La Giunta per le autorizzazioni voterà la richiesta degli esponenti di destra di chiedere chiarimenti sulla posizione della zarina di via Arenula alla procura capitolina
Un atto d’accusa lungo ventitré pagine nei confronti della magistratura. Nella memoria che i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano hanno inviato alla Giunta delle autorizzazioni viene ribadita la correttezza del proprio operato nella gestione della vicenda Almasri.
E si attacca anche il collegio speciale di giudici che ha notificato la domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dei fedelissimi della premier Meloni. «Il tribunale di Roma – si legge nell’atto – ha definito la questione dopo oltre sei mesi, senza curarsi di giustificare il ritardo, andando anche oltre i sessanta giorni di proroga nell’ipotesi di ulteriori indagini».
Secondo la difesa, dunque, sono state compiute «violazioni di legge gravi e numerose». Tra queste c’è pure il “no” delle giudici a Mantovano il quale si era offerto per esporre le proprie ragioni (al posto del guardasigilli, chiamato invano all’interrogatorio).
«In qualsiasi giudizio un indagato che si offre per contribuire alla ricostruzione (dei fatti, ndr) non riceve mai un rifiuto». Ma non solo il tribunale dei ministri. L’accusa di Nordio, Piantedosi e Mantovano è rivolto anche al procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, che a dire la verità aveva chiesto di archiviare le posizioni del capo del Viminale e del sottosegretario. Lo Voi sembrerebbe essere accusato dagli esponenti del governo di una vera e propria «fuga di notizie».
«Gli atti sono stati pubblicati da alcune testate – è scritto nella memoria – Il collegio di Roma ha avuto cura di precisare di aver sempre custodito il fascicolo nella cassaforte della sua cancelleria, “salvi i passaggi previsti dalla legge costituzionale”, cioè, salva la trasmissione per il parere al procuratore della Repubblica». Per la difesa, pertanto, Lo Voi «è stato il solo ad aver detenuto gli atti al di fuori della cassaforte in uso al tribunale».
Un indizio che, forse, per i membri del governo equivarrebbe a una prova. «Non si ha però notizia di seguiti giudiziari alle denunce del collegio di Roma, sì che al momento appare certa l’impunità di quello che probabilmente è il solo reato che emerge in questa vicenda, cioè la violazione del segreto di indagine».
Poi, l’ulteriore attacco. Probabilmente il più duro. Quello rivolto all’ex capo del dipartimento degli Affari di Giustizia a via Arenula, Luigi Birritteri che, insieme ad altri dirigenti del ministero, era stato sentito dalle giudici come persona informata sui fatti.
«I magistrati del Dag, a cominciare da Birritteri, sono i primi ad aver riferito – si legge – che avevano avuto dubbi sulle correttezza della procedura seguita per l’arresto. Sempre Birritteri aveva condiviso le perplessità sulla ritualità dell’arresto anche col procuratore generale della corte di appello di Roma. Pur essendo ritenuti attendibili – prosegue la memoria – il tribunale non valorizza queste perplessità che invece erano le medesime di Nordio e del governo, oltre che del capo della polizia».
Perché, quindi, «le dichiarazioni di Nordio e Bartolozzi sono state qualificate mendaci?». In più nella memoria, dove sono allegati anche atti riservati dell’Aise che servirebbero a dimostrare i pericoli degli italiani in Libia, si legge che «il tribunale ha confuso l’offerta di supporto tecnico da parte di Birritteri con una sorta di pre-provvedimento che non entrava nelle competenze del Dag, privo della relativa delega».
Il magistrato, insomma, non avrebbe dovuto interessarsi alla vicenda: è appunto quanto emerge nella memoria discussa ieri dagli esponenti della Giunta per le autorizzazioni che è tornata inoltre sull’annoso quesito: salvare o no la capa di gabinetto di Nordio, indagata dalla procura di Roma per falso?
Per l’ex giudice di Gela si profila così un trattamento diverso rispetto a quello dei “colleghi”, attaccati dal governo. La Giunta voterà oggi la richiesta degli esponenti di destra di chiedere chiarimenti sulla sua posizione alla procura capitolina.
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