Oggi sono due mesi che i 320 lavoratori della ex Gkn non prendono lo stipendio. E sono passati 17 mesi da quel 9 luglio del 2021 in cui gli operai, licenziati per mail di venerdì, il sabato decisero di entrare in fabbrica e riunirsi in assemblea permanente, trasformando una crisi industriale, una delle tante delocalizzazioni che colpiscono l’Italia, in un caso politico nazionale e in un grido «Insorgiamo» che vorrebbe cambiare i rapporti di forza nella società tutta.

Attorno alla Gkn si è formato ormai un movimento di realtà e di intelligenze collettive, sul territorio e non solo, che da un anno e mezzo ragionano sulla crisi della fabbrica in relazione con molte altre crisi: dalla guerra alla violenza di genere. Gli operai le chiamano ‘convergenze’. Parole che ricordano più gli anni settanta del secolo scorso che gli individualisti anni 20 di questo.

Ma di fondo resta la vertenza che riguarda sia gli operai che il distretto industriale fiorentino: l’ex Gkn, azienda metalmeccanica ex Fiat», comprata nel 2018 dal fondo finanziario britannico Merlose Industries è stata acquista un anno fa dallo stesso advisor incaricato dagli inglesi per liquidare l’azienda, l’imprenditore romano Francesco Borgomeo che ha chiamato enfaticamente la nuova azienda «QF», ovvero 4 “F”: «Fiducia nel Futuro della Fabbrica di Firenze». Con che accordi economici non si sa, quello che si sa è che il 19 gennaio del 2022 si era arrivati a firmare un accordo industriale per l’ex Gkn per cui entro il 31 agosto Borgomeo avrebbe dovuto presentare un piano industriale e un pool di investitori.

Ipotesi e-drive

L’idea era quella di fare motori per auto elettriche, l’e-drive e, in attesa della nuova rinascita della fabbrica, l’imprenditore avrebbe anticipato la cassa integrazione ordinaria. Tra fine agosto e inizi settembre, però, si è sciolto un po’ tutto al sole e non si è verificato niente di quello che era stato promesso: i famosi investitori non si sono presentati e il piano industriale è ridotto ad alcune slide che non bastano a mettere in moto i finanziamenti pubblici.

«Secondo gli accordi presi con il Mise e il ministero del Lavoro – racconta Daniele Calosi segretario regionale della Fiom Toscana – se a fine agosto non ci fossero stati gli investitori promessi, la reindustrializzazione avrebbe dovuto farla Borgomeo con l’apporto finanziario iniziale di Invitalia (la spa del ministero dell’Economia per gli investimenti e sviluppo) e con l’aiuto della regione Toscana. Invece non è successo nulla, siamo in un limbo».

Nell’ultimo tavolo con il ministero dello Sviluppo economico che oggi si chiama ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da  Adolfo Urso (FdI), Borgomeo ha chiesto più tempo per chiedere investitori e ha ribadito di essere ancora in attesa della risposta del ministero del lavoro sugli ammortizzatori sociali.

«Quello che abbiamo capito è che la richiesta per la cassa integrazione ordinaria non gli è stata approvata – spiega ancora Calosi – mentre per la cassa integrazione straordinaria c’è bisogno di un piano industriale che lui non ha ancora presentato».

Nel frattempo i lavoratori non hanno arretrato di un centimetro la lotta a difesa della fabbrica: lo scorso 7 novembre un presidio davanti ai cancelli della fabbrica ha impedito che venissero portati via i macchinari, di proprietà della Gkn, e il 14 novembre hanno fatto un’occupazione simbolica di Palazzo Vecchio, sede del consiglio comunale di Firenze, per chiedere al sindaco Dario Nardella di impegnarsi a difendere l’azienda e «fare come La Pira» il sindaco cattolico che convinse Enrico Mattei e l’Eni a rilevare la Pignone che stava chiudendo.

Dall’ufficio del sindaco confermano che si sta cercando una soluzione alternativa a Borgomeo ma che per ora si preferisce mantenere il riserbo sulla ricerca.

Protesta lavoratori GKN di Firenze prima dell’incontro sindacale al ministero dello sviluppo economico a ottobre (Foto Mauro Scrobogna /LaPresse)

«Per come la vedo io la situazione è molto semplice – spiega a Domani, Matteo Moretti membro della Rsu GKN – da una parte c’è una proprietà che non ha progetti industriali per lo stabilimento anche se ci aveva garantito di averli. Ha smesso di pagare gli stipendi ai lavoratori perché a detta loro non c’è la cassa integrazione, ma la cassa integrazione non c’è perché non c’è un progetto. Dall’altra parte c’è un gruppo di lavoratori che si stanno rimboccando le maniche e stanno facendo anche la parte dell’imprenditore».

Gli operai infatti, grazie l’articolo 11 dello statuto dei lavoratori, hanno potuto fondare un’associazione sotto il cappello del Cral (circolo ricreativo aziendale lavoratori), che può svolgere attività ludico ricreative ed economiche, può ad esempio gestire il bar in funzione all’interno della fabbrica, ma anche eventualmente ricevere finanziamenti. Anche per questo stanno lavorando a un piano industriale alternativo.

PRESSPHOTO Firenze, Santa Croce. Manifestazione per i lavoratori di GKN Giuseppe Cabras/New Press Photo Pressphoto/LaPresse

Già da ottobre 2021 si è formato un “gruppo di ricerca solidale” di ingegneri, economisti, storici, sociologi provenienti dal mondo accademico. «Ci siamo avvicinati come militanti facendo le notti insieme a loro le prime settimane – racconta Fracesca Gabbriellini storica dell’Università di Bologna – ma quando ce l’hanno chiesto ci siamo messi a disposizione con le nostre competenze».

Progetti alternativi

Domenica 4 dicembre in fabbrica si è tenuta una giornata di tavoli tematici proprio per portare avanti le idee per un futuro possibile.

«Il collettivo Gkn era una realtà sindacale già molto avanzata prima della crisi – racconta Giacomo Gabbuti dell’Istituto economico dell’Università Sant’Anna di Pisa – e si stavano già preparando consci che l’automotive era in crisi e che Stellantis si sta ritirando dall’Italia».

Così in questi mesi gli studiosi e gli operai hanno lavorato su diversi possibili piani industriali e sono pronti a presentarli ad investitori pubblici o privati. «L’idea è quella di lavorare su una filiera industriale che potrebbe essere quella del servizio pubblico elettrico a idrogeno, oppure sulle cargo bici elettriche», dicono gli Ingegneri solidali.

Il piano è ancora da finire quello che è certo è che gli operai non vogliono lasciare vuoti quei 38mila metri quadri nella piana di Firenze non solo per quei 320, che potrebbero trovare altre sistemazioni, ma per le conseguenze che la deindustrializzazione potrebbe avere sui luoghi dove crescono i loro figli.

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