Secondo uno studio pubblicato su Nature, stando alle attuali stime sulle future temperature globali, più del 40 per cento di tutti i vertebrati terrestri potrebbe essere soggetto ad eventi di caldo estremo entro il 2099. E tale esposizione prolungata alle alte temperature potrebbe essere pericolosa per il futuro di molte specie in tutto il mondo, ossia per la loro stessa sopravvivenza.

Specie a rischio

Sergi Reboredo

Gli eventi termici estremi – periodo in cui la temperatura supera ampiamente una soglia storica – sono aumentati di frequenza rispetto alle registrazioni del passato, aggravati dai cambiamenti climatici causati dall’attività umana. Periodi ricorrenti di caldo estremo colpiscono la fauna selvatica e sono associati ad un aumento dello stress psicologico, ad una ridotta riproduttività e ad una diminuzione delle dimensioni della popolazione, il che significa che la continua ripetizione di questi picchi di temperatura rappresenta una minaccia sostanziale per la futura biodiversità. Gopal Murali, dell’Università dell’Arizona, e colleghi hanno mappato l’esposizione di 33.600 vertebrati terrestri a eventi termici estremi in vari scenari di emissioni di gas serra utilizzando la frequenza, la durata e l’intensità previste di eventi termici estremi tra il 1950 e il 2099. Gli autori prevedono che il 41 per cento delle specie risentirà profondamente degli eventi termici estremi se la temperatura supererà i 4°C rispetto al periodo preindustriale. Questa percentuale dovrebbe scendere al 28,8 per cento per scenari medio-alti (riscaldamento fino a 3,6 °C) e al 6,1 per cento per scenari a basse emissioni (riscaldamento limitato a 1,8 °C). È probabile che anfibi e rettili siano a maggior rischio, con il 55,5 per cento degli anfibi e il 51 per cento dei rettili, rispetto al 25,8 per cento degli uccelli e al 31,1 per cento dei mammiferi.

Cambiamenti climatici e agricoltura

Aumento della temperatura, siccità, crisi climatiche sono ormai elementi chiari dei cambiamenti climatici in atto, ma le ricadute stanno diventando tangibili in molti settori della nostra vita. L’ultima in ordine di tempo è quel che sottolinea lo studio Plants adaptability to climate change and drought stress for crop growth and production, pubblicato su Cabi Reviews: «Il caldo e la siccità sono i fattori più limitanti che rappresentano una grave minaccia per la sicurezza alimentare e la produzione agricola e sono aggravati dal cambiamento climatico estremo e rapido».

I ricercatori che hanno redatto lo studio sottolineano che dal 1980 ad oggi, in base ai dati a disposizione, la siccità ha ridotto le rese di grano e mais fino al 40 per cento. Le proiezioni suggeriscono che ogni grado Celsius di aumento della temperatura, comporterà una perdita del 6 per cento nei raccolti globali di grano. Lo stress da caldo e siccità fa sì che le piante rispondano in vari modi al problema, il più notevole dei quali è alterando il loro sviluppo e la loro morfologia. Sebbene la capacità delle piante di resistere a queste pressioni differisce in modo significativo tra le specie, è degno di nota che sono stati compiuti recenti progressi nel limitare le conseguenze negative, sia attraverso l’uso di metodi genetici che mediante l’induzione della tolleranza allo stress. Ma tutto questo, sottolineano i ricercatori, non è sufficiente a far pensare che la situazioni non peggiori, perché è molto difficile trovare soluzioni adeguate ad un’alterazione del clima sempre più veloce.

La calda Groenlandia

Le temperature recenti sulla calotta glaciale della Groenlandia sono le più calde degli ultimi 1.000 anni, lo suggerisce una ricostruzione delle temperature della Groenlandia centro-settentrionale dal 1100 d.C. al 2011. I risultati, pubblicati su Nature, indicano inoltre che tra il 2001 e il 2011 la calotta glaciale è stata in media di 1,5 °C più calda rispetto al XX secolo.

Tale calotta glaciale ha un ruolo importante per il clima globale grazie alle sue dimensioni, agli effetti radiativi (ossia la capacità di riflettere la luce solare) e per lo stoccaggio di acqua dolce. Le stazioni meteorologiche lungo il bordo della calotta indicano con estrema precisione che le regioni costiere si stanno riscaldando, ma la comprensione degli effetti del riscaldamento globale al centro della calotta glaciale è limitata a causa dell’assenza di osservazioni a lungo termine. L’unica serie di carote di ghiaccio multisito della regione, preso dalla North Greenland Traverse, è stato realizzato nel 1995. Maria Hörhold e colleghi hanno riperforato le carote di ghiaccio da cinque dei siti analizzati nella North Greenland Traverse per ricostruire in modo più dettagliato le temperature della Groenlandia centro-settentrionale tra il 1100 d.C. e il 2011 e per verificare cosa è successo negli ultimi anni. Gli autori confermano che le temperature recenti nella Groenlandia centro-settentrionale sono più alte rispetto ai precedenti 1.000 anni. Hanno scoperto inoltre, che, in media, la temperatura per il periodo 2001-2011 era di 1,7 °C più calda rispetto al periodo 1961-1990 e di 1,5 °C più calda rispetto al XX secolo nel suo complesso. 

