Da un anno a questa parte si discute tantissimo del metaverso: davvero il nostro futuro sarà immerso nella realtà virtuale? E se invece la visione propugnata in primis da Mark Zuckerberg si rivelasse un flop? Quale tra i tanti “metaversi” di cui sentiamo parlare (Horizon Worlds di Meta, Decentraland, Zepeto, VRChat) si rivelerà il più adatto alle esigenze complessive della nostre vite?

Al di là delle varie e legittime questioni sollevate dal metaverso (compresa quella relativa a cosa concretamente si celi dietro i tanti clamorosi annunci), c’è un aspetto che sta invece passando sotto silenzio: il metaverso è sostenibile? A prima vista, la risposta sembrerebbe positiva. D’altra parte, trasferire eventi e impegni di ogni tipo in un ambiente digitale significa ridurre drasticamente gli spostamenti; allo stesso modo, dematerializzare sempre di più le nostre esperienze (per esempio, acquistando vestiti per il nostro avatar virtuale invece che per noi stessi) permetterebbe di ridurre una parte non trascurabile dei consumi.

Le stime

La faccenda, però, è più complessa. Per quanto celata dietro termini eterei come “cloud” (nuvola, in inglese), l’infrastruttura che regge internet è in realtà estremamente materiale, composta da cavi sottomarini che viaggiano per milioni di chilometri, ripetitori, trasformatori, antenne, sterminati data center e molto altro. Già oggi, i consumi energetici richiesti ogni anno per alimentare i data center di tutto il mondo ammontano a circa 300 terawattora: circa l’1,5 per cento del consumo energetico globale (dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia).

La situazione è destinata a peggiorare: secondo le stime, entro il 2025 il mondo digitale sarà responsabile del 5,5 per cento delle emissioni complessive. Attorno al 2040, l’infrastruttura tecnologica attorno a cui ruota una parte crescente della società potrebbe causare il 14 per cento di tutte le emissioni (poco meno di quanto emette una nazione come gli Stati Uniti d’America).

Per osservare più da vicino questa imponente crescita bisogna prendere in considerazione i numeri relativi al traffico internet. Ancora nel 2016, ogni mese il traffico dati globale si aggirava attorno ai 96 exabyte al mese, nel 2021 questa cifra era già più che triplicata. Se invece si osserva l’aumento del solo traffico dati mobile (quello che passa attraverso la rete cellulare), la crescita è ancor più sostenuta: nel 2017, questa porzione del traffico internet si fermava a 10 exabyte al mese, oggi ha raggiunto quota 80 exabyte. L’aspetto più importante, però, è che nei prossimi cinque anni crescerà fino a raggiungere 370 exabyte mensili, quasi cinque volte tanto.

A cosa si deve questa impennata? Semplicemente, alle maggiori capacità della rete mobile di oggi: se il 3G che andava per la maggiore ancora nel 2010 aveva una velocità massima (effettiva) di 3 megabytes al secondo, con il 4G si è arrivati fino a 14 mbps, mentre con il 5G che si sta rapidamente diffondendo si tocca una velocità di 100 mbps.

Questa crescente velocità viene impiegata per visualizzare video e ascoltare musica in qualità sempre maggiore, giocare a videogiochi online ad altissima definizione anche sugli smartphone e guardare film in 4K sul tablet quando si è in viaggio. In effetti, si pensa che la visualizzazione di video rappresenti il 69 per cento di tutto il traffico dati del mondo, una percentuale destinata a raggiungere il 79 per cento nei prossimi cinque anni.

L’esempio della musica

È sostenibile una crescita di questo tipo? Per capirlo, basti pensare che l’industria musicale – che oggi vive soprattutto di streaming audio – è responsabile dell’emissione di 350 milioni di chilogrammi di CO2 solo negli Stati Uniti, più del doppio di quanto l’industria musicale consumava nel 1977, quando il mondo della musica viveva di cassette e di vinili. Insomma, passare dalla plastica allo streaming non sembra aver giovato all’ambiente, tanto che si stima che un CD diventa più sostenibile dello streaming una volta superato il venticinquesimo ascolto di un album.

