Una versione «inattendibile e mendace». Una versione «contraddittoria». Una versione facilmente «smentibile». Già gli aggettivi utilizzati dal Tribunale dei ministri nel descrivere le dichiarazioni rese sul caso Almasri dalla zarina di via Arenula Giusi Bartolozzi lasciavano pochi dubbi.

Oggi però è arrivata la conferma. La capa di gabinetto del ministero della Giustizia avrebbe reso false dichiarazioni ai pm e dunque, con questa ipotesi d’accusa, è indagata dalla procura capitolina. Cosa disse la fedelissima del guardasigilli Carlo Nordio alle tre magistrate del collegio speciale quando il 31 marzo venne chiamata a rendere sommarie informazioni?

Cosa raccontò l’ex giudice di Gela, che lavorò a dossier scottanti come quelli sul caso Uss e sulla vicenda Cospito, sulla gestione della liberazione del torturatore libico ricercato dalla Corte penale internazionale? Per il Tribunale che, in relazione alla stessa vicenda, ha archiviato la posizione della premier Giorgia Meloni e ha notificato un provvedimento di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, le parole di Bartolozzi sono state definite «insostenibili».

Le hanno bollate così nelle carte trasmesse al procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, che, a sua volta, in base a quanto prescritto dalla legge, ha inviato il fascicolo sui membri del governo alla Camera e ne ha aperto uno su Bartolozzi, che non è ministra e di conseguenza è perseguibile dalla procura ordinaria.

«C’era lui, c’ero io»

«Ci sentiamo quaranta volte al giorno, sempre ogni cosa che arriva… noi ci sentiamo immediatamente. Io quando ricevo gli atti glieli mandavo (…). Ogni volta che c’era lui, c’ero anche io», dichiarò a inizio 2025 il braccio destro di Nordio alle giudici. Un attimo dopo tuttavia affermò che non aveva «ritenuto opportuno sottoporgli la bozza (la documentazione su Almasri, ndr) predisposta dall’Ufficio».

Parole, queste ultime, a cui il collegio speciale ha fatto fatica a credere. «È logicamente insostenibile che (Bartolozzi, ndr) si sia arrogata il diritto di sottrarre al ministro – che le aveva prospettato la necessità di studiare le carte – un elemento tecnico da valutare e tenere in considerazione ai fini della decisione da assumere».

Se davvero fosse andata così, allora la zarina di via Arenula non solo avrebbe «violato la normativa regolamentare», ma sarebbe pure «venuta meno agli obblighi inerenti l’incarico assunto, derogando alla prassi seguita di informare il ministro di ogni cosa». Persino su un altro punto secondo le giudici Bartolozzi sarebbe caduta in errore. Prima ha infatti sostenuto che «gli atti (su Almasri, ndr) erano in lingua inglese e araba». Poi, una volta che in sede di audizione le è stata mostrata la documentazione pervenuta, corredata da una traduzione informale in lingua italiana, Bartolozzi ha chiarito che forse era lei a ricordare male». Perché tutte queste lacune? Stava cercando di coprire qualcuno la capa di gabinetto, oggi indagata?

Salvate la zarina

Dalle magistrate del collegio speciale, un’altra la domanda rivolta a Bartolozzi: riguardava i termini da rispettare, «le quarantotto ore per la convalida dell’arresto, a decorrere dalla trasmissione degli atti alla Corte d’Appello».

Bartolozzi rispondeva: «Lo comprendo, noi abbiamo avuto il fascicolo il lunedì ad ora di pranzo, considerato l’orario in cui l’arresto era stato eseguito, la mattina del 19, avevano calcolato di avere tempo fino alla sera». Sono sempre state però le giudici a chiarire: «Le dichiarazioni risultano smentite da quelle della dottoressa Guerra che ricordava di aver parlato del problema del termine da rispettare, tant’è che la collega Lucchini le aveva anche informate che l’udienza della Corte d’appello era il giorno 21 gennaio».

E poi le riunioni. Bartolozzi «sosteneva che nell’ambito delle riunioni non era stata assunta alcuna decisione, poi Almasri era stato scarcerato e si era chiusa la partita. Né in presenza sua; né in presenza del ministro si era mai affrontato il tema del dopo e del come sarebbe andato via, nel caso l’arresto non fosse stato convalidato».

In realtà «le sommarie informazioni rese dagli altri partecipanti riferivano che oggetto di tali riunioni era stata non solo la questione giuridica sulla legittimità o meno dell’arresto ma anche il cosa sarebbe stato fatto nell’eventualità in cui la Corte d’Appello avesse disposto la scarcerazione di Almasri, convenendo sulla necessità/opportunità dì espellerlo e rimpatriarlo tramite volo Cai».

Il volo di Stato, cioè, tramite cui il torturatore tornò in Libia, arrivando col sorriso all’aeroporto di Mitiga che alcune delle sue vittime erano state costrette a costruire. All’indomani della notizia sull’iscrizione di Bartolozzi, di cui le opposizioni chiedono le dimissioni e contro cui la procura generale presso la Cassazione potrebbe aprire un procedimento disciplinare, il clima a via Arenula è tesissimo.

Teso nonostante le parole di «solidarietà» di Nordio che ha ribadito che Bartolozzi avrebbe «agito nella massima correttezza», informandolo «delle fasi della vicenda». Almeno due, oggi, le riunioni per discutere di questioni tecniche. Come salvare la zarina? Con l’accusa dei pm, però, non ci sarebbero molte chance: le false dichiarazioni sarebbero state rese dopo la gestione del caso Almasri e, pertanto, non in concorso all’attività dei ministri che dovranno essere giudicati dalla Giunta per le autorizzazioni (la cui prima seduta è domani e nella quale i membri potrebbero chiedere di mettere ai voti lo “scudo”) e poi dalla Camera, che forse emetterà una decisione più che scontata.

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