Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini festeggia il nuovo codice dei contratti pubblici approvato ieri all’unanimità dal consiglio dei ministri definendolo «l’iniziativa più importante del governo». E di certo Salvini ha abbastanza da festeggiare: ha ottenuto all’ultimo miglio la tanto ambita deregulation dell’appalto integrato e cioè la possibilità per tutte le gare di affidare alla stessa impresa sia la progettazione esecutiva dei lavori che la loro realizzazione, una deroga che aveva visto la luce con la legge Obiettivo berlusconiana con la solita scusa delle grandi opere, e che ora viene estesa per legge a tutti i tipi di appalti.

Su questo punto il Consiglio di stato che ha lavorato per mesi su un codice di 229 articoli aveva cercato un compromesso per distendere le tensioni politiche, limitando il ricorso all’appalto integrato solo per bandi particolarmente qualificati, di fatto per grandi stazioni appaltanti. Ora invece cade anche quel limite.

Gli affidamenti dei comuni

I magistrati amministrativi avevano aperto all’aumento a 500mila euro di lavori la soglia di appalto per cui è possibile l’affidamento diretto da parte degli enti locali come chiesto dall’Anci. In questo modo, ha dichiarato un Salvini gaudente, «l’80 per cento delle procedure sarebbe più veloce».

Il ministro Alfredo Mantovano al suo fianco ha però frenato con una frase sibillina: «È un’ipotesi aperta che viene lasciata all'approfondimento nell’interlocuzione sia con l'Unione europea che con il parlamento», lasciando intendere che sia più problematica la prima che la seconda. Lo confermano le critiche che sono arrivate dal presidente dall’Anac Giuseppe Busia. Secondo l’autorità anti corruzione quella norma vanifica parte della riforma delle stazioni appaltanti, cioè una riforma-pilastro del Pnrr, che lega la possibilità di gestione degli appalti alle competenze e alle capacità tecniche e digitali dell’ente che gestisce il bando di gara. Dall’authority dicono che l’ultima tranche di giugno dei fondi del Pnrr è arrivata anche perché Anac aveva consegnato la riforma al governo.

Lo scontro con l’Anac

Per l’Anac c’era stato nelle ultime ore un rischio anche peggiore: fino a 48 ore fa il nuovo codice prevedeva che la sua attività si coordinasse con la cabina di regia di Palazzo Chigi, minandone l’autonomia. La norma è stata corretta già l’altroieri, dopo che Busia ha avanzato questa e altre critiche, tra cui l’ammorbidimento degli obblighi in materia di conflitto di interessi e la scomparsa della valutazione dell’Anac sulla possibilità per i comuni di non ricorrere ai servizi in house, cioè delle proprie partecipate. Non si tratta di una questione da poco visto che allo stesso tempo, per rispondere all’Ue sui ritardi su riforme strutturali come la concorrenza, il governo licenzia un decreto sui servizi pubblici locali che obbliga i comuni a motivare perché ricorrono agli affidamenti in house.

Ieri Salvini ha sottolineato che l’autorità è indipendente ma ha aggiunto prima che se la deve prendere con il consiglio di stato e poi, con una gincane logica, che le scelte comunque le fanno i politici.

Le autostrade

Di certo, ci sono scelte condizionate come quella della fine delle proroga delle concessioni autostradali annunciata in pompa magna dal ministro, ma sui cui in realtà pende il giudizio in arrivo della Corte di giustizia Ue. Il Tar del Lazio ha chiesto alla corte di esprimersi sulla proroga della concessione al 2038 di Autostrade per l’Italia. Finora l’Italia aveva sempre ottenuto benevoli sconti a favore dei padroni delle autostrade grazie al dialogo con la Commissione. La corte Ue però è un’altra storia.

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