In alcune strade del quartiere Don Bosco, a Roma, camminare a fine giugno significa respirare aria a 68 gradi. Pochi chilometri più in là, all’ombra di un albero, la temperatura scende di 10 gradi. Nella capitale il caldo estremo colpisce in modo selettivo.

Lo ha mostrato la campagna “Che caldo che fa” di Legambiente, partita proprio da Roma il 24 giugno. Si tratta di un tour tra le periferie italiane per denunciare la cooling poverty, la povertà di infrastrutture e spazi verdi che rende insopportabili le estati urbane. Garbatella e Don Bosco, quartieri popolari ad alta densità abitativa, sono diventati casi studio: secondo le 31 termofoto scattate nelle due aree, la temperatura ambiente media era rispettivamente di 35,4°C e 37,9°C, con picchi ben più alti in assenza di ombra.

Dove il caldo è più caldo

Il fenomeno è noto come isola di calore urbana: nelle zone densamente edificate e prive di verde, la temperatura può salire anche di 15 gradi rispetto alle aree più vegetate.

Ma non è solo una questione di gradi misurati. Secondo le ultime analisi del Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, ciò che conta è il caldo percepito: il disagio termico che deriva dalla combinazione di temperatura, umidità, radiazione solare e vento. È questo l’indicatore più utile per misurare l’impatto reale sulla salute delle persone.

A Roma, la geografia sociale coincide quasi sempre con quella climatica. Nei quartieri più poveri si concentrano le emergenze sanitarie, i consumi energetici più alti per raffreddare gli ambienti e una maggiore esposizione al disagio termico. La mancanza di alberature, il degrado del patrimonio edilizio e la scarsità di luoghi pubblici accessibili amplificano il rischio per fasce di popolazione già fragili, a partire dagli anziani e i più piccoli.

Edoardo Zanchini, direttore dell'Ufficio clima del comune di Roma, racconta che le aree prioritarie sono state mappate in base a due fattori: la temperatura percepita e gli indicatori socio-sanitari. «Di giorno anche il centro storico registra valori molto alti, ma è Roma Est la zona più critica, perché costruita male, con tanto asfalto e pochi grandi parchi. I quartieri sotto l'Aniene, privi di corridoi verdi naturali, restano i più esposti anche di notte», spiega. L’analisi condotta dal comune, in collaborazione con il dipartimento di epidemiologia, evidenzia come i dati sanitari e demografici si sommino a quelli ambientali, aggravando l’impatto delle ondate di calore.

Clima urbano, questione di stato

Ad oggi, il discorso che dovrebbe prevalere è che questo non è un tema da emergenza estiva. «Il governo non ha fatto nulla per dare seguito al piano di adattamento», dice Zanchini. «Serve ripensare completamente l'approccio alla pianificazione urbanistica, pensando anche a dove si mettono le attività industriali, le attività produttive, le infrastrutture, perché tutto questo incide sulle temperature nella città».

Secondo l’ex responsabile di Legambiente, l’Italia non ha ancora compreso che la mitigazione del caldo urbano deve entrare a pieno titolo nelle politiche abitative, infrastrutturali e produttive: «Siamo uno dei pochi paesi in Europa a non avere una politica nazionale per ridurre l'impatto delle isole di calore urbano nelle città, che non è un problema delle città, è un problema di coordinamento: c’è bisogno che governo e città lavorino insieme».

Micro-oasi per resistere

Per ora, Roma prova a intervenire con una serie di azioni distribuite: dall’ampliamento delle fontanelle pubbliche e delle Case dell’acqua, installazione di pensiline alle fermate degli autobus, ingressi gratuiti in piscina per gli over 70, aria condizionata in 91 asili nido. «Vogliamo costruire una serie di rifugi climatici, sia al chiuso che nei parchi, in cui ci sia qualche grado in meno, ma anche la possibilità di sedersi, bere, usare un bagno, sentirsi a proprio agio», racconta Zanchini. L'obiettivo, più che coprire tutta la città, è di iniziare a creare una rete minima di protezione, garantendo sollievo per le categorie più vulnerabili.

Il progetto europeo del Technical Support Instrument a cui Roma partecipa con l'Ecologic Institute punta a sviluppare linee guida replicabili per affrontare il caldo urbano. Le aree test sono il centro storico e Centocelle, scelte per il combinato tra densità edilizia, carenza di verde e fragilità sociale. Ciò che si spera per il futuro è la replicabilità di tale processo in altre zone in stato di necessità.

Verde urbano, potenziale e ritardi

Roma è una città formalmente verde: l’80 per cento del suo territorio è coperto da aree agricole, parchi o riserve. Ma solo il 5 per cento è vero verde urbano fruibile, con appena 11 km² di verde attrezzato e 312.000 alberi censiti, dati fermi al 2016.

Intanto, sono in corso nuovi interventi finanziati dal Pnrr, con priorità alle periferie di Roma Est. L’Amministrazione ha portato avanti la piantumazione di oltre 30mila alberi già grandi e 115mila piante più giovani, con la realizzazione di interventi di forestazione urbana. L’obiettivo è piantare 600.000 alberi, ma Zanchini avverte: «Per fare ombra servono alberi adulti, da 500 o 1000 euro l'uno. La forestazione è fondamentale, ma i benefici richiedono anni».

Finché la lotta alle diseguaglianze climatiche resterà affidata a interventi frammentati e slegati da una strategia urbanistica complessiva, l’oasi resterà una promessa. Ma ogni albero piantato, ogni spazio pensato per chi lo abita, è già un pezzo di città che ricomincia a respirare.

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