Il gruppo di ricerca ipotizza che queste temperature possano derivare da una combinazione di variabilità naturale e una tendenza al riscaldamento a lungo termine evidente dal 18° secolo come risultato del cambiamento climatico antropogenico. Gli autori notano che questo riscaldamento è stato accompagnato da un aumento del deflusso dell’acqua di disgelo, che dimostra l’impatto che il riscaldamento antropogenico sta avendo sulla Groenlandia centrosettentrionale e che potrebbe accelerare la velocità con cui ulteriore ghiaccio verrà perso dalla calotta glaciale stessa.

Ritorno alla Luna

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La missione Artemis I felicemente conclusasi agli inizi di gennaio ha oltremodo esaltato la Nasa il cui obiettivo principale dei prossimi anni sarà quello di riportare l’uomo sulla Luna. Ma come avverrà questo lancio previsto per la fine del 2025 o li inizi del 2026? Ebbene la Nasa lo ha raccontato recentemente con alcuni dettagli in più rispetto al passato. Alla data prevista quattro astronauti, tra i quali sicuramente almeno una donna partiranno dalla rampa di lancio 39B del Kennedy Space Center in Florida. A lanciarli vero lo spazio sarà il terzo Space Launch System (Sls) che è già nelle sue diverse parti in fase di costruzione. Al momento l’Sls è l’unico razzo che possiede una potenza tale da inviare Orion (la navicella che può portare 4 astronauti), l’equipaggio stesso e i loro rifornimenti verso la Luna con un unico lancio. Orion, il cui modulo di servizio è costruito in Europa e alcune parti anche in Italia, è l’unico veicolo spaziale che oggi è in grado di riportare gli astronauti sulla Terra dopo un viaggio alla o sulla Luna. La missione Artemis I è servita proprio per sperimentare la qualità della navicella e in particolare il suo scudo termico che protegge gli astronauti dalle elevate temperature che incontrano durante l’attraversamento dell’atmosfera al ritorno a casa.

Una volta partiti gli astronauti si parcheggeranno in orbita terrestre per verificare e controllare i sistemi della Orion e aprire il pannello solare che fornirà energia durante il viaggio di andata e ritorno. Verificato che tutto sarà da programma il secondo stadio darà la spinta necessaria ad Orion per impostare la sua rotta verso il nostro satellite.

Ci vorranno alcuni giorni, da tre a quattro, per raggiungere la Luna, durante i quali gli astronauti effettueranno le dovute correzioni di rozza per raggiungere l’orbita lunare nella quale poi, inserirsi. Ma per questa ultima fare sarà il motore della Orion ad eseguire due accensioni per posizionare il veicolo spaziale in un’orbita lunare definita “Near-Rectilinear Halo Orbit” (Nrho). Si tratta di un percorso altamente ellittico dove sarà costruita la stazione spaziale Gateway a partire, molto probabilmente dalla fine del 2024 o inizi 2025. La scelta di questa orbita tra tutte quelle possibili, è stata fatta dalla Nasa per diversi motivi: innanzi tutto permette di essere costantemente in contatto con la Terra, in secondo luogo perché da quell’orbita è possibile scendere in quasi tutti i punti della superficie lunare ed infine è un’orbita che bilanciata dalla gravità lunare e terrestre così da essere molto stabile e non richiede continue modifiche di orbita. Per atterrare sulla Luna comunque, la Nasa ha chiesto aiuto a SpaceX, la quale metterà a disposizione la sua nave spaziale Spaceship per traghettare l’equipaggio dalla Orion e in futuro dalla Gateway alla superficie lunare e per riportarlo in orbita lunare. È per questo che si attende con ansia il primo lancio di Spaceship attorno alla Terra e almeno una prova di atterraggio lunare prima del volo umano. Ma date le dimensioni di Spaceship – è alta 120 metri e pesa oltre cinque milioni di chilogrammi – prima di partire dall’orbita terrestre verso la Luna, dovrà fare il pieno di ossigeno e metano, i suoi combustibili, in orbita terrestre. Ad attenderla infatti vi sarà una Starship “distributore” che sarà riempito da voli di servizio (almeno quattro). Una volta fatto il pieno la Starship lascerà l’orbita terrestre per quella lunare dove si aggancerà ad Orion.

Una volta che due membri dell’equipaggio di Orion si sarà trasferito sulla nave lunare, questa si sgancerà per scendere sulla Luna, mentre Orion rimarrà in orbita lunare che impiegherà circa sei giorni e mezzo per compirla, il tempo esatto della missione sulla Luna di Starship. Al momento il punto di atterraggio sulla Luna sarà un’area in prossimità del Polo Sud e questo per vari motivi. Da quell’area infatti sarà sempre possibile comunicare con la Terra, vi è una geologia estremamente interessante per spiegare la storia del nostro satellite ed infine in alcuni crateri vi è ghiaccio che in futuro sarà usato come fonte d’acqua per una base che verrà lì costruita. Al termine della missione, i due astronauti ritorneranno alla Orion. Quindi dopo un periodo di cinque giorni in orbita lunare, gli astronauti si sganceranno dalla Spaceship e inizieranno il viaggio di ritorno alla Terra. Sarà un viaggio che porterà gli astronauti a toccare l’atmosfera terrestre a circa 40mila chilometri all’ora. A quel punto una serie di paracadute si apriranno per rallentare il veicolo che ammarerà nell’oceano Pacifico dove verrà recuperato dalla Guardia costiera e della Marina degli Stati Uniti

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