Come hanno affermato Cédric Durand e Cecilia Rikap , il «capitalismo dei monopolî intellettuali» rappresenta la sfida del nostro tempo.

In passato molti paesi concedevano diritti di monopolio per promuovere l’innovazione, l’adozione di tecnologie straniere o lo sfruttamento dei monopoli naturali o semplicemente per fornire privilegi commerciali. Quando i diritti di monopolio non avevano solo lo scopo di assegnare comodi privilegi alla classe dirigente, le autorità pubbliche si trovavano di fronte al problema di trovare un compromesso tra gli incentivi ex ante che le rendite di monopolio potevano fornire e i loro numerosi svantaggi ex post .

Questi svantaggi includevano prezzi elevati, una produzione limitata, incentivi ridotti per investimenti innovativi complementari alle tecnologie monopolizzate e abbandono di scopi pubblici incompatibili con gli interessi dei monopolisti. I monopolî erano considerati un male necessario che ostacolava il commercio, da concedere solo temporaneamente in casi particolari.

Proprietà intellettuale

L’avvento del capitalismo dei monopolî intellettuali è stato preparato da un totale cambiamento della tradizionale visione dei monopolî. I monopolî intellettuali sono stati ridefiniti come una forma di proprietà privata che comporta diritti simili a quelli legati a una casa o a un terreno. Con la  coniazione del nuovo termine «proprietà intellettuale», questi monopolî non sono più stati visti come ostacoli al commercio ma come condizioni essenziali al buon funzionamento dei mercati.

Eppure quando la conoscenza diventa proprietà privata si limita la libertà di altri di utilizzarla anche quando essa sia stata indipendentemente acquisita. La proprietà privata di una casa non limita la libertà di costruire altre case e limita le libertà altrui solo in un luogo particolare. I diritti di proprietà intellettuale possono limitare le libertà degli individui di ogni parte del mondo.

Attraverso un’intensa attività di lobbying, ben documentata da Susan Sell, alcune multinazionali americane hanno sfruttato, dopo il crollo dell’Unione sovietica, il predominio politico di un’unica superpotenza per rendere il rispetto della proprietà intellettuale una condizione necessaria per l’accesso al commercio internazionale. 

Privando gli stati nazionali della possibilità di esproprio l’estensione di quello che Katharina Pistor chiama «il codice del capitale» alla conoscenza è stata molto più rigida della sua applicazione ai beni materiali. Diversamente dal caso della proprietà intellettuale, ogni stato detiene il potere di espropriare terreni o abitazioni che possono essere demolite quando interferiscono con fini collettivi ritenuti importanti. Eppure a differenza del proprietario di una casa demolita l’ex-proprietario esclusivo di una conoscenza può continuare a possederla e a usarla. Perde solo il diritto di impedire ad altri di godere della stessa libertà.

La «seconda recinzione»

Dopo l’istituzione nel 1994 dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) contenente l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (Trips), i governi non hanno più avuto la possibilità di bilanciare i vantaggi e gli svantaggi dei monopolî intellettuali. 

Il monopolio intellettuale è diventato un diritto di proprietà privata quasi indiscutibile da far valere a livello globale. Il mondo intero è stato privato di un importante strumento di politica economica. Questo rafforzamento ed estensione dei monopolî intellettuali ha causato quella che James Boyle ha chiamato una «seconda recinzione» che ha avuto effetti molto più dannosi della recinzione dei terreni comuni avvenuta agli albori del capitalismo.

Il rafforzamento della proprietà intellettuale ha inizialmente contribuito al boom degli investimenti degli anni Novanta ma, dopo alcuni anni, la crescente monopolizzazione ha bloccato molti investimenti innovativi che avrebbero richiesto la disponibilità di conoscenze che erano state privatizzate.

Questo blocco ha provocato una caduta delle opportunità di investimenti produttivi e un impiego dei risparmi in speculazioni soprattutto immobiliari. È stato quindi una causa del crollo del 2008 e della successiva depressione. Le rendite monopolistiche hanno, inoltre, notevolmente aumentato la disuguaglianza e creato le basi per una espansione della finanza svincolata dalla crescita economica.

La pandemia ha messo in luce i danni dovuti all’espansione del capitalismo dei monopolî intellettuali. La rete pubblica di istituzioni scientifiche (il cosiddetto flue network) che dall’istituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità ha curato la creazione di vaccini continuamente aggiornati contro l’influenza stagionale è stata sostituita da monopolî intellettuali.

Effetto pandemico

Questi monopolî sono cresciuti a dismisura grazie a massicci finanziamenti pubblici e a precontratti stipulati a condizioni  molto convenienti, inclusa la copertura dei possibili danni dei farmaci da parte degli stati. I prezzi delle dosi successive dei vaccini sono stati aumentati in assenza del loro aggiornamento e la maggior parte delle persone dei paesi poveri non è stata vaccinata. Infine le innovazioni dei concorrenti sono state bloccate grazie ai brevetti e vi è stata una costante disinformazione sui metodi più tradizionali e meno brevettabili di produzione dei vaccini.

L’importanza di una sospensione dei diritti di proprietà intellettuale per i vaccini Covid-19 è ormai accettata dalla grande maggioranza dei paesi. Essa è principalmente bloccata dalla Commissione europea che controlla 26 voti al Wto con un unico rappresentante. Sebbene la sospensione dei brevetti sia urgente essa non è tuttavia sufficiente. È necessaria anche una riforma radicale del Wto.

Gli stati non solo hanno perso il potere di bilanciare la conoscenza pubblica e privata. Stanno anche attivamente perseguendo una politica di free riding. Incentivano la privatizzazione della conoscenza prodotta nei loro confini mentre sfruttano la conoscenza pubblica prodotta da tutti gli altri stati. 

Mentre la conoscenza pubblica da loro finanziata può essere infatti sfruttata dagli altri stati, la conoscenza privatizzata dalle imprese nazionali costituisce una tariffa globale che protegge le “loro” industrie. Questo free riding è una forma di concorrenza sleale che frena le innovazioni a livello globale. È incompatibile con un funzionamento virtuoso del commercio internazionale.

Se si vuole domare questa concorrenza sleale, occorre riformare il Wto. Il suo statuto dovrebbe stabilire che una partecipazione equa al commercio internazionale richiede che una frazione del prodotto nazionale lordo di ciascuno stato membro sia investita in scienza messa a disposizione di tutti i paesi come bene pubblico globale.

Conoscenza pubblica e privatizzata

Se gli stati nazionali non devono essere di nuovo investiti dei poteri necessari a trovare un equilibrio tra conoscenza pubblica e privatizzata è inoltre necessario avere un’autorità collegata al Wto che determini quando una conoscenza deve essere usufruibile da tutti perché la sua appropriazione privata provoca danni troppo rilevanti alla società.

Questo esame dovrebbe esser fatto con continuità e non solo nelle situazioni emergenziali. In un momento in cui la conoscenza privatizzata sta bloccando molti investimenti innovativi, un suo parziale trasferimento dalla sfera privata a quella pubblica potrebbe avere enormi effetti moltiplicativi che potrebbero contribuire a rilanciare l’economia globale. 

Si aprirebbero nuove strade per chi era privato dell’uso della conoscenza, mentre gli ex monopolisti, compensati con adeguati ritorni monetari ed esposti a una maggiore concorrenza, sarebbero incentivati ​​ad aumentare i loro investimenti piuttosto che incrementare le loro rendite monopolistiche.

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