Marc Botenga, europarlamentare della sinistra europea, è un apripista della battaglia per la liberazione dei brevetti dei vaccini anti Covid. Da quando?

Da aprile 2020, più di un anno fa.

Cominciamo dal finale: lo scenario realistico, e quello auspicabile.

Andrà a finire con una sospensione dei brevetti che permetta una condivisione delle tecnologie per vaccinare quanto prima tutti. È auspicabile ed è pure realistico: gli strumenti esistono e ci sono 118 paesi, la stragrande maggioranza, che lo chiedono. Joe Biden ha dovuto contemplarne la possibilità. L’Ue è divisa ma la società civile si muove.

Restano le divisioni da sciogliere.

La Spagna è aperta all’idea, Merkel la blocca. Pensa al dominio tecnologico tedesco di BioNTech, che ha la tecnologia del vaccino Pfizer. La sua soluzione sarebbe dare vaccini a Covax: una parvenza di solidarietà. Quando ho iniziato la lotta, ci davano dei pazzi fuori dal mondo; il tema non pareva neanche degno di essere discusso. Un anno dopo, le crepe nel muro si vedono. Ieri perfino il commissario Thierry Breton mi ha detto di esser stato sempre favorevole a un’azione sui brevetti; in realtà ha sempre fatto il contrario. La sinistra chiede, con il sostegno di socialdemocratici e verdi, un dibattito nella prossima plenaria. L’opposizione di Renew è caduta, si sta incrinando persino fra i popolari. So che la pressione in direzione contraria, e cioè di Big Pharma, è costante, su Commissione e governi. Bruxelles fa un copia e incolla delle raccomandazioni dell’industria e le fa sue. La chiave per superare le reticenze era e sarà la pressione della società civile. L’alternativa è drammatica: come mostra l’India, le varianti ci costringeranno ogni volta a chiederci se le vaccinazioni fatte in Ue ci proteggono.

Se l’opposizione al brevetto libero è dovuta alla scelta di tutelare l’industria farmaceutica, ciò significa però compromettere il resto dell’economia: se non si esce in fretta dalla pandemia, è un problema per tutti. Ritiene Merkel e Bruxelles così miopi?

Il modello europeo è basato sull’idea di incrementare la produzione mantenendo il dominio tecnologico e le licenze sotto il controllo europeo. La visione di Breton dei «campioni industriali europei» e la difesa da parte di Merkel delle tecnologie di BioNTech portano a questa direzione. Lei mi chiede se davvero si può, per difendere alcuni, compromettere tutti gli altri. Vengo da un paese, il Belgio, dove il peso specifico della lobby farmaceutica è enorme. Una legge che avvantaggia a livello fiscale le aziende detentrici di brevetti è stata addirittura sviluppata da uno studio di avvocati nominato da Gsk, un’azienda farmaceutica stessa.

Basta liberare i brevetti per aumentare la produzione?

Non è sufficiente, ma questo implica semmai essere più ambiziosi. Il trasferimento tecnologico va fatto, ci sono già le piattaforme per farlo, ma finora sono a contribuzione volontaria e Big Pharma non condivide. Piuttosto che darle altri soldi e chiederle se gentilmente lo fa, bisogna imporlo. Un brevetto aperto consente anche a più scienziati di lavorare più tempestivamente, e con le varianti è prezioso.

Un’obiezione dei contrari è proprio: tutto questo richiede troppo tempo.

La proposta di India e Sudafrica risale a ottobre, gli stessi governi che la hanno frenata con tattiche dilatorie ora parlano di tempo? Se si fa il trasferimento tecnologico servono da uno a sei mesi per creare una linea produttiva, quanto tempo stiamo sprecando?

Liberare il brevetto è per ridurre le diseguaglianze globali ma ha effetti concreti sui cittadini europei, quali?

Nessuno, neppure gli europei, è al sicuro finché la pandemia non è sconfitta ovunque; il primo punto è la salute pubblica. Poi c’è la dimensione finanziaria e di sicurezza sociale: se lasciamo un vaccino così determinante nelle mani di poche grandi aziende, tra poco Pfizer potrà aumentare il prezzo quanto vuole. Come gli stessi ceo dicono interloquendo con gli investitori, una dose che ora costa 19 euro potrà lievitare fino a 148 (previsioni Pfizer). Certo, magari grazie al sistema sanitario pubblico il cittadino avrà la dose gratis, ma quanto costerà alla sanità pubblica e quindi al cittadino stesso? Rischiamo una vera rapina ai danni del pubblico, e un bel sussidio alle grandi aziende che abbiamo già lautamente finanziato.

