Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


In realtà, non vi fu alcuna accelerazione della strage di via D’Amelio, o, almeno, non nel senso in cui l’ha intesa il giudice di prime cure: e cioè come se uno specifico evento, che la sentenza individua appunto nella sollecitazione ad avviare un eventuale negoziato, fosse sopravvenuto medio tempore tra le due stragi a sconvolgere la scaletta del programma criminoso di Riina.

Come s’è visto, è possibile, ma tutt’altro che provato con certezza, che il capo di Cosa nostra abbia avuto sentore dell’iniziativa dei carabinieri de Ros e ne abbia subito compreso le finalità (quelle, s’intende, fatte credere anche a Vito Ciancimino nella prima fase della “collaborazione” intrapresa con gli stessi Carabinieri) o ne sia stato compiutamente edotto già prima della strage di via D’Amelio, ma comunque quando quest’ultima era già in itinere anche nella sua concreta esecuzione.

Quand’anche così fosse, egli avrebbe persistito nei suoi piani, traendone anzi incoraggiamento e predisponendosi alla formulazione di specifiche richieste, che, proprio in quanto avanzate dopo che Cosa nostra aveva dato l’ennesima prova della sua terrificante potenza, dovevano intendersi come condizione non negoziabile della cessazione della violenza mafiosa.

Da qui la minaccia implicita nella formulazione stessa di quelle richieste.

La sconfessione della tesi dell’accelerazione della strage Borsellino non fa dunque venir meno la prova che Riina non soltanto accolse la “sollecitazione al dialogo”, ma concretizzò la sua risposta con la formulazione di specifiche richieste. Tale prova si raggiunge infatti aliunde, e cioè sulla base di ben altre fonti che non l’illusorio riscontro logico che si vorrebbe desumere dalla presunta accelerazione della strage di via D’Amelio.

L’attendibilità di Brusca

[…] Il nucleo portante della prova anzidetta è costituito dal riscontro incrociato delle propalazioni di Brusca con la “narrazione” della trattativa Ciancimino-Ros, avuto riguardo ai contenuti e ai tempi di svolgimento che essa avrebbe avuto nella prima fase della collaborazione che l’ex sindaco di Palermo intraprese con i carabinieri nell’estate del ‘92, fino alla sua brusca interruzione, cui sarebbe poi seguita una seconda fase contrassegnata da un drastico mutamento di spartito (nei termini e nelle finalità della collaborazione predetta).

Ed invero, questa corte ritiene di dover condividere la valutazione del giudice di prime cure secondo cui le propalazioni di Giovanni Brusca sulla vicenda del “papello”, al netto delle ondivaghe dichiarazioni sulla datazione dei colloqui con Riina vertenti su tale tema, sono pienamente credibili.

In più d’uno dei passaggi motivazionali, la sentenza mette in guardia sulla necessità di vagliare con estrema cautela le dichiarazioni di Brusca. E non solo per il pregiudizio normativo legato allo status del dichiarante, che era imputato per gli stessi fatti su cui vertevano le sue dichiarazioni.

Ma anche perché alle ombre residuate dal faticoso percorso collaborativo segnato da dichiarati tentativi iniziali di depistaggio (sia pure in relazione a specifiche vicende del tutto estranee ai fatti per cui qui si procede) si aggiungono, e questa volta in relazione alla materia di questo processo, talune incongruenze e soprattutto mutamenti di versione: nel quadro, aggiungiamo, di una generale propensione a rimodulare le proprie propalazioni a seconda delle emergenze processuali — e dei contesti processuali in cui è stato esaminato — e della difficoltà di secernere ciò che è frutto di sue originarie conoscenze, acquisite nel corso della sua militanza criminale, da notizie, informazioni e acquisizioni sedimentate nei tanti processi in cui è stato chiamato a riferire.

Per non parlare dell’inevitabile contaminazione dovuta sia al risalto mediatico di alcune delle vicende oggetto delle sue propalazioni, sia agli inevitabili e talora inconsapevoli “aggiustamenti” operati a seguito delle tante contestazioni che gli sono state mosse nei vari processi, incluso il presente giudizio.

E un’ulteriore insidia che ricorre nelle sue propalazioni sta nel fatto che Brusca non resiste alla tentazione di arricchire la narrazione di ciò che sa con deduzioni e collegamenti più o meno plausibili tra gli avvenimenti di cui è a conoscenza: come quando presume che vi possa essere stata un’accelerazione della strage Borsellino deducendolo dall’ordine di sospendere l’attentato a Mannino o dall’essere lo stesso Borsellino come del resto anche Falcone un ostacolo da eliminare se si voleva sperare di raggiungere l’obbiettivo cui stragi e delitti eclatanti erano finalizzati.

