Il nuovo rapporto di Compassion in World Farming rivela che potrebbero essere sfamate due miliardi di persone in più ogni anno se i governi dessero la priorità al cibo invece che al mangime. Tutti i dati svelati dallo studio
Quando da piccoli ci veniva detto di finire il piatto perché «il cibo non si spreca», quella frase ci faceva credere che dal nostro comportamento dipendessero le sorti del pianeta. E in parte è così. Ma non del tutto.
La causa più grande dello spreco alimentare proviene dagli scarti dei mangimi con cui vengono alimentati gli animali degli allevamenti intensivi. A svelarlo è il nuovo report “Cibo, non mangime: come mettere fine al più grande spreco alimentare” pubblicato oggi, Giornata mondiale dell’alimentazione, da Compassion in World Farming (CIWF) - un’organizzazione internazionale che lavora per il benessere animale. A oggi a livello globale 766 milioni di tonnellate di cereali vengono impiegati per l’alimentazione degli animali. Mentre lo spreco delle famiglie ammonta a 631, della ristorazione a 290 e 131 dalla vendita al dettaglio.
Se le colture agricole come soia, frumento, mais, fossero destinate al consumo umano invece che come mangime per gli animali, soprattutto degli allevamenti intensivi, CIWF calcola che si recupererebbe una quantità tale di cibo pari a terreni agricoli grandi quasi quanto il Messico, sufficienti a sfamare due miliardi di persone in più ogni anno.
Il meccanismo è piuttosto semplice: un animale, per sopravvivere e crescere, necessita di una grande quantità di cibo. Tuttavia, quando l’animale diventa a sua volta alimento, riesce a nutrire solo un numero limitato di persone, e per un numero limitato di tempo. Se invece il cibo utilizzato per il nutrimento dell’animale fosse destinato direttamente al consumo umano, si potrebbero ottenere molte più porzioni e sfamare un numero decisamente maggiore di individui.
In questo senso, i dati ci dicono che per ogni 100 calorie di cereali somministrate agli animali, se ne producono appena fra le 3 e le 25 sotto forma di carne. Una sproporzione enorme. Guardando all’Italia, delle 13,8 milioni di tonnellate di cereali utilizzati come mangime, ben 10,9 milioni risulterebbero sprecati.
Spreco diretto e indiretto
Oltre lo spreco legato al fatto che chili su chili di cereali non finiscono nei nostri piatti, c’è da considerare che una produzione così estesa di soia, grano, e altro, richiede migliaia di ettari di terreno che, per servire al nuovo scopo produttivo, devono essere disboscati.
Per esempio, nell'allevamento industriale di suini e polli, il 99% dei terreni utilizzati è destinato alla coltivazione dei mangimi: lo spazio ridotto a disposizione degli animali nell'allevamento rappresenta solo l'1% dell'uso del suolo.
Solo in Europa, sono quasi 15 milioni di ettari di terreni arabili che potrebbero essere destinati alla coltivazione del nostro cibo se le colture non fossero destinate agli animali. 7 negli Stati Uniti.
Oltre al consumo di suolo, i campi di cereali - ormai quasi sempre monocolture, che portano con sé la conseguente perdita di biodiversità - necessitano anche di grandi quantità di acqua e energia, creando un cocktail di utilizzi sbagliati delle risorse naturali già minacciate da altri fattori esterni.
«È davvero scandaloso che, mentre centinaia di milioni di persone nel mondo soffrono la fame, si continui a sprecare cibo perfettamente adatto al consumo umano per alimentare animali destinati a brevi vite di sofferenza negli allevamenti intensivi, dove sono privati di qualsiasi cosa renda la vita degna di essere vissuta», ha commentato Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia
Insomma, per parlare di insicurezza alimentare le organizzazioni ambientaliste avvertono che dovremmo guardare soprattutto alle scelte del sistema-cibo odierne, e quindi al consumo massivo di carne.
Le alternative
Le alternative all’allevamento intensivo sono molteplici, e tutte portano con sé grandi risultati per il pianeta. C’è chi sceglie di adottare una dieta vegana, tagliando fuori dalla propria alimentazione qualsiasi prodotto animale (sì, anche i formaggi). C’è chi seleziona invece dei luoghi più etici dove comprare la carne. Nel report di CIWF per esempio si parla per esempio di “sistemi di allevamento” rigenerativi, dove cioè gli animali non vengono nutriti con prodotti che potrebbero essere adatti al consumo umano - riducendo così questo spreco.
Ora CIWF chiede ai cittadini di firmare una lettera rivolta ai governi nazionali per esortarli a dare priorità al consumo umano e orientare la destinazione di quello che, ancora in grandi quantità, viene destinato agli allevamenti intensivi.
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