Quanto consumerà il mondo digitale quando a essere trasferiti sui nostri dispositivi non saranno più i dati necessari ad ascoltare un podcast su Spotify o a vedere un video su Netflix, ma a immergerci in un ambiente in realtà virtuale, tridimensionale e ricchissimo di dettagli? L’energia richiesta non potrà che superare enormemente anche le stime più negative, che ancora non prendono in considerazione la possibile diffusione di questo embrionale metaverso.

Immaginate però, un domani, di immergervi in un metaverso evoluto in cui vi spostate in ambienti ricreati in ogni dettaglio, magari passeggiando in un bosco in realtà virtuale assieme ad amici potendo osservare l’erba, gli alberi, il cielo e le nuvole riprodotte in altissima definizione, tutto costantemente ricreato in tempo reale per adattarsi agli spostamenti e al vostro campo visivo. Quanta energia sarebbe richiesta se un utilizzo della realtà virtuale di questo tipo diventasse abituale per lavorare, fare shopping, rilassarsi con gli amici e altro ancora?

Futuro incerto

Ovviamente, è impossibile fare previsioni precise. Raja Koduri, vice-presidente di Intel, ha però dichiarato in un post che per dare vita al metaverso come immaginato da Zuckerberg servirebbe un potere computazionale «di vari ordini di grandezza superiore» a quello che sorregge il sistema attuale. Sempre Koduri si è sbilanciato fino a stimare la necessità di avere un’infrastruttura informatica oltre mille volte più potente di quella odierna.

Queste valutazioni, per il momento, vanno trattate con estrema cautela. Nessuno sa quanto il metaverso in realtà virtuale come prefigurato da Mark Zuckerberg si diffonderà effettivamente: al momento Horizon Worlds è una sorta di social network tridimensionale dalla risoluzione scarsa, usato da non più di 200mila persone in tutto il mondo e i cui consumi sono quindi risibili.

Per quanto sia stato il protagonista degli ultimi 12 mesi, Zuckerberg non è però l’unico che sta sviluppando ambienti sempre più immersivi – in realtà virtuale o meno – ed energivori: dai fenomeni del “social gaming” come Fortnite o Minecraft, utilizzati online e già sotto accusa per i loro consumi; ai vari Decentraland o The Sandbox, basati su blockchain; fino alla quasi certa diffusione della realtà aumentata, tecnologia da sfruttare soprattutto in mobilità che tramite appositi visori permette di sovrapporre, in tempo reale, uno strato digitale al mondo fisico (consentendo per esempio di osservare le indicazioni di Google Maps direttamente sull’asfalto). Quanta energia può richiedere un futuro in cui tutti utilizziamo servizi e dispositivi che richiedono un’enorme quantità di dati e di potere computazionale

Il lato positivo

Per fortuna, ci sono anche buone notizie. Prima di tutto, l’efficienza dei data center che alimentano la rete continua a migliorare: tra il 2010 e il 2018 il loro carico di lavoro è aumentato del 2.600 per cento, mentre l’energia consumata è cresciuta soltanto del 10 per cento. Se la tendenza dovesse proseguire, le stime più nefaste relative alle emissioni causate da questi colossali magazzini di server costantemente raffreddati ad aria condizionata potrebbero essere smentite.

Non solo: al di là degli impegni presi dalla maggior parte dei colossi della Silicon Valley per ridurre al minimo – e nel tempo azzerare – l’utilizzo di combustibili fossibili, il risparmio maggiore potrebbe venire dalla possibile drastica riduzione degli spostamenti, mano a mano che – nel metaverso o su schermo – le riunioni, le conferenze, gli eventi, magari anche i concerti e per qualcuno perfino le vacanze verranno sostituite da un loro surrogato digitale.

Insomma, se davveremo un domani eviteremo di prendere un volo intercontinentale per recarci a una conferenza e ci accontenteremo invece di parteciparvi in realtà virtuale, il risparmio in termini di emissioni sarà garantito. Ma davvero andrà così? O invece, più che sostituirle, le esperienze digitali si aggiungeranno a quelle fisiche? A queste domande potremo rispondere solo col tempo. Mentre discutiamo della forma che avrà il nostro futuro digitale, è però giunto anche il momento di prendere in considerazione la sua sostenibilità ambientale.

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