L’Ue vuole ancora la neutralità climatica nel 2050? Sulla carta resta un impegno scolpito nei regolamenti europei. Ma nei corridoi di Bruxelles la traiettoria verso la neutralità climatica scricchiola. Lo stallo sulla nuova Legge clima 2040, che dovrebbe fissare una riduzione delle emissioni di gas serra del 90% rispetto al 1990, ha costretto la presidenza di turno danese a ripiegare su un compromesso minimo: una “dichiarazione di intenti” con una forchetta di riduzione delle emissioni tra il 66,3% e il 72,5% al 2035.

È un escamotage per non arrivare a mani vuote alla COP30 di Belém, in Brasile, la conferenza Onu sul clima che si terrà a novembre nel cuore dell’Amazzonia, ma non rappresenta un impegno vincolante.

Il tempo gioca contro. Entro il 30 settembre l’Unione europea dovrebbe trasmettere all’Onu il proprio contributo nazionale determinato (NDC) al 2035. È un obbligo previsto dall’Accordo di Parigi, necessario perché l’Onu lo includa nel rapporto di sintesi pre-COP. Senza un numero condiviso, Bruxelles rischia di presentarsi alla conferenza sul clima senza carte in mano.

Competitività o impegni per il clima

La questione non è tecnica, è politica. La Francia spinge per più flessibilità sull’obiettivo del 2040 e per rinviare la decisione definitiva ai capi di Stato e di governo. In Germania il nuovo cancelliere Friedrich Merz ha rallentato la transizione, trasformando il tema climatico in una questione di competitività industriale.

In Italia Giorgia Meloni continua a denunciare la rigidità del Green Deal, difendendo biocarburanti e neutralità tecnologica come soluzioni alternative. In Polonia Donald Tusk chiede di riaprire il capitolo più contestato: l’ETS2 su carburanti e riscaldamento, il sistema che dovrebbe far pagare le emissioni anche nei settori domestici.

Il risultato è un fronte in crescita che mette la competitività immediata davanti agli impegni climatici di lungo periodo. Alcuni governi chiedono di alleggerire i costi per cittadini e imprese, altri temono che rinunciare all’ambizione comprometta la credibilità dell’Europa come leader globale della transizione. La Danimarca, che ha la presidenza di turno, cerca di tenere insieme i 27: propone una forchetta, ma per i Paesi più ambiziosi è troppo bassa e per i frenatori è già troppo alta.

I ritardi della commissione

A complicare il quadro c’è il ritardo della Commissione europea. La proposta sul 2040, che avrebbe dovuto arrivare già nel 2024, è stata presentata solo il 2 luglio 2025. Troppo tardi perché gli Stati trovassero un accordo prima della scadenza Onu di settembre. Il ritardo non è solo burocratico: mina la credibilità dell’esecutivo comunitario che, almeno nelle intenzioni, doveva guidare la transizione.

Gli scienziati europei avevano indicato un intervallo di riduzione delle emissioni tra il 90% e il 95% al 2040. La Commissione ha scelto il livello più basso, fissando un –90%, e prevedendo addirittura una quota di flessibilità attraverso crediti internazionali, contro il parere del proprio comitato scientifico. Sul tavolo resta un NDC 2035 che dovrebbe collocarsi tra il 66,3% e il 72,5% di riduzione delle emissioni, un numero che serve a dare un segnale in vista della COP ma che rischia di restare lettera morta.

Oggi l’Unione europea è a circa –37% di riduzione delle emissioni rispetto al 1990, secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente. Il taglio del 55% al 2030, già fissato in legge, resta alla portata ma richiede un’accelerazione nei settori più lenti: trasporti ed edilizia. Senza un obiettivo intermedio al 2040, la traiettoria verso la neutralità del 2050 perde consistenza. Non è un problema di retorica: senza numeri vincolanti manca la bussola per orientare gli investimenti in rinnovabili, reti, elettrificazione, idrogeno e risparmio energetico.

Europa ridimensionata

Il nodo vero è la leadership. L’Europa è stata finora il blocco che ha spinto di più sulla transizione, influenzando anche le decisioni degli altri grandi emettitori. Presentarsi a Belém, capitale amazzonica che ospiterà la COP30, con una “dichiarazione di intenti” anziché un target formale rischia di ridimensionare questo ruolo. Gli Stati Uniti di Trump, tornati a una linea ostile agli impegni climatici, non daranno copertura. La Cina procede per conto proprio, senza vincoli multilaterali.

Il calendario segna due date. Entro il 30 settembre l’Ue dovrebbe trasmettere l’NDC 2035, ma al massimo ci sarà un documento politico non vincolante. Il 23 e 24 ottobre il Consiglio europeo affronterà il nodo politico: confermare la riduzione delle emissioni del 90% al 2040 e la forchetta al 2035, oppure rinviare ancora. In quel vertice i leader decideranno se la neutralità climatica al 2050 resta una rotta credibile o se diventa un orizzonte nominale, buono solo per i documenti ufficiali.

Per ora l’unica certezza è che l’obiettivo 2050 resta inciso nella legge europea sul clima. Ma senza tappe intermedie chiare, senza un NDC 2035 da portare alla COP30 di Belém e senza un accordo politico sul 2040, la neutralità rischia di restare un faro che illumina senza guidare. Alimentato a petrolio.

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