Alberto Leonardis, abruzzese di 56 anni, ammette di sentirsi "un animale strano". E in effetti strano lo è. La controversa storia dell'editoria italiana ha offerto tradizionalmente due specie di personaggi. Da una parte gli editori cosiddetti puri, quelli che non avevano altri interessi e che vivevano per il successo dei loro giornali, personaggi leggendari come Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli (il vecchio) e Edilio Rusconi dei quali si è perso lo stampo. Dall'altra parte gli editori impuri, quelli che usano i giornali al servizio dei loro interessi economici e di potere.

Simbolo nobile della categoria è la famiglia Agnelli, che nel secolo scorso compra la Stampa e poi estende il suo potere al Corriere della Sera e infine, più recentemente, a tutto il gruppo Repubblica-Espresso, che oggi si chiama Gedi.

Leonardis si iscrive alla prima specie, quella nobile, ma c'è qualcosa nella sua avventura industriale che lo rende indecifrabile. Perché lui è davvero puro, in quanto non ha altri interessi che l'editoria e si presenta come una specie di Candide, definendosi un sognatore, un romantico socialista libertario. Solo che fa l'editore senza essere il padrone dei giornali che sta comprando in giro per l'Italia.

Lui ci mette la purezza di sguardo e di intenzioni, ma i capitali li mettono alcuni "impuri". Fa il regista e imbastisce complesse operazioni basate sulla scommessa di tenere a bada gli impulsi impuri dei soci.

Shopping da Gedi

Leonardis giura di aver selezionato severamente etica e lucidità di visione dei compagni di cordata. La sua scommessa riguarda ormai pezzi importanti del territorio nazionale: la Toscana, la Sardegna e pezzi pregiati dell'Emilia-Romagna. Recentemente ha circolato la voce che puntasse addirittura a prendere da Gedi anche il Secolo XIX di Genova, ma l'ipotesi è stata smentita da entrambe le parti.

Leonardis comunque è alla ribalta. Un mese fa ha comprato dal gruppo Gedi La Nuova Sardegna, il quotidiano di Sassari che da sempre si contende il mercato regionale con l'Unione Sarda di Cagliari. Alla fine del 2020 (sempre dalla Gedi che non crede più nei giornali locali, per decenni nerbo del gruppo Espresso), si era preso il Tirreno di Livorno, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio Emilia e La Nuova Ferrara.

L'avventura ha un prologo datato 2016. Sempre dal gruppo Espresso Leonardis compra Il Centro, quotidiano di Pescara, sperimentando per la prima volta il suo modello.

Non avendo capitali (suo padre era un medico, suo nonno un coltivatore di zafferano), inventa un meccanismo in cui mette insieme alcuni soci, compra il giornale con i loro soldi, e poi lo gestisce incassando lo stipendio da manager-regista. Ma questi investitori puntano ai dividendi o ad altro?

Nel caso del Centro le cose non sono andate benissimo. Nel suo Abruzzo Leonardis ha messo insieme un costruttore, Luigi Palmerini, e il cosiddetto "re delle cliniche" Luigi Pierangeli, proprietario anche della tv Rete8. Leonardis affida la direzione a una firma prestigiosa dell'Espresso, Primo Di Nicola, garantendogli piena autonomia editoriale.

Dopo un anno Di Nicola (oggi senatore del M5s) se ne va perché i due azionisti impuri cercano di influenzare la linea del giornale. E un paio d'anni dopo anche Leonardis molla tutto e se ne torna a Milano, dichiarando ufficialmente che alla base della scelta ci sono motivi familiari.

Nel 2020, visto che il padrone della Gedi John Elkann freme per liberarsi dei giornali locali, si lancia nell'acquisto del Tirreno e delle tre gazzette emiliane. Di nuovo seleziona una squadra di imprenditori che, giura, condividono il suo sogno di far prosperare i quotidiani locali, e nient'altro. Nasce la Sae (Sapere Aude Editori, dove "sapere aude" è il motto illuminista in latino del filosofo Immanuel Kant, significa "osa conoscere").

Riecco il costruttore, Maurizio Berrighi, originario della val di Cornia in provincia di Livorno, tipico imprenditore toscano forte dei rapporti politici con il mondo ex comunista: è lui il socio forte, con il 37,5 per cento. Poi ci sono l'abruzzese Davide Cilli (a capo di una piccola holding tecnologica, Nextaly) con il 25 per cento e con la stessa quota il siciliano Pietro Peligra con la sua Portobello, una catena di negozi in franchising. Tra i soci minori c'è Leonardis, il capo, con il 3,5 per cento.

