali degli Stati Uniti. Hanno scritto una lettera a Zuckerberg, di fatto facendo chiudere in un cassetto quel progetto.

È allora che Mosseri si è lasciato andare. In una delle sue rarissime interviste, concessa a The Information, ha detto: «Ci sono cose più utili che potrebbe fare chi governa rispetto a scrivere lettere», ha detto. «I procuratori generali devono solo far rispettare le leggi, non devono scriverne di nuove». Ha alzato la voce e qualcuno se l’è presa.

La vendetta

È un altro giornale americano, il Wall Street Journal, a rivelare il passaggio successivo, che poi ci porta all’oggi. Un gruppo bipartisan di procuratori generali di alcuni stati americani ha deciso di avviare le indagini, con l’ipotesi che Instagram avesse violato le leggi sulla protezione dei consumatori e messo a rischio le persone.

Secondo Doug Peterson, procuratore generale del Nebraska, «quando le piattaforme social trattano i nostri figli come semplici prodotti da manipolare, allora diventa imperativo per i procuratori generali intervenire».

Ma l’aspetto più interessante dell’articolo del Wall Street Journal è un altro. Citando una fonte vicina all’indagine, il quotidiano spiega che i procuratori generali hanno deciso di intervenire dopo aver letto l’intervista di The Information a Mosseri. Erano stati sfidati e non potevano fare a finta di nulla.

L’audizione che la prossima settimana Mosseri terrà al Senato nasce sullo sfondo di queste ostilità. Il Congresso ha già interrogato Antigone Davis, capo globale della sicurezza di Meta, e Frances Haugen, l’ex dipendente che ha trafugato alcuni documenti per poi consegnarli ai giornali. Fra gli altri, c’era anche una ricerca che dimostrava i possibili effetti negativi di Instagram sui più giovani.

Contropotere

Tutte le vicende che riguardano i social network, e più in generale a la tecnologia, possono essere lette come un enorme scontro fra poteri, in cui anche una dichiarazione poco diplomatica può far scattare una reazione. Facebook/Meta è una sorta di stato nello stato che per anni si è mosso senza troppi limiti e che ora combatte contro chi vorrebbe quanto meno limarne l’influenza.

A capo di questo contropotere c’è una generazione di ricchissimi top manager di cui Mosseri è un perfetto rappresentante. Sempre sul confine fra l’illusione che la tecnologia possa davvero migliorare il mondo e la consapevolezza che gli effetti collaterali prima o poi sfuggiranno a ogni controllo.

A gennaio Mosseri compirà 39 anni. È nato e cresciuto a New York e la sua carriera è stata per una buona parte simile a quella di altri suoi colleghi. Ha studiato media e design dell’informazione all’università della sua città e ha tentato per qualche tempo di creare una start up.

Nel 2008 è arrivato a Facebook, dove ha assunto subito ruoli di responsabilità nell’ambito del design. Si è occupato di adattare sempre meglio le funzionalità del social network allo schermo degli smartphone. Soprattutto, è riuscito a entrare nel cerchio magico di Zuckerberg, diventando uno dei suoi luogotenenti più fidati.

Perdere la Generazione Z

Così, non troppo per caso, si è trovato in trincea in un altro dei momenti più delicati nella storia del social network. Nel 2016, prima e dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, Mosseri era responsabile della sezione notizie di Facebook.

Ovvero, di quello spazio pieno di notizie false dove venivano promossi contenuti controversi e dove gli utenti di un paese lontano potevano influenzare le elezioni degli Stati Uniti, semplicemente sedendosi davanti a uno schermo.

Facebook era rimasto una macchina che faceva soldi ed era ancora il social network più popolato, capace di monopolizzare una buona parte della pubblicità online. Faceva però sempre più fatica ad attrarre e trattenere gli utenti più giovani che vedevano il social network come un posto pericoloso o semplicemente non più adatto a loro.

Integrazioni

Perdere le fasce di età più giovani significa imboccare la strada che porta al declino. Per Facebook la soluzione era comunque in teoria molto semplice: bastava riuscire ad integrare meglio le singole realtà, rinforzando il legame fra Facebook (per i millennial e antecedenti) e Instagram (per la Generazione Z).

È la strada che Zuckerberg indica nel 2018, quando inizia a studiare una serie di integrazioni dirette fra i due social network. È anche il momento in cui i due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, decidono di dimettersi, lamentando di aver perso ormai ogni forma di autonomia.

Al loro posto Zuckerberg sceglie proprio Mosseri. Secondo quanto ha raccontato il New York Times, citando come fonte una persona che era presente, quando Mosseri si è presentato per la prima volta davanti ai suoi nuovi dipendenti, uno di loro si è fatto coraggio e gli ha chiesto: «Perché dovremmo pensare che non farai con Instagram gli stessi errori che hai fatto quando eri a Facebook?».

L’Instagram baby

Mosseri aveva ben chiaro quale fosse il suo obiettivo principale: impedire che Instagram diventasse un ambiente ostile per le nuove generazioni, con una diffusione incontrollata del cyberbullismo. Fra le innovazioni principali, ha sperimentato la possibilità di togliere il conteggio dei “mi piace” al di sotto delle foto.

Ma avrebbe voluto fare di più. La vera novità sarebbe stata la progettazione della versione baby di Instagram, con una piattaforma dedicata a chi ha meno di 13 anni. Secondo Mosseri, i ragazzini di quell’età già frequentano internet ed è giusto che possano avere un ambiente a loro dedicato, protetto dai pericoli che potrebbero incontrare altrove.

La questione etica

Guardando però la questione da un altro punto di vista, significa ammettere in maniera ancora più evidente l’interesse di un’azienda per una fascia d’età delicatissima e particolarmente esposta a tecnologie che sono concepite per creare rapporti di dipendenza e massimizzare l’effetto pervasivo della pubblicità.

Occorre tenere presente che in America l’educazione sta diventando il principale terreno di scontro culturale e politico. I consigli scolastici, che fissano i programmi e danno linee guida sugli insegnamenti, sono sotto processo da parte dei genitori e sotto osservazione dell’Fbi, che ha raccolto segnalazioni e perfino minacce. 

In Virginia, un candidato repubblicano è diventato governatore dello stato puntando proprio sui timori dei genitori di fronte all’introduzione di principi ideologici come la critical race theory nei programmi. Insomma, quella educativa è la questione infiammata del nostro tempo.

È su questo sfondo che si consuma il dilemma etico e politico che il capo di Instagram porterà al Senato. Davanti al Congresso Mosseri si giocherà anche il suo futuro.

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