I lavoratori dei Musei civici di Venezia saranno in cassa integrazione almeno fino a fine anno. Il 28 ottobre le due cooperative che gestiscono i servizi al pubblico per conto della fondazione Muve l’hanno rinnovata per altre 13 settimane, come consentito dal governo.

Ci sono 400 lavoratori che fanno sorveglianza, bigliettazione, guide, accoglienza in 11 musei della città e che da marzo 2020 stanno perdendo ore di lavoro e stipendio.

La fondazione Muve nel frattempo ha chiuso il bilancio in attivo ricevendo contributi statali per milioni di euro (oltre alla cassa integrazione) e, anche se i turisti sono tornati a Venezia, apre a tempo pieno solo Palazzo Ducale e il Museo Correr, quelli che danno maggiori introiti.

Ma c’è davvero bisogno di usare ditte esterne per far funzionare i musei pubblici, o il sistema serve solo a far guadagnare le ditte private sulla pelle di lavoratori precari e sottopagati? «Nelle realtà grandi gli appalti non dovrebbero esistere, servono solo a speculare sui lavoratori, assunti a part-time e con contratti diversi da quello di settore, il Federculture.

Altre logiche non ce ne sono», dice Andrea Porpiglia di Filcams Cgil. Il meccanismo conviene ai privati che fanno profitti e all’ente pubblico torna comodo non gestire direttamente i servizi.

Chi ci perde?

Il sistema degli appalti e delle concessioni, avviato con la Legge Ronchey del 1993, ha consentito di affidare ai privati accoglienza, caffetteria, bookshop, audioguide, prenotazioni e visite guidate, facendo prosperare società a cui lo stato permette di offrire contratti inadeguati, stipendi bassi e nessuna garanzia di continuità per i lavoratori.

Il contratto di settore, il Federculture, garantirebbe diritti e uno stipendio dignitoso, ma le aziende del settore quasi sempre preferiscono inquadrare i lavoratori con il multiservizi o con il contratto della vigilanza.

Come è accaduto ai precari del museo San Domenico di Forlì che, in quattro mesi, hanno cambiato tre datori di lavoro e ora sono impiegati per una ditta del settore pulizie con una paga oraria di circa 8 euro per un servizio che al comune non ne costa meno di 20.

Che il settore, con la privatizzazione dei servizi e la precarizzazione del lavoro, sia diventato un vero e proprio far west lo dimostra il fatto che neppure il ministero dei Beni culturali sa quanti sono gli esternalizzati nei musei.

A precisa domanda di Domani la risposta del ministero è stata che la questione è «divenuta ancora più urgente in seguito all’emergenza sanitaria» (iniziata quasi due anni fa) e che pertanto è stato avviato un censimento ancora in corso. Il costo di questo far west non lo pagano solo i lavoratori ma anche lo stato.

Come raccontano i professionisti riuniti nell’associazione “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali” in Oltre la grande bellezza (DeriveApprodi), «l’esternalizzazione non solo porta a un abbattimento dei salari e a un calo dei servizi, ma spesso non si traduce neppure in un risparmio per le casse comunali o statali: l’appalto, infatti, oltre ai costi per il personale, deve prevedere anche una cifra che permetta al concessionario di guadagnare, e il totale a volte finisce per costare all’ente pubblico più di quanto costerebbero gli stessi dipendenti impiegati internamente».

Chi ci guadagna?

Negli anni gli introiti derivanti dai servizi al pubblico sono più che raddoppiati: dai 30 milioni di euro del 2001 ai 68 milioni del 2019 (dati ministero dei Beni culturali). La quota destinata allo Stato invece è scesa dal 15 per cento del 2001 al 12 per cento del 2019. Ciò significa che l'88 per cento degli incassi rimane ai gestori privati. Lo Stato poi ha dato in gestione anche la bigliettazione, i cui introiti finiscono ai privati con quote fino al 30 per cento. I visitatori dei musei sono poco più che raddoppiati negli ultimi vent’anni: da 11 a 25 milioni. Gli introiti dei biglietti invece sono aumentati di quasi cinque volte, passando da 52 a 242 milioni di euro. Le maggiori entrate, dovute anche al rincaro dei biglietti, non si sono tradotte in stipendi più alti per i lavoratori esternalizzati.

«È un sistema che favorisce il clientelismo e non è sostenibile per lo stato perché dà in appalto attività da cui arrivano entrate», dice Flavio Utzeri, attivista di “Mi riconosci”. In Oltre la grande bellezza si legge che nei beni culturali si è lasciato spazio a società partecipate da enti pubblici, come Zètema, controllata al 100 per cento da Roma capitale, che gestisce i musei civici romani e subappalta i servizi, e Ales Spa (partecipata in toto dal ministero della Cultura) che applica il contratto del commercio a un migliaio di dipendenti, anche a termine, come custodi dei musei, esperti in conservazione artistica e personale degli uffici ministeriali.

Con la riforma Franceschini del 2014, che ha dato vita anche ai musei autonomi, il museo è stato riconosciuto come un istituto dotato di bilancio e statuto e non più come un ufficio delle Soprintendenze. «Si è ceduto all’idea che un museo debba reggersi solo sui ricavi dei biglietti e che la comunità non vi debba investire come fa per scuola e sanità», sostiene Utzeri.