O come quando, venuto a sapere della trattativa di Ciancimino con i carabinieri del Ros, la ricollega non solo alle rivelazioni di Riina sul papello, ma anche a quanto riferitogli anni dopo da Spatuzza Gaspare a proposito del fatto che a dire di Matteo Messina Denaro obbiettivo del progettato attentato allo stadio Olimpico di Roma erano proprio i carabinieri, protagonisti di quella trattativa non andata a buon fine, ed anzi valutata quasi alla stregua di una presa in giro. E via discorrendo.

La Corte d’Assise di primo grado non manca del resto di annotare scrupolosamente, punto per punto (v. pagg. 16 17-1626) le difformità e le discrasie tra le dichiarazioni rese nel tempo — e nei vari processi — da Brusca emerse attraverso il fuoco di fila di contestazioni che ne hanno contrappuntato il contro-esame cui è stato sottoposto all’udienza del 12.12.2013.

E tuttavia deve darsi atto, come puntualmente rammentano i giudici di primo grado, che «in molti altri processi già conclusi con sentenze irrevocabili è stata riconosciuta l'importanza e la rilevanza del contributo fornito dal Brusca per la ricostruzione di vicende delittuose e per l’individuazione dei relativi responsabili (tanto che al detto odierno imputato è stata in molte occasione formalmente riconosciuta la circostanza attenuante speciale della collaborazione)»; e che proprio nel presente processo sono stati acquisiti i due straordinari e imprevedibili riscontri alle dichiarazioni di Brusca, che la sentenza richiama (alle pagg. 1629-1632) con riferimento alle intercettazioni ambientali delle conversazioni di Riina con il co-detenuto Lo Russo.

Anche se, giusta le diverse conclusioni cui questa Corte è pervenuta sul terna della presunta accelerazione della strage di via D’Amelio, il primo dei due “riscontri” degrada al più a indiretta conferma della decisione di Riina di dare precedenza assoluta, sul piano operativo, all’esecuzione della strage predetta rispetto a qualsiasi altro progetto di attentato, ancorché in itinere.

Le dichiarazioni sul “papello”

Ma per ciò che concerne la vicenda del papello, deve convenirsi che il nucleo sostanziale del racconto che Brusca ne ha fatto, al netto come già rammentato delle oscillazioni sulle date, non è mai mutato, nel corso degli anni e nelle varie sedi processuali in cui è ritornato su tale tema, ricalcando sempre lo stesso canovaccio, fin dalle dichiarazioni rese nella fase iniziale della sua collaborazione, ossia negli interrogatori resi nell’agosto e nel settembre del ‘96.

Egli ha sempre parlato di due distinti approcci al terna della “trattativa”, intendendo per tale quella che i vertici di Cosa nostra intesero avviare ed effettivamente avviarono nell’estate del ‘92, attraverso la mediazione di Vito Ciancimino (e di Antonino Cinà) con coloro che ritenevano essere emissari dello stato. Due approcci che si rispecchiano in un unico colloquio o in due distinti colloqui che Brusca (nell’interrogatorio del 14 agosto’96 aveva parlato di un unico colloquio, mentre nelle dichiarazioni successive riferirà di due distinti colloqui) avrebbe avuto a quattr’occhi con Riina, nel contesto di altrettante riunioni di capi mandamento.

E in entrambe le occasioni sarebbe stato Brusca a prendere l’iniziativa, sollecitando Riina ad aggiornarlo sugli sviluppi della situazione, in quanto desideRoso di sapere se la strategia che avevano varato e cominciato a mettere in atto di attacco frontale allo stato stesse dando i frutti sperati. E non è un dettaglio secondario che Brusca abbia sempre detto di essere stato lui ad affrontare il discorso con il capo di Cosa nostra, poiché ciò vale a neutralizzare un’ovvia obbiezione che le più avvedute tra le argomentazioni difensive non hanno mancato di sollevare: come mai di una questione di tal rilievo strategico e che sicuramente doveva stare a cuore di tutti i capi mandamento, non si discusse apertamente nel corso delle riunioni a margine delle quali Brusca colloca i colloqui che dice di avere avuto personalmente con Riina?

A tale obiezione in effetti Brusca ha replicato che non può né affermare né escludere che anche gli altri capimandamento fossero stati a loro volta informati sull’andamento della situazione per ciò che concerneva i contatti riservati con i presunti o sedicenti emissari dello stato, giacché era lo stesso Riina a decidere se e cosa comunicare agli altri capi mafia. Al dibattimento ha aggiunto che Riina gli disse, quando già lui sentiva l‘odore che poteva essere tratto in arresto, che della questione del papello, così come dei piani o delle attività che lo stesso Riina aveva in quel frangente temporale, erano al corrente Salvatore Biondino e Matteo Messina Denaro.