Cosa risponde a chi teme che la sospensione del brevetto azzoppi ricerca e sviluppo, che inibisca gli investimenti futuri delle aziende?

La tecnologia più innovativa, mRna, è stata sviluppata dalle università pubbliche, poi è stata adattata da un’azienda privata, ma sempre con fondi pubblici. Big Pharma ha ricevuto sussidi pubblici per sviluppare queste tecnologie: visto che abbiamo finanziato l’innovazione, lo stato ha diritto o no a un ritorno sui propri investimenti? Quando l’Ue finanzia i programmi spaziali, mantiene il diritto di proprietà intellettuale. Il brevetto di solito viene dato per compensare il rischio di impresa, ma in questo caso il rischio è stato a carico del pubblico. Perché dovremmo mettere i profitti privati come nostra priorità collettiva?

Altro argomento contro: la tecnologia mRna è troppo complessa da replicare.

Falso. Come la stessa BioNTech dice sul suo sito, questa tecnologia è un game changer anche perché, per quanto complicata, permette di tirar su una produzione locale molto più facilmente che coi vaccini tradizionali. Serve il trasferimento tecnologico per farlo. C’è un’ampia capacità produttiva che rimane inutilizzata.

Ieri BioNTech ha siglato una joint venture con la Shanghai Fosun Pharmaceutical per una produzione cinese, mentre a Singapore nasceva il primo impianto. Gli avversari della sospensione del brevetto sostengono proprio questa alternativa: la collaborazione tra aziende. È la linea di Breton e Merkel per «aumentare la produzione». Cosa offre la liberazione del brevetto che partnership e joint venture non garantiscono?

BioNTech preferisce licenze volontarie e joint venture perché permettono di mantenere il controllo sulla tecnologia. Procedere per accordi bilaterali però è lento. Inoltre in questo modo il controllo rimane in mano a Big Pharma. Si tratta di modelli molto diversi. Se vogliamo prendere i due estremi, da un lato c’è la open science, la condivisione del brevetto e l’accesso generalizzato alle tecnologie; dall’altro una grande azienda ha il monopolio, la si lascia mantenerlo, e questa multinazionale può dare o meno a un’altra impresa la licenza volontaria. Questa seconda opzione, oltre a essere più dispendiosa per il pubblico e più profittevole per il privato, lascia alla multinazionale il controllo e la libertà di togliere un domani la licenza che ha concesso oggi.

BioNTech fa accordi, l’Ue ha chiuso un nuovo accordo con Pfizer e ha detto addio ad AstraZeneca. La tendenza al monopolio è un rischio concreto?

L’oligopolio è già realtà, questo non è un mercato libero ma in mano a poche corporation; si rischia che la concentrazione di mercato e di potere aumenti. A ciò si aggiunge il fatto che non stiamo parlando solo dei vaccini ora, ma del booster, del richiamo, e di tutti gli aggiornamenti che le varianti potrebbero rendere necessari. Un virologo ieri diceva che prima del 2025 non avremo un vaccino definitivo. Anni. Dobbiamo chiederci: chi approfitterà di questi investimenti pubblici? Chi determina il prezzo dei vaccini e il peso sulla spesa pubblica? È lecito avere un dibattito pubblico? Per me, è perfino doveroso.

A proposito di dibattito pubblico. Tra le sue battaglie c’è quella per la trasparenza: è stato impegnativo anche solo ottenere dalla Commissione versioni oscurate dei contratti. Il nuovo contratto con Pfizer è stato appena finalizzato. Sotto il segno della stessa opacità?

Sì. Il metodo non è cambiato, non c’è stato coinvolgimento neppure stavolta. Rimane un grave problema di trasparenza, quindi di democrazia. La Commissione sta andando avanti a modo suo senza ascoltarci, si prende gioco di ciò che le dicono sia a livello mondiale che a livello europeo. Perciò bisogna invertire i rapporti di forza. La iniziativa dei cittadini europei “Right to Cure” intanto ha superato le 200mila firme.

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