Il Tirreno è stato pagato 4,4 milioni di euro, per le tre gazzette emiliane si parla di una cifra attorno ai due milioni. Somme modiche che spiegano la scommessa su un business da molti giudicato in declino irreversibile. I cinque quotidiani acquistati dalla Sae hanno perso negli ultimi quattro anni un terzo delle vendite di in edicola, a fronte di una performance sostanzialmente analoga dei due principali competitor in Toscana e in Sardegna, La Nazione e L'Unione Sarda. Oggi Il Tirreno vende poco più di 20 mila copie in edicola, contro le 43 mila della Nazione. I giornali annaspano ed è lecito il dubbio che gli investitori puntino su ritorni estranei al conto economico.

In Toscana Il Tirreno rappresenta da sempre l'alternativa "di sinistra" (semplificando) alla Nazione di Andrea Riffeser (gruppo Monrif, -70 per cento in Borsa negli ultimi quattro anni) che l'ha ereditata dal nonno petroliere Attilio Monti. Leonardis punta ad allargare a tutta la regione la sfera d'influenza del quotidiano livornese, storicamente lmitata alla fascia costiera. Sta per aprire una redazione a Firenze per contare di più nei rapporti con la giunta a trazione Pd di Eugenio Giani.

Per completare la copertura della regione, Leonardis ha sondato il gruppo Angelucci (Lipero e Il Tempo) che vorrebbero liberarsi del Corriere di Siena e del Corriere di Arezzo, ma poi ha deciso di lasciar perdere.

Lo sbarco in Sardegna

Con un po' di cassa integrazione e una dose di prepensionamenti, Leonardis ha chiuso in pareggio il 2021 della Sae, ed è già un bel risultato. Poi ha puntato alla Nuova Sardegna, uno dei pochissimi giornali italiani a produrre utili, ma che Elkann non voleva lo stesso. Anche qui si parla di un prezzo di acquisto di 4-5 milioni, di cui la Sae ha messo la metà acquisendo il 51 per cento della Sae Sardegna.

Il 6 per cento è della giovane società informatica di Sassari Abinsula, il restante 43 per cento è diviso in due quote identiche tra la Fondazione Banco di Sardegna (oggi azionista di minoranza della Bper di Modena che ha acquisito il controllo dell'antico Banco di Sardegna), e la Depafin del costruttore cagliaritano Maurizio De Pascale. Si ripete in Sardegna, un anno dopo, lo stesso schema logico del caso toscano.

Storicamente La Nuova Sardegna (oggi sulle 20 mila copie in edicola) è il contraltare (sassarese e "di sinistra") all'Unione Sarda (quotidiano cagliaritano e di destra, sulle 25 mila copie).

L'Unione Sarda fa capo da molti anni all'immobiliarista Sergio Zuncheddu, che controlla anche la tv e la radio leader dell'isola, Videolina e Radiolina. Uomo di storiche simpatie per il centrodestra (è stato anche socio di Veronica Lario Berlusconi nel Foglio ai tempi della fondazione), gode di rapporti ottimi con i governatori regionali di entrambi i colori con i quali fa ottimi affari.

Leonardis sbarca in Sardegna schierando come forti soci di minoranza una fondazione bancaria strutturalmente infeudata al Pd e il maggior costruttore dell'isola. Sarà solo una coincidenza, ma l’ingresso della Fondazione Sardegna nell’azionariato della Nuova Sardegna si porta dietro l’esordio come editorialista di politica internazionale dell’ex segretario dei Ds Piero Fassino, peraltro legatissimo da anni agli ambienti della Sae. Ma è il caso De Pascale quello più significativo. 

È considerato oggi, in una stagione caratterizzata dalla debolezza della politica, uno degli uomini più potenti dell'isola. La sua impresa Pellegrini negli ultimi quattro anni ha aumentato i ricavi del 140 per cento, arrivando a un fatturato che sfiora i 60 milioni.

È presidente di Confindustria Sardegna e della Camera di commercio di Cagliari e Oristano che a sua volta controlla la Sogaer, società di gestione dell'aeroporto di Cagliari Elmas, una delle aziende chiave dell'isola. E mette la sua forza a disposizione della lobby del mattone che da 15 anni cerca di liberare la speculazione immobiliare dalle catene imposte dal severo Piano paesaggistico regionale (Ppr) varato dal governatore Renato Soru. «Creare lavoro al di là delle ideologie» è il riconoscibile mantra di De Pascale. Il sospetto che l'investimento di un milione di euro per entrare nella plancia di comando della Nuova Sardegna sia più politico che economico appare lecito.

Leonardis, candidamente, sostiene di non conoscere la storia del Ppr, cioè la guerra cemento contro coste e paesaggio attorno alla quale ruota da 15 anni la vicenda politica sarda. «Penso che le operazioni immobiliari si fanno salvaguardando l'ambiente. E gli interessi di De Pascale non mi interessano, le condizioni della nostra operazione sono chiare: guardo i numeri del giornale, non gli interessi dei soci».

Non resta che attendere di sapere come va a finire, obbedendo al motto dell'editore che vuole essere puro: aude sapere.

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