Ma proprio il carattere estremamente riservato di quei contatti e la delicatezza della questione, unitamente all’incertezza sull’esito della trattativa, rende più che plausibile che Riina ne avesse messo a parte solo i capi a lui più vicini e fedeli, evitando di discuterne apertamente, sia pure nell’ambito di riunioni ristrette, come tutte quelle susseguitesi dopo l’ultima riunione “plenaria” della Commissione provinciale, che, come Brusca ha ribadito al dibattimento, fu, per quanto a sua conoscenza, quella tenutasi alla fine del ‘91.

L’accettazione della Trattativa

Venendo al merito della vicenda, tre sono i momenti che scandiscono il contenuto del report complessivo che Brusca avrebbe ricevuto da Riina sulla vicenda del papello: 1) c’erano stati dei contatti con soggetti presentatisi come emissari delle Istituzioni, anche se Riina non gli precisò di chi si trattasse («Si sono fatti sotto...»), i quali avevano chiesto cosa volesse Cosa nostra per finirla, con tutta quella violenza («Cosa vuoi per finire queste cose?»); 2) Riina aveva risposto presentando un pacchetto cospicuo di richieste, confidando nel loro accoglimento; 3) le richieste non erano state accolte perché ritenute eccessive («...Riina mi disse di avere fatto un papello di richieste, ma che la risposta era stata negativa, erano troppe...»).

E questa è sostanzialmente la versione che ritorna nelle dichiarazioni rese anche nel presente processo. Ed è di tutta evidenza come la scansione predetta combacia perfettamente con i contenuti e l’andamento dei contatti instaurati dai carabinieri del Ros nell’estate del ‘92 con Vito Ciancimino, fino alla brusca rottura che sarebbe intervenuta quando Mori e De Donno alla richiesta di Ciancimino di scoprire le carte e dire cosa offrissero (in cambio della cessazione delle stragi), risposero con una proposta “irricevibile” (qual era la consegna dei capi di Cosa nostra e dei latitanti più pericolosi).

Sicché tra le due vicende non c’è soltanto una corrispondenza cronologica e una generica similarità ma una totale sovrapposizione, avuto riguardo soprattutto al senso della proposta che era stata fatta inizialmente a Ciancimino e al successivo svolgimento della vicenda.

Infatti, furono i carabinieri ad assumere l’iniziativa, presentandosi a Ciancimino come emissari di un’autorità istituzionale loro sovraordinata: o almeno questo è ciò che gli lasciarono intendere. E si presentarono come latori di una proposta il cui senso, come declinato nelle parole di Mori («Ma signor Ciancimino, ma cos‘è questa storia qua? Ormai è muro contro muro.

Da una parte c‘è Cosa nostra, dall‘altra parte c‘è lo stato? Ma non si può parlare con questa gente?») e nelle ulteriori esplicitazioni di De Donno (al processo di Firenze, udienza 24.01.1998, ma anche Mori/Obinu, udienza 8.03.2011, pag. 93-94: “Gli proponemmo a Ciancimino di farsi tramite, per nostro conto, di una presa di contatto con gli esponenti dell‘organizzazione mafiosa Cosa nostra al fine di trovare un punto di incontro, un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di questa attività di contrasto netto, stragista nei confronti dello stato. E Ciancimino accettò”) corrispondeva esattamente al tenore della richiesta che, a dire di Brusca, era pervenuta a Riina da parte di non meglio precisati emissari istituzionali (“...«cosa vuoi per finire queste cose?»....; frase confermata anche in sede dibattimentale: “...«Per finirla cosa volete in cambio?»....”). E la proposta, recepita in quegli stessi termini dai vertici mafiosi, fu accettata, secondo quanto Brusca dice di avere appreso da Riina: esattamente come Vito Ciancimino riferì ai carabinieri dicendo loro che i suoi interlocutori avevano accettato la “trattativa” («Guardi, quelli accettano la trattativa»).

Brusca non ha mai detto di sapere che i misteriosi emissari di cui gli aveva parlato Riina fossero dei Carabinieri; anzi ha detto l’esatto contrario. Fino al (primo) processo di Firenze, sulle stragi in continente ha sempre dichiarato che Riina non gli svelò l’identità dei misteriosi emissari; ed anche successivamente ha dichiarato di avere appreso solo dalla lettura di un articolo di cronaca pubblicato su La Repubblica che si trattava dei carabinieri: o meglio, in quell’articolo (che per inciso è stato acquisito) si parlava dei contatti dei carabinieri del Ros con Ciancimino e si facevano anche i nomi di Cinà, Mori e De Donno.

E lui ricollegò quelle notizie alla vicenda del papello di cui gli aveva parlato Riina. Ed ha aggiunto che mai avrebbe immaginato che gli emissari istituzionali con i quali in sostanza Riina aveva trattato per conto di Cosa nostra fossero dei carabinieri; aveva sempre ritenuto che potesse trattarsi di esponenti politici, magari proprio quelli che in precedenza avevano contattato lo stesso Riina, proponendosi come referenti al posto di Lima .

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