Come uscire da un sistema che oscilla tra lo sfruttamento dei lavoratori e musei che aprono e chiudono in base alla "domanda" delle masse di turisti? Secondo “Mi riconosci”, ci vuole un sistema culturale nazionale basato sul principio che la cultura è un diritto essenziale, al pari di sanità e istruzione.

Non basta una semplice rete tra musei, come quella creata con la riforma Franceschini del 2014, serve una riorganizzazione dell’offerta culturale del paese, sostenuta da un fondo unico da finanziare ogni anno, a cui accedere per accreditamento, rispettando gli standard definiti dal ministero a tutela delle comunità e dei lavoratori.

«Senza investimenti pubblici, il sistema culturale del paese finisce in uno scantinato», avverte Utzeri. Esattamente quello che accade al Museo archeologico Santarelli di Forlì, chiuso dal 1996 e in stato di abbandono e incuria, come ha denunciato Italia nostra.

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 27 Ottobre 2021 Roma (Italia) Politica : ART4ART al Policlino Gemelli inaugurazione con il ministro Franceschini del nuovo centro oncologico Nella Foto : Dario Franceschini Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse October 26 , 2021 Rome (Italy) News : ART 4 ART at the Gemelli Polyclinic inauguration of the new oncology center with Minister Franceschini In the Pic : Dario Franceschini

Nel frattempo, come tutelare i lavoratori? Finché si fanno i bandi di gara, serve una regolamentazione del volontariato (come prevede il disegno di legge depositato alla Camera nel 2018 da “Mi Riconosci”), perché non sia messa in circolo manodopera di fatto gratuita che preme verso il basso i salari.

E bisogna vigilare su appalti e concessioni: «Le esternalizzazioni avrebbero senso solo se la ricchezza prodotta venisse riconosciuta anche ai lavoratori, ma sono convinto che se mettessero le garanzie contrattuali che chiediamo, non sarebbe più conveniente fare i bandi», dice Enzo Miccoli di Usb.

Ma perché non tornare a internalizzare chi lavora per le ditte esterne? Servirebbe una riforma dei concorsi pubblici e il riconoscimento di un maggiore punteggio a chi ha già lavorato nei siti museali. Il passo successivo sarebbe aprire una nuova fase di concorsi, più frequenti, per piccoli numeri e profili specifici, anziché mega bandi come quello recente per 1.052 assistenti alla fruizione e alla valorizzazione che copre appena il 10-15 per cento del fabbisogno reale solo di custodi.

Le figure professionali medio-basse potrebbero essere internalizzate dal pubblico come è stato fatto per gli operatori delle pulizie nelle scuole, «basterebbe un intervento nella legge di bilancio, ma serve la volontà politica», spiega Mimmo Teramo dei Cobas. Per le figure più qualificate, invece, l’unica strada è il concorso.

Le proposte dei sindacati

Archeologist clean up their latest finding in Pompeii, Italy. Archeologists, excavating a villa amid the ruins of the 79 A.D. volcanic eruption, have discovered a room that served as both a dormitory and storage area, which officials said Saturday offered “a very rare insight the daily life of slaves.” Italy’s culture minister, Dario Franceschini, said the find was “an important discovery that enriches the knowledge of the daily life of ancient Pompeiians, in particular the level of society still little known.”

Già nel 2013 la Uilpa chiedeva di sciogliere la stessa Ales e internalizzare il suo personale. «In questo modo si abbatterebbero del 40 per cento i costi di gestione, che fanno lievitare quelli del servizio», dice Federico Trastulli di Uilpa.

Una proposta valida ancora oggi all’interno di una più vasta campagna per stabilizzare il personale che lavora per lo stato. «Al momento siamo in fase di ricognizione, bisogna capire chi rientra nel decreto Madia del 2017. La misura è buona, ma lascia fuori chi lavora in modalità mediata, ad esempio sotto cooperativa».

In un sistema culturale rinnovato, che fine farebbero le società private che vincono concessioni e appalti? Nel caso dei civici di Venezia, per esempio, «i lavoratori potrebbero essere assorbiti dalla fondazione e le cooperative, fatte per la maggior parte di persone che lavorano in appalto, scomparirebbero o potrebbero fare servizi in realtà più piccole, dove c’è un bisogno reale», sostiene Porpiglia della Cgil.

Gli esternalizzati

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Per riformare il sistema servirebbe sapere quanti sono i lavoratori esternalizzati negli oltre 5mila musei italiani, ma come abbiamo visto il dato è sconosciuto al ministero. Secondo “Mi riconosci” gli esternalizzati sono comunque almeno il 60 per cento degli addetti totali.

Quello che è certo è che tanti musei non aprirebbero senza i lavoratori delle cooperative o di Ales, visto che in vent’anni l’organico del ministero è calato da 27mila a 19mila unità. «I musei se la cavano con la buona volontà del personale, che ci tiene a fare bene e a trasmettere conoscenze. Ma dopo più di vent'anni l’obiettivo della valorizzazione del patrimonio culturale a cui miravano la Ronchey e il Codice Urbani è stato completamente mancato», conclude Miccoli.  

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